Siamo nel Piceno, nella parte sud delle Marche, una terra vocata alla viticoltura dove nel 1984 Angela ed Ercole Velenosi decisero di fondare la loro azienda vinicola. Quarant'anni dopo, Velenosi Vini è una realtà riconosciuta a livello internazionale, con una produzione che ha contribuito a portare sulle tavole di tutto il mondo denominazioni come il Rosso Piceno e il Falerio. Ad Ascoli Piceno, a circa 200 metri sul livello del mare e a venti chilometri dalla costa adriatica, la cantina è guidata da una squadra tecnica consolidata, con nomi di rilievo come Attilio Pagli e Cesare Ferrari.
Oggi, accanto ad Angela, ci sono anche i figli Marianna e Matteo, entrambi con ruoli chiave all'interno dell'azienda: Marianna, laureata alla Bocconi in Economia e specializzata in Marketing, si occupa della strategia digitale e del Marketing; Matteo, enologo con esperienze in Borgogna, ha un dottorato in Agricoltura, Biodiversità e Ambiente, e guida la produzione vinicola. Abbiamo raggiunto Angela Velenosi per un'intervista, con l'obiettivo di raccogliere la sua visione sul presente e il futuro del vino italiano.
Come descriverebbe oggi lo stato di salute del vino italiano nel panorama internazionale?
«Il settore è saturo, ma non possiamo restare fermi. Il vino italiano ha ancora una grande forza, grazie alla ricchezza dei suoi territori e dei vitigni autoctoni. Tuttavia, questo non basta più. Il Made in Italy funziona, sì, ma oggi dobbiamo comunicare con un'identità più nazionale, coesa, credibile. È il momento di sedersi a tavoli verdi e confrontarci con il mondo».
Quali sono le principali sfide per i produttori italiani, sia sul mercato interno che internazionale?
«Serve fare più impresa e non solo vino. Il mercato è in fase di stagnazione e le eccedenze sono un problema concreto: dobbiamo produrre meno e lavorare di più sulla redditività. Non possiamo più ragionare con una mentalità da contadini, che vivono giorno per giorno. Serve programmazione. La verità è che dobbiamo avvicinare i giovani, la Generazione Z, che magari beve cocktail alcolici, ma non conosce il vino. Il problema non è l'alcol, è la mancanza di cultura. Il vino deve usare un linguaggio adatto: il calice deve attrarre, non allontanare».
Come raccontare oggi un vino come la Lacrima, ancora poco conosciuto dal pubblico internazionale e giovane?
«È un vino incredibile, ma forse l'abbiamo raccontato troppo nella sua unicità e poco nel suo potenziale gastronomico. La Lacrima è un rosso fresco, contemporaneo, perfetto per abbinamenti moderni. Ha avuto un mercato regionale, ma è tempo di superare la sua dimensione provinciale. Noi ci crediamo molto: in Asia, ad esempio, è richiestissima, perché si sposa bene con cucine speziate e agrodolci».
Come si differenzia la vostra interpretazione rispetto ad altri produttori?
«Abbiamo cercato di armonizzare le due anime della Lacrima: da un lato la florealità intensa, dall'altro una struttura tannica ben presente. La nostra interpretazione punta sull'equilibrio».
Quali sono gli obiettivi a medio-lungo termine per Velenosi Vini?
«Dopo quarant'anni di lavoro e crescita, vogliamo consolidare il nostro marchio e rafforzare la marginalità, in particolare con Falerio e Rosso Piceno. Mi piacerebbe poi sviluppare il tema dell'accoglienza, perché il turismo del vino è un'opportunità straordinaria per i territori».
Quali mercati esteri vede oggi più promettenti?
«Siamo molto forti in Giappone, Corea, Indonesia. Anche il Canada è un mercato sensibile al vino italiano. Ma non dobbiamo mai trascurare Italia ed Europa. I mercati oggi cercano vini più leggeri, e con questa vendemmia proveremo – non so se ci riusciremo – a produrre anche un vino a basso tenore alcolico».
Cosa la ispira ogni giorno a portare avanti questa attività con tanto entusiasmo?
«Responsabilità, passione e futuro: questa è la mia motivazione. Ho un forte senso di responsabilità. Ogni bottiglia che esce dalla nostra cantina porta il nostro nome e quello della nostra terra. Voglio lasciare qualcosa che duri, per l'azienda e per il Piceno. I miei figli sono parte attiva dell'impresa, ci mettono passione e spontaneità. Sono orgogliosa di loro. Il mio compito è lasciare un progetto solido, che possano portare avanti con le loro idee».