Tutto è pronto a Lione: domani, martedì 24 gennaio, e mercoledì 25 si terrà la finalissima del Bocuse d’Or 2017, concorso che mette a confronto i migliori candidati di 24 nazioni di tutto il mondo. I partecipanti sono stati selezionati prima in eliminatorie nazionali, poi in “semifinali” continentali che hanno designato i 24 Paesi ammessi a Lione. Da quando esistono dunque selezioni europee (un tempo l’accesso era a invito) l’Italia non si è mai qualificata alla finalissima: alcune volte è stata ripescata ma, anche in questi casi, ha chiuso alle ultime posizioni. Un trend che va invertito: pubblichiamo a questo proposito un articolo scritto per Identità Golose dal giovane chef piemontese Paolo Griffa.
Il Bocuse d’Or è dal 1987 il più importante concorso di alta cucina al mondo. Ogni due anni, a seguito di selezioni nazionali e poi continentali, 24 nazioni scelgono il loro miglior candidato che gareggerà per aggiudicarsi il premio. La Francia e la Norvegia primeggiano, sono piazzate sul podio rispettivamente 10 e 9 volte (con 7 e 5 prime posizioni). In questi Paesi lo spirito di collaborazione da parte di colleghi e sponsor è molto forte: durante il periodo degli allenamenti il candidato è messo nelle migliori condizioni per trovarsi pronto alla finale. Grazie dunque a un sistema coeso si affrontano meglio sfide prestigiose: i risultati si sono visti. L’Italia non ha invece mai brillato in questa competizione, fatta eccezione per Paolo Lopriore, miglior piatto di pesce nell’ormai lontano 1999.

Perché sto parlando di tutto questo? Come molti sanno adoro i concorsi, la competizione e tutto il percorso di crescita che c’è dietro. Come per uno sportivo che si presenta alle Olimpiadi, il pubblico di un concorso vede solo la performance il giorno della finale, ma per arrivare a quei risultati c’è un grande lavoro da fare. Quando mi sono fissato come obiettivo di provare a portare l’Italia sul podio del
Bocuse d’Or ho dovuto prendere decisioni a lungo termine. Non è un’avventura che si affronta così dall’oggi al domani e si deve essere disposti ad ammettere propri pregi e difetti, competenze e carenze per poter crescere e sapere su cosa lavorare. E poi, direi soprattutto, bisogna trovare il sostegno di persone che ti sappiano seguire e indirizzare, perché da soli un concorso simile non lo si può superare… La mia avventura attuale è iniziata proprio così, e per queste ragioni.
Piccolo passo indietro: è stato proprio grazie a un concorso, vinto come mi è successo in altre occasioni, se finito l’Alberghiero nel 2010 sono andato a lavorare al Combal.zero di Davide Scabin, prima mia tappa professionale, durata due anni, prima di un triennio al Piccolo Lago di Marco Sacco. Dall’aprile dello scorso anno invece sono in Francia, nella regione dell'Alvernia, nella brigata del Restaurant Serge Vieira, chef a sua volta vincitore 2005 del Bocuse d’Or.
Il perché della mia scelta transalpina è presto detto. Intanto perché mi piace conoscere due culture così diverse e così fortemente radicate e intrecciate una all’altra: da una parte quella della cucina italiana, forte in gusto, storia e prodotti, e dall’altra la
grande cuisine française, precisa e tecnica, elaborata. Sono diversi modi di comprendere e concepire il cibo, ognuno da conoscere e scoprire appieno. Tutti i grandi cuochi vantano un passaggio in Francia per completare la loro formazione. Cos’hanno gli chef formatori francesi che noi non abbiamo? Devo ammettere che sanno plasmare le nuove generazioni, tramandare le conoscenze apprese, ma soprattutto sanno vendersi e valorizzare quello che hanno, fanno squadra (anche solo di facciata, ma con classe). Si può riassumere questo con l’espressione “
french attitude”.
Integrarsi in questo meccanismo per me non è stato facile: ma qui la professionalità viene rispettata, le conoscenze di ognuno sono ascoltate per poterle sfruttare al meglio e ottenere dei risultati sempre migliori.

Serge Vieira e Dan Arnold, primo e secondo da sinistra, al pass del Restaurant Serge Viera
Per me però Francia vuole dire anche qualcosa di più, come ho scritto all’inizio. Al di là della mia voglia di scoprire una cultura culinaria nuova, io sono qui soprattutto per studiare. Per apprendere il perché e il percome, per poi rielaborarlo con il mio gusto personale… E per prepararmi al
Bocuse d’Or! La scelta di questo ristorante non è stata casuale, semmai frutto di coincidenze fortunate. Il sous chef del ristorante dove lavoro è l’australiano e si chiama
Dan Arnold: è in finalissima al
Bocuse d’Or come rappresentante della sua nazione, essendo arrivato terzo alla finale asiatica.
Dove si è allenato in questi mesi in vista di Lione? Al ristorante, ovviamente! E qual era la clausola che poteva spingermi a venire al Serge Vieira? Allenarmi al suo fianco! Anche in questo periodo, durante il quale il ristorante è chiuso per ferie, nelle cucine c’è sempre stato fermento, anzi quasi di più: tutti i giorni dalle sei del mattino fino a sera un gruppo di persone delle quali ho fatto parte ha lavorato costantemente alla ricerca della perfezione, cercando di mettere in pratica le idee di Dan, perché ben figuri a Lione. Un gran lavoro per cui alla prossima finalissima sosterrò il team australiano (dato che non ci sarà il candidato italiano), aspettando di poter concorrere nella selezione tricolore per il Bocuse d’Or 2019.