Leticia Landa, studi in antropologia all’università di Harvard, imprenditrice texana figlia di messicani emigrati negli Stati Uniti, è la vincitrice della decima edizione del Basque Culinary World Prize per lo straordinario lavoro svolto a partire dal 2008 con La Cocina, progetto avviato nel 2005 e pensato per aiutare chi opera, da cuoco e, soprattutto, da imprenditore nel mondo dell’accoglienza e della ristorazione partendo da situazioni di disagio economico e sociale, i disagi personali e quelli della comunità di origine.
Con una spiccata attenzione all’universo femminile, ben lontano dal mito dell’angelo del focolare. La logica di
Leticia è molto semplice: «Quando le donne guadagnano, creano opportunità per i loro figli e le loro famiglie». E si scrollano di dosso le più disparate forme di patriarcato. Tra i suoi laureati ci sono Veronica Salazar, fondatrice di El Huarache Loco, da vent’anni un'istituzione culinaria; Reem Assil, di Reem's California, autrice di Arabiyya: Recipes from the Life of an Arab in Diaspora; Fernay McPherson di Minnie Bell's Soul Movement, stella nascente nel
panorama di San Francisco; Nite Yun, rifugiata cambogiana e proprietaria di Lunette, presente in Chef's Table su Netflix; e Koji Kanematsu, titolare di sei ristoranti giapponesi chiamati Onigilly nella baia della metropoli californiana.
Oggi sono circa cento le aziende in attività lanciate dalla vincitrice, una 40ina nella sola baia di San Francisco, il 70 per cento delle quali con almeno dieci anni di impegno alle spalle. A Leticia il premio di 100mila euro che investirà nella sua struttura, lei distante anni luce dalla visione
violenta e respingente che anima l’attuale presidente degli Stati Uniti
Donald Trump.
Ha detto il presidente della giuria Joan Roca: «Il programma guidato dalla Landa dimostra come la cucina possa essere un potente strumento di inclusione, indipendenza economica e dignità, in grado di trasformare vite e intere comunità». Proprio per questo fa paura a chi crede nell’azione Maga.
Non solo lei. Hanno ricevuto menzioni speciali gli altri due finalisti, João
Diamante, cresciuto alla scuola di Alain Ducasse, per il lavoro che svolge in una favela di Rio, per offrire una via di riscatto economico e sociale attraverso la ristorazione. Il suo locale, Dois de Fevereiro, è una vetrina dove mettere in mostra la cucina afro-brasiliana. Con lui, Mathew Evans, giornalista e divulgatore di origine gallese, che nell’australiana Tasmania, promuove metodi perché vi sia una reale produzione alimentare etica e sostenibile, fatti concreti e non simpatiche banalità.
Nell’occasione, in una giuria presieduta da Joan Roca, si sono ritrovati a
San Sebastian, assente Massimo Bottura, Gastón Acurio, Pía León, Yoshihiro Narisawa, Manu Buffara, Elena Reygadas, Trine Hahnemann, Thitid Tassanakajohn, Josh Niland, Narda Lepes, Mauro Colagreco, Aitor Arregi, Diego Guerrero, Michel Bras ed Elena Arzak. Alcuni tra loro hanno dato vita, assieme ad altri chef come Angel Leon di Aponiente, alla prima edizione di Talaia, tema il mare.
Il tutto all’interno di Goe, il Gastronomy Open Ecosystem in centro città, emanazione appena inaugurata del Basque Culinary Center, un edificio
avveniristico e green, progettato dall’architetto danese
Bjarke Ingels. A vederlo da un’estremità, quella verso le colline, ricorda un’onda, mentre al capo opposto sembrano cassetti posti uno sopra l’altro e spaiati tra loro. Ha accolto i primi visitatori lunedì 20 ottobre, un migliaio di cittadini a cui svelare la splendida realtà, un ateneo che non ricorda le classiche struttura a cui siamo abituati, ad aule, a laboratori, a computer. Il prossimo appuntamento tra un mese, il 19 e il 20 novembre, con la premiazione di
Leticia Landa e l’inaugurazione ufficiale di
Goe.
Il
Basque Culinary World Prize vede agire, fianco a fianco, il
Basque Culinary Center e il Governo Basco. Tanti, tutti in pratica, invidiano il supporto che il secondo riconosce al primo, il sottoscritto compreso. Sbagliano invece coloro che credono che bastino i soldi pubblici perché abbia il successo che ha. Prima vengono le idee e l’ateneo guidato da
Jose Mari Aizega ne ha tante e che abbracciano il mondo, non solo i Paesi di lingua spagnola. Se poi hanno successo arrivano i finanziamenti. Nessuno
investe nella mediocrità. Sarebbe una lezione per noi italiani.
Siamo abituati all’universalità del BCC, forte ad esempio di un consiglio di esperti, tutti chef, che arrivano da ogni angolo del pianeta. Però aprirsi fuori dai confini regionali non è affatto la regola nei Paesi Baschi. Un esempio: l’Athletic Bilbao tessera solo calciatori baschi. A livello di ateneo una chiusura al mondo sarebbe invece letale.

Il Goe, il Gastronomy Open Ecosystem appena inaugurato a San Sebastian