Quando Paolino (Marchi) mi suggerisce un articolo, un libro, un salame o la visita in un ristorante, prendo seriamente i suoi consigli, ma mercoledì “Gli esercizi alla sbarra” di Laura Lazzaroni mi hanno gettato in una cupa frustrazione. Mi sono sentito terribilmente provinciale. Innanzitutto, a parte Luigi Cremona ed Enzo Vizzari, non conosco nessuna delle persone citate. Mi sono trovato come uno studentello di fronte ai fondamentali “my name is” “the pen is on the table”. Poi ho rischiato il coccolone quando ho capito che la mia carriera di – come definirmi? Critico, gourmet con la penna, autore di una rubrica di cucina? - era a rischio. Non sono mai stato a el Bulli. Non perché iscritto al partito anti-sifone o tesserato del club snobistico di coloro che mal sopportano il successo e la visibilità altrui. Ci sarei andato, prima o poi, poi Ferran ha chiuso. Mannaggia.
Mi è venuto in mente che non sono mai stato neanche da Peppino Cantarelli a Samboseto o al Trigabolo di Argenta e in tanti altri posti che avrebbero meritato una visita, per il mio piacere, prima che per imparare. Infine ho guardato la mia biblioteca stracolma di libri di argomento enogastronomico (praticamente me ne arriva uno al giorno e presto ci metterò anche il mio) e ho cercato qualcosa che potesse stare alla pari con un trattato sui brodi medicinali francesi del Settecento. Forse il bellissimo “Per le scale di Sicilia” di Pino Cuttaia.

PIONIERE. Peppino Cantarelli della Trattoria Cantarelli di Samboseto, frazione di Busseto, Parma (foto Papero Giallo)
Ma il momento più drammatico, lo confesso, è stato quando ho letto della leggendaria
Judith Jones secondo cui, invitati a cena, non ci si può presentare con qualcosa di diverso da una bottiglia di vino, soprattutto mai con un piatto che sconvolga il menu del padrone di casa. Crisi nera. Quella sera stessa, infatti, dovevo andare a casa di amici. Siccome hanno una conoscenza di vini eccezionale, ma soprattutto una delle più invidiabili cantine private che io conosca, avevo costretto mia moglie a fare quello che io consideravo qualcosa di speciale, qualcosa che non è facile trovare, neanche in Liguria dove tradizionalmente viene preparata: una torta di riso. Per cui ho tirato un sospiro di sollievo quando mio figlio, incaricato di controllare il forno, l’ha lasciata inopinatamente bruciare. Siamo salvi, ho detto a mia moglie, appena rientrata. Ripariamo sui fiori o, restando in tema enogastronomico, gli portiamo una bottiglia di vino, ho anche quella giusta, che non hanno sicuramente, un Valpolicella del mio amico
Alberto Malesani, allenatore di calcio e ora anche
splendido vignaiolo. Mia moglie mi ha risposto: “Ti sei fumato qualcosa di forte?”. E ha rimesso su una torta di riso a tempo di record. Anche meglio di quella di prima, secondo me. Non abbiamo sconvolto il menu. Loro se la stanno mangiando ancora adesso. Nei giorni successivi è anche meglio.
Il racconto (della torta) è vero, su tutto il resto ho giocato un po’. Insomma, leggendo
Laura Lazzaroni, che non conosco ma con cui mi farebbe piacere discorrere, dico che condivido le linee guida, i principi del suo ragionamento. Secondo me in questo, come il qualsiasi mestiere, occorrono preparazione, intelligenza, esperienza, conoscenza, esercizi alla sbarra, talento. Se questo non ce l’hai, però, di esercizi alla sbarra ne puoi fare fino a
catafotterti (cfr.
Montalbano) ma non arrivi da nessuna parte. La cucina ora buca il video, la carta, il web, il cinema e quindi ci siamo ritrovati con 60 milioni di critici, improvvisati come poco prima erano improvvisati nel ruolo di c.t. della Nazionale. Giusto pretendere serietà e preparazione.

EMOZIONI. L'uovo di seppia di Pino Cuttaia, chef de La Madia di Licata
Però sono anche contrario a regole più o meno scritte e alla costituzione dell’ordine dei critici. Ho molti dubbi su quello dei giornalisti. Per me, che vengo, come
Paolino, dal giornalismo sportivo, è il campo che dice il tuo valore, non quante Olimpiadi o quanti Mondiali del Mondo hai fatto, da atleta o da giornalista. Questi accrescono la tua esperienza, ma la cucina, come lo sport, non è solo un fatto tecnico, per me è soprattutto emozionale. E le emozioni sono sempre diverse, personali. Mi sono perso
Peppino Cantarelli, ma non
Massimo Bottura. Chi ha mancato
Gualtiero Marchesi in Bonvesin della Riva ha la fortuna di avere i suoi allievi,
Cracco,
Berton,
Oldani, a portata di viaggio. Adesso mi metto a leggere
Cuttaia. Non so cosa siano le equazioni della fermentazione, però quando ho assaggiato l’
Uovo di Seppia di
Pino mi si è aperto un mondo. Non ero a Licata, non ero in Italia, ero ovunque. Ero felice.