«Gli esseri umani si dividono in uomini d’amore e uomini di libertà, a seconda se preferiscano vivere abbracciati l’uno con l’altro oppure vivere da soli per non essere scocciati». Luciano De Crescenzo, scrittore e filosofo napoletano, teorizzava la distinzione nel suo libro, poi film, “Così parlò Bellavista”.
Con personalità e idee chiare, Agostino Iacobucci, chef dell’omonimo ristorante di Castel Maggiore, alle porte di Bologna, fresco di stella conferita dagli ispettori Michelin lo scorso novembre, non ha timori nel confutare la tesi del professor Bellavista: «Amore e libertà sono due entità intimamente legate; la libertà è la condizione essenziale per amare e l’amore si consolida nella libertà».
Nato e cresciuto a Castellammare di Stabia, si è avvicinato ai fornelli, «da curioso e da goloso», quando aveva 15 anni nel ristorante della zia a Lettere e, dopo il diploma di scuola alberghiera, si è formato alla destra di Andrea Cannavacciuolo, papà di Antonino, chef de La Sonrisa a Sant’Antonio Abate, luogo più conosciuto dai telespettatori come “castello del Boss delle cerimonie”.
Nel 1995 va a lavorare a Vico Equense in un locale,
O’ Saracino, porta a porta con il più famoso
Torre del Saracino; guardare da vicino i progressi e l’ascesa di
Gennaro Esposito stimola
Iacobucci a lanciarsi in diversi stage tra locali importanti di Francia e Regno Unito: «Lì ho capito come funzionava una vera brigata osservando le gerarchie rigide delle cucine di alto livello».
Chef classe 1980, non è un esordiente tra i cuochi dalla giacca stellata, risale infatti al 2010 la conquista del suo primo macaron a La Cantinella di Napoli; nel 2012 sposta la toque verso nord: «Sono entrato nelle cucine de I Portici, hotel di design nel centro di Bologna, nel mese di giugno, a novembre abbiamo riconfermato la stella intraprendendo un significativo percorso di crescita durato sei anni. Se oggi ho un ristorante mio, devo ringraziare la proprietà de I Portici». E per il capoluogo felsineo solo parole di zucchero: «Bologna mi ha accolto bene da subito e mi ha dato una carica positiva; mi ha fatto sentire a casa, libero e protetto. Dopo gli anni frenetici di Napoli, avevo bisogno di protezione per crescere, per creare, per avere nuovi stimoli».
La via delle stelle non si indica, ma si percorre. «Non ho avuto un maestro in senso stretto, ho avuto piuttosto amicizie che mi hanno insegnato tanto professionalmente; tra tutti posso indicare
Mauro Colagreco,
Niko Romito e
Paolo Barrale». E sul cuoco argentino aggiunge: «
Mauro è un amico fraterno, sempre presente e disponibile al confronto, ha una sensibilità a 360 gradi e ama il valore della famiglia, per me cosa fondamentale; con lui ho un rapporto speciale perché c’è innanzitutto intesa umana. Io sono così, apprezzo prima l’uomo e poi il professionista».
Con un soffitto a cassettoni decorato da affreschi a colori vivi, nove tavoli per trenta coperti, fiori freschi e impostazione classica, la sala del ristorante, ottimamente governata da Fabio Valente e dal sommelier Iacopo Gerussi, si apre al piano terra di Villa Zarri, prestigiosa dimora settecentesca al centro di tre ettari di un incantevole e arioso parco secolare di tigli, platani e sempreverdi.
La proprietà è di
Guido Fini Zarri, erede della famiglia produttrice di brandy dal 1956, prima con etichetta
Oro Pilla, oggi con brand
Villa Zarri. «Sonno rimasto affascinato dalla struttura perché, tra affreschi ancora intatti e lampadari di Murano, mi ricorda quelle maison francesi con soffitti alti e sale ad ampio respiro. Per me e mia moglie
Michela, socia dell’attività, è stato un colpo di fulmine; abbiamo venduto una piccola proprietà che avevamo in Campania e abbiamo investito tutto in questo posto».
Il poker d’amuse bouche iniziale è molto divertente, un piccolo tour tra i gusti: dalle grassezze comfort di un Macaron di pistacchio e mortadella alle sapidità intriganti di un Taco con tartare di tonno e caviale di trota. Gioco di contrasti tra acidità e nuance golose è la Sfoglia di daikon marinata al Martini e salsa all’uva fragola; acuta aromaticità nel Ravanello con ostrica.

Gambero crudo con lamponi, mandorle, maionese di teste di gambero, salsa di friarielli, yuzu e ostrica
Intensità e celebrazione del mare e della terra nel
Gambero crudo con lamponi, mandorle, maionese di teste di gambero, salsa di friarielli, yuzu e ostrica, fresco e mediterraneo di grande lunghezza ed equilibrio.
Il Sedano rapa marinato con caviale di trota e salsa di mandorle è dimostrazione edibile di abilità tecnica non comune: elegante e deciso, magistralmente bilanciato tra le parti acide e fragranti e le sfumature dolceamare. Profondità e armonia nelle Animelle di vitello laccate con yogurt, mela verde e cardamomo.

Sedano rapa marinato con caviale di trota e salsa di mandorle
Omaggio all’Emilia con pronuncia francofona e virgole umami, i convincenti
Bottoni di porri e patate in brodo di carne, aceto e infuso di anguilla affumicata: materia prima presente e mai stravolta, dolcezze attenuate, speziature e spigoli accentuati, assaggio di esemplare complessità. Espliciti, rotondi ed esplosivi i
Tortelli farciti con ragù napoletano, serviti con gel al basilico e spuma di parmigiano (“Napoli incontra l’Emilia”).

Animelle di vitello laccate con yogurt, mela verde e cardamomo
Con il
Piccione, salsa di melograno, aglio nero fermentato e baby porro grigliato il cuoco si mette al servizio dell’ingrediente straordinario esaltandolo con lavorazioni e cotture poco invasive e abbinandolo a sapori di carattere ogni volta funzionali all’eufonia del piatto.
Non c’è trucco nella cucina di
Iacobucci né forzature autoreferenziali ed esibizioniste, è una proposta contemporanea con evidenti riferimenti classici risoluta e viva; tutti i piatti esprimono chiarezza concettuale e pulizia esecutiva grazie a una rilevante sapienza tecnica, sempre rispettosa dell’ingrediente eccellente. Godibile e diretto, è uno stile che ha anima e cuore mediterranei, vis napoletana, leggera inflessione francese e aperto con fiducia alle contaminazioni emiliane.

Piccione, salsa di melograno, aglio nero fermentato e baby porro grigliato
«Amore e libertà, conoscenza della tradizione, studio e ricerca sono le basi per creare una cucina d’eccellenza; il piatto memorabile nasce dalla passione che trasmetti alla materia prima». E conclude «Bisogna amare questo mestiere quotidianamente; si può essere maestri assoluti di tecnica, ma senza cuore, non si va lontano. Se non hai amore, non hai arte e non hai futuro».
La chiusura è dolce e delicata con il
Babà a tre lievitazioni, morbido ed elastico, miracolo di levità e scioglievolezza, perfezione sferica da amare e venerare ogni volta che cambia forma.
Libertà creativa e amore per il mondo: la perfezione sferica secondo Agostino Iacobucci.