18-08-2025

Racconto dell'Erbaluce di Caluso, ovvero «il nostro baluardo della felicità»

Tre declinazioni in bottiglia (bianco fermo, metodo classico e passito) con potenziale evolutivo marcato, una produzione molto limitata, ma in forte crescita e con la volontà di farsi conoscere sempre più: benvenuti in un Piemonte diverso

Una passitaia di Erbaluce Docg

Una passitaia di Erbaluce Docg

Si fa il vino per passione, tradizione, vocazione. Ma anche per essere felici. Già, nel webinar dedicato alla denominazione Caluso Docg tenuto dall’enologo Gianpiero Gerbi con Lorenzo Simone, vicepresidente del Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei vini Docg Caluso, Doc Carema e Canavese, il viaggio affascinante tra le voci dell’Erbaluce e l’identità di un territorio ha una tappa conclusiva irresistibile con il passito e l’ispirazione che lo fa definire, da Gerbi stesso, «il nostro baluardo della felicità». È il finale che avvolge tutto il nastro.

Qualcosa che sul mercato ha vita più difficile, perché i giovani non sono in coda a chiederlo:; che affronta costi elevati; ma che resiste e offre la ricchezza di storia e suggestioni, pegno tangibile di un territorio fedele a se stesso attraverso le mutazioni del tempo.

Un tesoro che non si svaluta e qui la metafora corre indietro, perché Giovan Battista Croce, gioielliere di Casa Savoia, nel 1600 parlava degli acini di Erbaluce come di pietre preziose. L’esatta citazione: "Erbalus è uva bianca così detta, come Alba Lux (Alba luce), perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio o scorza dura: matura diviene rostita e colorita e si mantiene sulla pianta assai".

Tanta ricchezza si manifesta nelle sue tre declinazioni in bottiglia, con un potenziale evolutivo marcato. «Una produzione molto limitata, ma in forte crescita – precisa Lorenzo Simone – Facciamo 800mila bottiglie di bianco fermo, 50-60mila di metodo classico e 30-40mila di passito. Cantine o viticoltori stanno lavorando per far conoscere sempre più l’Erbaluce di Caluso». Il Consorzio Erbaluce Carema è nato nel 1991, dall’evoluzione del Centro di Tutela e Valorizzazione Vini Doc di Caluso che era stato fondato da sette viticoltori cinque anni prima. Quindi l’estensione alla Doc Carema e al Canavese: oggi si contano una quarantina di soci, 260 ettari vitati, una forte presenza di vigne storiche.

Gianpiero Gerbi

Gianpiero Gerbi

Ci mettiamo allora in viaggio con Gianpiero Gerbi e ci affacciamo sul Po che divide la regione: «In quella settentrionale la viticoltura cambia, come le esigenze, il territorio, la cultura, l’identità del popolo che lo abita. Siamo a Nord di Torino, il Canavese è diviso tra una parte di valli alpine solcate dai fiumi e una di altopiano semi-pianeggiante e collinare, rappresentato dall’area da Chivasso fino ad Ivrea con i laghi… Territorio molto verde e ricco d’acqua, lo stesso nome probabilmente deriva da un’italianizzazione del termine piemontese canavus, la canapa che vi veniva filata». Nella geografia è però immersa la storia: il Canavese è tutto contornato da colline di origine morenica, dunque determinata dallo scioglimento del ghiacciaio baltico che copriva la Valle d’Aosta; scivolando qui, un milione e mezzo di anni fa, ha portato miliardi di tonnellate di detriti. Si è così formato il grande altipiano morenico, con i laghi e uno strato agrario costituito dai detriti stessi. Ecco perché ci sono molti ciottoli di fiume, strati di sabbie, limi e anche argilla. Un terreno più “giovane” rispetto a zone a Sud, come Langhe e Monferrate, emerse dal mare. Rimanendo per un attimo nella storia, pur più recente, riflettiamo sul nome e sulle tecniche: Erbaluce, questo il nome con cui è registrata, ma in Piemonte è familiare come Greco Novarese. Con la forte vigoria vegetativa, «non è facilissimo da coltivare – spiega ancora Gerbi - Ha bisogno di grande superficie fogliare e ha come impianto tipico la pergola, più espansa. L’Erbaluce è conosciuta per la elevata acidità naturale e di conseguenza Ph basso, un potenziale alcolico medio basso… Non è una varietà aromatica». Si pone subito un “ma”: «Negli ultimi anni abbiamo capito che c’è un bel tesoretto di precursori aromatici». Ci sono, cioè, sostanze odorose potenziali, come le ha definite l’enologo: non hanno “potere” nell’uva, ma nella vinificazione e nell’invecchiamento, che rende il suo passaggio nel tempo ancora più importante.

Erbaluce di Caluso

Erbaluce di Caluso

Una buccia croccante e residente, un patrimonio polifenolico estremamente interessante, una maturazione tardiva, dunque una lenta evoluzione: «Noi otteniamo un vino bianco tannico, che ha anche una presenza tattile in bocca, una profondità di gusto e persistenza».

Ma un’ultima curiosità: come può essere questa una forma identitaria in un territorio dominato culturalmente dal rosso come il Piemonte? Pur essendo marginale, è sempre stata presente in quanto legata al consumo familiare: il segreto sta anche nella buccia, che si presta alla conservazione e quindi veniva serbata nei solai delle case. Cambiano i costumi, con gli anni Sessanta e Settanta i giovani iniziano a bere lontano dalla tavola e il vino aggrega naturalmente. Altra svolta negli anni Novanta, con gli studi dell’Università di Torino su criomacerazione e malolattica. È però anche un momento in cui l’Erbaluce, con la sua acidità, rischia di non essere nelle grazie del mercato.

Oggi c’è una ulteriore consapevolezza: «Il suo carattere acido va un po’ più di moda. O siamo più elevati a livello culturale. Fatto sta che scopriamo come le caratteristiche di un vitigno vanno esaltate, non limate». Con la pressatura pneumatica, si ottiene una buona separazione del fiore e viene salvaguardato il quadro acido: questa è una strada. Ma c’è anche chi punta sulla criomacerazione, per recuperare quei polifenoli e la sua anima.

La parola a questo punto ai vini partendo dalla Tenuta Roletto, con Gran Cuvée Erbaluce di Caluso Docg. Un’interpretazione particolare di questo metodo classico senza annata, 50% di vino di riserva con affinamento in legno e una piccola percentuale di malolattica: 24 mesi, quindi con tempi accorciati. È così che mostra già una sua maturità e sa unire freschezza e un’acidità che dà appunto corpo e anima.

Filari di Erbaluce

Filari di Erbaluce

Sempre spumante, questa volta con annata, 2019, per Ciek: Nature Erbaluce di Caluso Docg, versione Pas Dosé con un lungo affinamento sui lieviti: «Ormai sta diventando il trend – spiega l’enologo - Chi apprezza il Metodo Classico di Erbaluce cerca questo carattere algido, che io chiamo il naso glaciale di questo vitigno, con sfumature concentrate sulla freschezza, arricchita dalle dolcezze di 60 mesi di affinamento». Scorre l’immagine del terreno morenico, con i ciottoli e la mineralità. Riecheggia anche il senso del tempo: «È il pegno importantissimo che chiede l’Erbaluce. Il vino è troppo sgarbato, inespressivo dopo 12 mesi, ma da 36-40 mesi l’acidità comincia a trasformarsi a livello gustativo, nonostante ciò non avvenga a livello chimico».

Ci spostiamo sul bianco fermo con Cantine Crosio e Primavite Erbaluce di Caluso Docg 2023, in una zona storica tra Caluso e Candia, sulla collina del Bric. Sensazioni fruttate di carattere a livello olfattivo, anche qui conferma il carattere del vitigno, con freschezza e piacevolezza garantite.

Così con Pozzo e Reirì Erbaluce di Caluso Docg, sempre annata 2023. Il colore, molto chiaro, si abbina sia a una gradevole corposità, sia a una netta mineralità. Reirì significa diradare in piemontese ed è quanto si fa in azienda per offrire un’esposizione ideale al sole per l’uva.

Con Giacometto Bruno assaggiamo Aὐτόχϑ∞ν Erbaluce di Caluso Docg 2020. Autoctono, prodotto biologico da vigne ancora con il loro carico d’età (sui sessant’anni), è un vino che nasce con un quadro polifenolico importante nonostante una vinificazione classica in bianco, un colore intenso. Rispetto ne è la parola chiave, e dopo quattro anni l’impatto olfattivo racconta di una seconda età che promette una irresistibile maturità. «Come un abbraccio alla bocca» è l’espressione utilizzata dall’enologo.

Ultimo round in questo solco con la Cooperativa Produttori Erbaluce di Caluso e Punto 75 Erbaluce di Caluso Docg 2020. Qui il giallo si fa brillante, il vino sta solo ora esprimendo la parte di potenziale aromatico e ci proietta verso un futuro accattivante.

Bohémien Caluso Docg Passito 2019 di Tappero Merlo

Bohémien Caluso Docg Passito 2019 di Tappero Merlo

Futuro e tempo, eppure salto all’indietro: il passito. Un peccato che tanto si sia perduto di questa tradizione: «È una delle colonne portanti dell’enologia italiana. Se facciamo grandi vini è perché abbiamo sempre fatto grandi passiti». Trascorse le feste, l’uva non consumata veniva pressata e ne derivava un nettare dolcissimo. Da una sorta di vin santo, di quelli che decretavano le ricorrenze, a un riconoscimento di qualità, perché si scelgono i grappoli migliori, con tecniche tramandate di padre in figlio, i grappoli appesi uno per uno. Il presente assicura un rapporto più equilibrato con il legno.

Cerchiamo e troviamo le prove con Orsolani, Sulè Caluso Docg Passito 2020 e le carezze del color ambra e della frutta secca, una dolcezza che si accompagna a una scossa acida capace di rinfrescare. L’ideale, ad esempio, per gustare un gorgonzola naturale stagionato. Infine, Tappero Merlo, Bohémien Caluso Docg Passito 2019. Un’azienda con un cuore antico, come la definisce Gerbi, da sempre legata al territorio; un passito che sa unire freschezza e potenza. Tutto ciò racchiuso in quella parola irresistibile: felicità.


In cantina

Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo

Marilena Lualdi

di

Marilena Lualdi

responsabile de l'Informazioneonline e giornalista di Frontiera - inserto de La Provincia, scrittrice e blogger, si occupa di economia, natura e umanità: ama i sapori che fanno gustare la terra e le sue storie, nonché – da grande appassionata della Scozia – il mondo del whisky

Consulta tutti gli articoli dell'autore