19-06-2025

Heard, il podcast di Ryan King: otto episodi per cambiare la cultura tossica della ristorazione

Il food writer inglese ha creato una serie che esplora il tema della salute mentale nel settore attraverso interviste a chef, psicologi e coach. In arrivo una seconda stagione dedicata alle competenze imprenditoriali

Il podcast Heard si può ascoltare sia su Apple Po

Il podcast Heard si può ascoltare sia su Apple Podcast che su Spotify

Da pochi giorni è uscito il settimo episodio di un podcast, realizzato da un giornalista gastronomico inglese: si intitola Heard questo podcast, e il settimo episodio è dedicato allo chef e ristoratore neozelandese (ma lavora a Melbourne, dove ha un ristorante chiamato Attica) Ben Shewry e al tema dell'ossessione in cucina. Proprio la lunga intervista con Shewry rappresenta un momento cruciale per la prima stagione di Heard, secondo il suo creatore Ryan King: «Ben incarna perfettamente molti temi che abbiamo affrontato nei precedenti episodi, come quando abbiamo parlato con una performance coach, che ci ha spiegato che un cambiamento efficace si ottiene dividendo il problema che si vuole aggredire in problemi più piccoli e gestibili. E poi parli con Ben e la prima cosa che dice è: "Non l'ho fatto dall'oggi al domani. Ci sono voluti dieci anni. È lavorando su piccoli cambiamenti progressivi che si può davvero fare la differenza"».

Heard infatti è un podcast che parla di ristoranti, di cultura della ristorazione e nella ristorazione, con un obiettivo molto esplicito: promuovere un cambiamento. La serie nasce da un lavoro giornalistico di spessore, con approfondimenti intelligenti e di impatto, che si concentrano sulla crisi della salute mentale nel settore dell'ospitalità. Esplora la storia e l'evoluzione della qualità della vita di chi lavora nei ristoranti e analizza il ruolo dei media gastronomici nel romanticizzare e normalizzare la cultura tossica delle cucine. Non si tratta di numeri astratti: secondo il Center for Disease Control and Prevention americano, chef e bartender registrano tassi di suicidio significativamente superiori alla maggior parte delle altre professioni. E il 60% di chi lavora nell'industria dell'ospitalità ha dovuto affrontare, in qualche forma, almeno un problema di salute mentale. 

Ryan King sul palco del congresso di Identità Milano

Ryan King sul palco del congresso di Identità Milano

E' da qui che è partito Ryan King, giornalista inglese con 15 anni di esperienza nel settore, che nel 2017 la Guida di Identità Golose aveva premiato come food writer dell'anno, quando King era il responsabile editoriale del sito Fine Dining Lovers. Per realizzare Heard collabora con la produttrice Helen Brown: «È una cosa particolare perché Helen era la mia mentore quando lavoravo alla BBC, è stata lei a insegnarmi a lavorare in radio. Di recente ha lasciato la BBC e ha fondato la sua società di podcast chiamata Purposeful Podcasts. Stavo cercando di fare tutto da solo e giravo a vuoto: lei mi ha aiutato a trovare la giusta direzione». Un team di sole due persone per quello che King definisce «un progetto monstre» che ha richiesto un anno e mezzo di produzione, dopo anni di riflessione sull'argomento.

La serie si distingue per un approccio giustamente multidisciplinare: dopo il primo episodio in cui a parlare sono quasi esclusivamente degli chef - tra cui Amanda Cohen, JJ Johnson, Greg Baxtrom, Chris Shepherd e Harold Villarosa - il podcast esce letteralmente dalla cucina per esplorare soluzioni concrete ai temi messi al centro di Heard. Gli episodi successivi infatti vedono protagonisti psicologi dello sport, fisiologi che misurano lo stress fisico del lavoro in cucina, performance coach che lavorano con startup di successo, imprenditori che stanno creando sistemi di assistenza sanitaria accessibile per il settore della ristorazione. «Tutti sappiamo che c'è un problema», sottolinea King parlando con Identità Golose: «Gli chef lo ammettono e tra di loro ne parlano molto spesso. L'obiettivo era dare una scossa a questo settore».

Infatti il podcast parte da un concetto fondamentale: il cambiamento. Da dove nasce questo spunto?
Questi temi vanno affrontati in modo diretto: perché, sebbene sappiamo che questi siano problemi veri, non si cercano soluzioni concrete? Se continuiamo solo a ripeterci che ci sono dei problemi, senza proporre soluzioni, non faremo mai progressi reali. Questa industria necessitava di una prospettiva diversa, di voci esterne che potessero offrire strumenti concreti per il cambiamento.

Un altro concetto centrale in Heard è quello della cura, del prendersi cura dei ristoranti e soprattutto di chi ci lavora. Da dove viene questa idea?
Per anni la frase che avevo nella biografia del mio Instagram era: "La tavola è il palcoscenico della vita". Ma non avevo ancora trovato il modo per spiegare esattamente cosa intendessi. Attraverso le interviste che ho realizzato per Heard, in particolare con psicologi e sociologi, ho iniziato a comprendere il concetto di "terzo luogo" e quanto sia importante per la società. I ristoranti sono molto più che luoghi dove si mangia bene. Sono spazi dove ci incontriamo, dove creiamo connessioni tra di noi, dove ci permettiamo di essere veri e vulnerabili, dove succedono cose importanti della vita. Per questo dobbiamo avere cura del benessere di chi questi posti li guida e ci lavora. Ogni episodio inizia con un racconto personale, con una voce che racconta come un ristorante è stato importante nella sua vita: una madre il cui figlio ha fatto coming out a tavola in Grecia, altri che a tavola hanno incontrato la persona della propria vita. Volevo sottolineare elementi che non hanno a che fare con il cibo, perché nel nostro mondo parliamo sempre troppo di quanto sia leggero un impasto o goloso un hamburger. Ma i ristoranti sono più potenti di così. Sono ancora il posto dove automaticamente giriamo il telefono a faccia in giù, dove ci guardiamo negli occhi, dove ci parliamo davvero. Vale anche per me: ricordo che io e te ci siamo conosciuti anni fa al Pont de Ferr. Non ho memoria dei piatti che abbiamo mangiato, ma ricordo quel tavolo, le conversazioni, le risate. C'è qualcosa di magico nel sedersi a tavola e poco importa che succeda in un elegante ristorante di cucina d'autore o in una trattoria popolare. E se i ristoranti sono così fondamentali per il nostro benessere sociale, allora dobbiamo prenderci cura delle persone che li animano.

Harold Villarosa

Harold Villarosa

Nella pratica, per fare questo podcast sei andato da molti professionisti del settore a dire loro che dovrebbero prendersi più cura di sé stessi. Mi ha colpito una frase che dici in uno degli episodi: "Spesso gli chef si prendono più cura delle carote che cucinano, che di loro stessi". Non hai ricevuto anche risposte difensive, o di rifiuto, su questi argomenti?
Certo che sì. E' successo anche con Ben Shewry, quando gli ho chiesto del suo orario di lavoro. Perché se il suo team lavora 38 ore settimanali, per lui è molto diverso. Lui mi ha risposto che essendo il proprietario, non possono valere gli stessi ragionamenti. Ho provato a ribattere, a incalzarlo, capendo che l'intervista a quel punto avrebbe potuto deragliare e mi sono fermato, comprendendo come quella persona stesse attivamente combattendo anni di status quo. Mi viene in mente anche un altro episodio, in cui Harold Villarosa prima ammette che tutto deve cambiare, poi si ferma e dice: "Sai cosa mi manca? Le giornate di 16 ore". E io gli rispondo che nessuno dovrebbe sentire la mancanza di giornate lavorative di 16 ore, è come il lavoro in fabbrica durante la Rivoluzione Industriale. Credo che per affrontare questi argomenti la chiave sia partire dall'empatia, mostrando anche la propria vulnerabilità. Nell'ultimo episodio tocchiamo temi ancora più delicati, avendo messo intorno a un tavolo diversi chef per ascoltare i loro pensieri e le loro esperienze: interviene uno di loro, che non ha ricevuto la stella Michelin che pensava di meritare e che sta lottando con l'autolesionismo. A quel punto intervengo io, decidendo di parlare della mia esperienza con la psicoterapia, per creare uno spazio sicuro. Poi succede qualcosa di magico, un altro chef interviene dicendo: "Ho vinto molti premi negli ultimi due anni, ma è stato l'anno più solitario della mia vita". A quel punto divento invisibile, come Homer Simpson in quel meme, quando si nasconde nel cespuglio - il meglio che possa capitare a un giornalista. Mi capita di ricevere ancora commenti che mi dicono: "Questa è roba da gay" o "Se non sopporti la pressione, esci dalla cucina". Ma so che sono meccanismi di difesa, significa che abbiamo toccato un nervo scoperto. I giovani sono certamente più ricettivi. Ma se penso ai proprietari dei ristoranti, in particolare post-pandemia, credo proprio che non sia più solo una questione etica, ma economica. L'imprenditrice Elizabeth Tilton lo dice chiaramente: assumere e formare qualcuno costa 5-7000 dollari. Perdere un investimento di questo tipo per mancanza di attenzione e cura verso il personale è anti-economico.Se non vuoi cambiare per etica, fallo per business.

Ryan, tu conosci bene l'Italia e la ristorazione italiana, che sicuramente si distingue da altri contesti per la sua forte componente di imprenditoria familiare. Come vedi la situazione nel nostro paese rispetto a quanto hai osservato altrove?
Questa è la domanda scomoda, vero [Ride, ndr]? Ma non mi tiro indietro. Una differenza fondamentale è che in Italia, diversamente dagli USA, avete l'assistenza sanitaria pubblica. Negli Stati Uniti puoi tagliarti due dita e dover decidere quale ricucire, perché l'assicurazione non copre entrambe. È una differenza abissale. C'è più protezione sociale, anche l'importanza delle mance è molto diversa. Hai menzionato la famiglia, ed è vero che è centrale nella ristorazione italiana. Ma attenzione: anche in famiglia possono esserci abusi. E può capitare che sei famiglia finché non decidi di contestarne le regole, o di andartene. Quando dissi a mio padre che andavo all'università invece di lavorare con lui, rimase mio padre. In certi ristoranti "familiari" non funziona così. Il problema è diffuso ovunque e in questo contesto l'ego è un tema enorme - Ben Shewry lo racconta molto bene. Se l'ego è la prima cosa che porti al lavoro con te, non prenderai mai decisioni giuste per il tuo team. Se i ristoranti sono davvero "famiglia", quando qualcuno non ce la fa, quando qualcuno esprime le proprie difficoltà, lo devi ascoltare.

Ben Shewry

Ben Shewry

Avete già in mente una seconda stagione?
Sì, con un'idea emersa proprio dalle conversazioni con gli chef. Un tema ricorrente è la mancanza di competenze imprenditoriali e di business. Greg Baxtrom nel primo episodio dice: "Ho sulle spalle 10.000 ore in cucina, ma dove trovo 10.000 ore di esperienza come imprenditore?". E alla fine dell'intervista con Ben Shewry - non voglio anticipare troppo - gli offro metaforicamente un assegno in bianco, chiedendo cosa farebbe per l'industria della ristorazione. La sua risposta? "Formerei camerieri, sous chef, cuochi di linea, lavapiatti nel business, perché sono loro che dovrebbero aprire i prossimi ristoranti". La seconda stagione si concentrerà sul business, ma con un approccio diverso. Non solo interviste, ma un vero percorso problema-soluzione. Se uno chef ci dirà: "Avevo un ottimo ristorante, sembrava andare tutto bene, dopo due anni ho dovuto chiudere. Cosa ho sbagliato?", esamineremo i conti con un commercialista, i contratti con un avvocato, cercheremo risposte concrete. O ancora: "Voglio aprire il mio primo ristorante a New York. Come trovo investitori? Come scelgo la location?". L'idea è ascoltare le storie e le domande di persone reali, per trovare risposte altrettanto reali. Perché se Ben Shewry, senza alcun suggerimento da parte mia, mi dice che questo è il prossimo grande problema da affrontare, significa che è davvero il momento di occuparsene.


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Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Niccolò Vecchia

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Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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