C’è un’aria dolce, in Emilia, in questi primi mezzogiorni assolati di primavera inoltrata. Un’aria di riapertura, di freschezza, di ritrovata iniziale, piccola, tenera serenità. Dopo tutto quel che ci è capitato, ritrovare il viso degli amici cuochi, chiacchierare di nuovo con loro di progetti futuri, rivedere qualche tavola apparecchiata, rigorosamente all’aperto e sotto bianchi eleganti ombrelloni, nel parco della Villa Zarri, alle porte di Bologna, fa decisamente piacere e il cuore ritorna a sorridere.
È una splendida dimora cinquecentesca, con i saloni affrescati, un parco di piante secolari, in cui si respira un’aria antica, di grazia e di piacere. Agostino Iacobucci vi ha portato la sua cucina che incuriosisce: creativa, interessante, fonde vecchie sapienze con tecniche nuove e inaspettate. E, fil-rouge che lega gli ingredienti in modo indissolubile, la dolcezza.
C’è dolcezza nel gesto, nella presentazione dei piatti, nella composizione degli ingredienti, nella sensazione al palato. Mai un sentore aggressivo, pur nella nettezza delle sensazioni gustative. Mai una curva secca, un tornante ripido: ogni proposta gastronomica arriva dolce come i colli che circondano Bologna, ma con la nettezza e decisione del piglio marinaro di Castellammare, patria di Agostino.

Sedanorapa, mandorle, caviale di trota salmonata e olio al rosmarino

Seppia, n’duja, spuma d’aglio e lime

Quaglia, ibisco, prugne, quinoa al parmigiano e gel di scalogno
In questo piglio si sente tutto il “vivaio” delle sue prime esperienza a Vico Equense, patria in quegli anni dei
Gennarino Esposito e dei
Tonino Cannavacciuolo e delle mille stelle sparse per il territorio, che lui frequenta, con cui si confronta e apprende. E da lì nasce il suo straordinario
babà, che rivaleggia solo con quello di
Vittoria Aiello de
La Torre del Saracino. Sono diversi nella forma (“a torre” il primo, in forma di savarin quello di Donna Vittoria) ma primi nel gusto e nella sostanza, in due luoghi così distanti.
E ancora oggi è molto nei piatti di Agostino che lo lega a quelle terre. Come molte ispirazioni e discorsi nascono dal confronto col suo grande amico
Mauro Colagreco, il cui ristorante è al vertice della classifica dei World’s 50 best chef.
E nascono bene, con:
Bon bon di agnello in crosta di pane panko ed erbe amare;
La mia sfera di parmigiana di melanzane;
Wafer croccante ripieno di fegatini di pollo e gel di scalogno;
Tartelletta di mais, tuorlo d’uovo marinato, castelmagno e tartufo estivo;
Conetto con tartare di pesce bianco marinato, caprino, topinambur e liquirizia;
Tacos, avocado, tartare di tonno e gel di yuzu;
Macaron, pistacchio e mortadella;
Ravanello marinato e maionese di mitili;
E a seguire…
Ostrica Gillardeau, gelatina di campari e gelato al mango. Meravigliosa.
Sedanorapa, mandorle, caviale di trota salmonata e olio al rosmarino… leggero, soave, raffinato.
Seppia, n’duja, spuma d’aglio e lime, corposa e sapida.
Quaglia, ibisco, prugne, quinoa al parmigiano e gel di scalogno, un piccione-non-piccione di grandissima levatura.

Fassona piemontese Selezione Martini, indivia, rape rosse e bernese

Gelato alla nocciola, spuma di arachidi e gelatina al caffè

Villa Zarri vista dal drone
E poi…
Napoli incontra l’Emilia: tortelli con spuma di parmigiano farciti con ragù napoletano;
Fassona piemontese Selezione Martini, indivia, rape rosse e bernese, fresca, gustosa e mai banale;
Gelato alla nocciola, spuma di arachidi e gelatina al caffè;
E infine, il fantastico, inconfondibile, irraggiungibile
Babà a tre lievitazioni.
Un cuoco in gran forma.