Non è solo una questione di cibo. È una forma di resistenza. In Ucraina, oggi, non si prenota un tavolo con settimane d’anticipo, perché anche la giornata di domani non è garantita. A volte, una cena viene interrotta all’improvviso da un’allerta aerea: le sirene suonano, la carbonara resta fumante nel piatto, e si corre giù nel rifugio.
Altre volte, invece, non ci sono allarmi. Ma anche senza sirene, il tempo è contato. Il coprifuoco scatta a mezzanotte, e ogni cena si trasforma in una corsa discreta contro l’orologio. Una cena al ristorante è diventata, per molti, un gesto carico di senso: una parentesi fragile ma necessaria. Un modo per ritrovare l’illusione di una normalità — almeno per due ore.
"In Ucraina, oggi, non si prenota un tavolo con settimane d’anticipo. Perché anche la giornata di domani non è garantita"
Lo sa bene chi vive a Kyiv (la Kiev per gli italiani, ndr) come me. La mattina può cominciare dopo una notte difficile. Attacchi missilistici, droni abbattuti, interi quartieri danneggiati. Nell’aria, l’odore acre degli incendi si mescola al profumo del caffè. I bar aprono comunque. Anche quelli colpiti dall’onda d’urto, con le vetrate spaccate. In una scena ormai quasi abituale, una ragazza raccoglie i frammenti di vetro mentre un’altra, giovane barista, prepara espressi e cappuccini uno dopo l’altro. La macchina ronza. Poi, arriva quel momento: il primo sorso di Lavazza. E qualcosa si riallinea. Sei vivo. Respiri. Hai davanti a te un altro giorno — e non è scontato.

Il ristorante Elevato a Kiev, danneggiato dai bombardamenti...

...eppure la cucina non si è voluta fermare, da Elevato è ancora possibile gustare piatti come Dim sum con aragosta, caviale nero e oro, e cocktail come l'Olympia. Questo ristorante rappresenta un progetto di cucina contemporanea e sperimentale a Kiev, fonde influenze asiatiche ed europee. È nato nel pieno della guerra: ha aperto a marzo di quest’anno, nel centro, e pochi mesi dopo è stato colpito da un frammento di drone kamikaze
Quel “un altro giorno” arriva anche per i ristoranti come
Elevato, nel quartiere centrale e residenziale di Pechersk. È stato colpito qualche settimana fa. I frammenti del drone russo hanno danneggiato la facciata, l’onda d’urto ha infranto le vetrate. Ma già lo stesso giorno, con qualche ora di ritardo, le porte del locale si sono riaperte. «Abbiamo deciso di riaprire comunque per rispetto verso i nostri clienti, e verso noi stessi. La vita va avanti», ci ha spiegato il titolare. Cenare qui non è un lusso. È l’idea ostinata che, nonostante tutto, qualcosa continui a funzionare.
Qui persino un tavolo apparecchiato diventa un bersaglio

Yurii Gut, 66 anni, patron di Ria Pizza, tra le macerie del suo locale distrutto dai missili russi. Il 27 giugno 2023, un missile balistico russo Iskander ha colpito Ria Pizza, a Kramatorsk, nella regione del Donetsk, Ucraina. L’attacco ha causato la morte di 13 persone, tra cui quattro bambini, e il ferimento di 61, inclusi alcuni giornalisti e un bambino di otto mesi

I dipendenti sopravvissuti di Ria Pizza commemorano i loro colleghi uccisi
Quasi duemila locali sono stati danneggiati o distrutti in Ucraina dall’inizio della guerra. Alcuni sono ormai chiusi. Altri invece pieni di vita. Non
Ria Pizza, a Kramatorsk. Il 27 giugno 2023, verso le 19,30, il locale era affollato: tavoli occupati dentro e fuori, atmosfera estiva, nessun allarme. Poi, all’improvviso, l’esplosione. L’impatto ha trasformato il ristorante in macerie. Molti tra i clienti e lo staff sono morti sul colpo, altri sono stati feriti. L’attacco ha colpito il cuore di un gesto quotidiano che sembrava intoccabile. Oggi
Ria Pizza è diventato simbolo della fragilità della vita civile in tempo di guerra.
Ma in tante altre realtà, le cucine sono ancora accese.
«Facciamo più che cucinare: regaliamo un’ora di normalità»

Il bolognese Roberto Armaroli, dell'Antica Cantina di Odessa, con la sua chef Anna Grechana
Nel cuore di Odesa (la nostra Odessa,
ndr), sotto le sirene e i continui attacchi, c’è un angolo d’Italia che resiste. Si chiama
Antica Cantina, e a guidarla c’è
Roberto Armaroli, bolognese di nascita e oste di vocazione. Ha aperto il suo ristorante nel 2019, ispirandosi alle cantine del ’700 a Bologna e Firenze. La sala sotterranea è praticamente un bunker. «Quando l’ho progettata, volevo solo ricreare l’atmosfera delle vecchie osterie emiliane. Mai avrei immaginato quanto sarebbe stata preziosa in tempi di guerra». La gente qui è tranquilla, anche se a volte
Roberto deve insistere con i clienti che non vogliono scendere durante gli allarmi: «Ma io sono il responsabile, decido io: li mando giù per sicurezza». Odesa è una delle città ucraine dell'entroterra più colpite, bersaglio costante di droni, missili Iskander, Kalibr e Kinzhal lanciati dalla flotta russa nel Mar Nero. Dal 2022, oltre 130 civili sono morti e più di 300 sono rimasti feriti nei bombardamenti che colpiscono regolarmente anche le infrastrutture portuali. «All’inizio è stato uno shock. Poi ti adatti. L’uomo si abitua a tutto. Ogni mattina dico al mio staff: noi facciamo più della cucina, noi regaliamo un’ora di relax a persone stanche, esauste dalla guerra».
Tutti i prodotti alimentari — dalla farina al fiordilatte, dai salumi al parmigiano — arrivano rigorosamente dall’Italia: «Sono i marcatori identitari della nostra cucina, non si possono sostituire». Qualcosa però è cambiato: «Ho dovuto togliere i crudi di mare. Troppa incertezza alla dogana, troppi ritardi. In compenso, le carni ucraine sono eccellenti. Ma il parmigiano italiano… quello non si rimpiazza». Tra le scoperte più sorprendenti del suo vivere a Odesa c’è un piatto che non viene dall’Italia, ma che parla la stessa lingua dell’anima: i vareniki, sorta di ravioli triangolari o a mezzaluna. «Li amo, quelli con patate e funghi in particolare. Hanno qualcosa dei ravioli della mia infanzia, che mangiavo a Bologna con mia nonna. Anche se sono diversi nella forma e nell’impasto, l’idea è la stessa: un cuscino caldo, morbido, pieno di gusto e memoria. È la cucina della casa e della pace».

Armaroli e un risotto di Antica Cantina. Noi abbiamo telefonato ad Armaroli qualche giorno fa, la notte precedente era stata durissima per Odessa, era stato colpito anche il mercato storico del Pryvoz, dove lui si rifornisce abitualmente di frutta e verdura di stagione
La serata da
Roberto si chiude spesso con un gesto semplice e sincero: un bicchierino di limoncello fatto in casa, offerto ai clienti come saluto e segno di gratitudine. «Un modo per dire: grazie per essere qui». All’inizio della guerra il ristorante ha attraversato mesi di vera e propria sopravvivenza. Sei ragazze dello staff sono partite subito per il fronte, la logistica era paralizzata, i prodotti non arrivavano, e i blackout provocati dai bombardamenti russi sulla rete elettrica costringevano a lavorare solo poche ore al giorno, dalle 12 alle 16. «Non era più ristorazione - racconta
Armaroli - Era resistenza. Pensavo che con il Covid avessimo già toccato il fondo. Invece no». Oggi, dopo oltre tre anni di guerra,
Antica Cantina è tornata a pieno regime. Il locale accoglie in media 200 coperti al giorno, con servizio continuato dalle 11 alle 23, ossia fino a un’ora prima del coprifuoco. Non è come in Italia, dove si resta a tavola fino a tardi. Qui il tempo ha un altro ritmo, segnato dalle sirene e dalle restrizioni. Ma finché si può, si cucina. E si accolgono le persone, come prima, con un sorriso e un piatto caldo.
Un ristorante sotto le bombe, ma con il sogno dell'eccellenza

La carne del Beef di Kiev
A Kyiv, nel cuore della capitale, c’è
Beef, una steakhouse che ha resistito alle sfide più dure. Nel 2022 si è classificata al 76° posto nella classifica internazionale
The World’s 101 Best Steak Restaurants, mantenendo nel 2025 una posizione di rilievo al 79°. Dunque un locale importante, di successo, eppure profondamente segnato dalla guerra. Abbiamo parlato con il proprietario,
Ruslan Shybayev, in videochiamata, poche ore dopo una notte difficile: decine di droni e missili lanciati su Kyiv, otto feriti. Lo schermo mostra il suo volto segnato dalla stanchezza — occhiaie profonde, ma anche un sorriso discreto. «Dopo notti così bisogna comunque alzarsi e lavorare. Lo dobbiamo anche ai nostri militari. Se un giorno abbiamo deciso di restare, dobbiamo portare avanti quella scelta».

Olexander Prokhorov, capo sommelier del Beef, è andato a combattere al fronte

Un cuoco del Beef ora cucina per i commilitoni nella cucina del suo campo militare. Indossa ancora la divisa con la scritta "Beef"
All’inizio della guerra, il 40% del personale è andato via: gli uomini al fronte, le donne all’estero. L’ex chef-sommelier ha lasciato la sua divisa bianca per quella dell’esercito e oggi guida droni. Un altro cuoco, con ancora addosso un vecchio grembiule marchiato
Beef, cucina per i commilitoni nella cucina del suo campo militare. Il menu di
Beef resta comunque un punto d’orgoglio. Al centro c’è la
Ukrainian Beef Selection, con carne proveniente da allevamento locale. «I nostri allevatori sono attenti e precisi. Lavoriamo insieme sulle tecniche di alimentazione, sul controllo sanitario: niente ormoni, niente antibiotici.» La razza dominante è la Blu Belga, ma il progetto più ambizioso è la nascita di un wagyu ucraino, frutto dell’incrocio tra una vacca Holstein e un toro giapponese nero. «Tre manze e cinque tori sono nati a dicembre. Bisogna aspettare. Ma sarà una scoperta».

L'allevamento presso cui si rifornisce Beef. La cucina continua, anche sotto le bombe
Accanto ai grandi classici internazionali — tartare di manzo, foie gras St. Sever Label Rouge, consommé con guance di vitello, petto d’anatra contadino, carré di agnello neozelandese, asparagi alla griglia con noci tigrate — il menu celebra anche la cucina locale. I sapori unici ucraini di patate, pomodori, cetrioli. Ma pure la colazione, che in Ucraina è un rito. Con la chef
Olga Martynovska, giudice di
MasterChef Ucraina, è nato un menu mattutino che ruota attorno a un piatto identitario: il porridge di grano saraceno. Una base semplice e nutriente, che racconta l’anima del Paese. Servita con carne brasata o salsiccia biologica, è una ricetta che «trovi solo qui».
"Tra un’allerta e l’altra, dopo notti insonni e turni estenuanti, il personale torna in sala, lo chef si rimette il grembiule, e la cucina riparte"
Beef non è solo cucina: è anche solidarietà. Il team ha recentemente raccolto 8.300 euro per acquistare un pickup destinato alle truppe ucraine nella zona di Bakhmut. «Serviva per evacuare i feriti dal campo. Laggiù mancava tutto». Preparano anche razioni alimentari per il fronte. «Ognuno combatte a modo suo». Tra un’allerta e l’altra, dopo notti insonni e turni estenuanti, il personale torna in sala, lo chef si rimette il grembiule, e la cucina riparte.
È così che, anche sotto le bombe, gli ucraini continuano a dirsi Smachnogo!, buon appetito.