17-11-2014

Gli esercizi alla sbarra

Le competenze base del critico gastronomico nelle acute riflessioni della "giornalista dell'anno"

Laura Lazzaroni, premiata una settimana fa da Eata

Laura Lazzaroni, premiata una settimana fa da Eataly Smeraldo a Milano come "giornalista dell'anno" dalla Guida ai ristoranti di Identità Golose 2015. Caporedattrice de L'Uomo Vogue, con una lunga militanza negli Stati Uniti, si è interrogata per noi sulla figura del critico gastronomico del futuro (foto Brambilla-Serrani)

Qualche giorno fa il Wall Street Journal ha pubblicato un bel ritratto di Judith Jones, editor - sconosciuta ai più ma leggendaria per gli addetti ai lavori - di grandi classici della letteratura di cucina americana: il più celebre forse è “Mastering the art of French cooking” di Julia Child, ma la Jones ha curato - in alcuni casi come si fa con l’arte, in altri come con un paziente difficile - i testi di molti luminari del settore.

Oggi, 90enne, risponde alle domande con un mix di pragmatismo, impazienza e umorismo: disapprova se gli invitati a cena portano qualcosa di diverso da una bottiglia di vino, perché «passi un sacco di tempo a pianificare un menu bilanciato e ti arriva qualcuno con una cupcake». Spiegando come si impara a far da mangiare tra le mura domestiche, usa la metafora del balletto: «Non si affrontano le piroette prima di avere perfezionato le figure fondamentali», gli esercizi alla sbarra. Lo stesso si può dire di qualunque hobby o professione, certo, ma occorre chiarire di volta in volta cosa s’intende per “esercizi alla sbarra”.

Da qualche tempo ragiono sulla figura del critico gastronomico del futuro. Non recensisco ristoranti, ma sono affascinata da chi lo sa (ben) fare. Ho sempre avuto un debole per Ruth Reichl. L’ho intervistata nel 2005, quando dirigeva Gourmet: era appena uscito “Aglio e zaffiri”, il memoir in cui raccontava gli anni da critico gastronomico del New York Times, inclusi i travestimenti stravaganti con cui aveva cercato di mantenere l’anonimato. Mi piacciono Frank Bruni (per colpa – merito? – suo sono andata a cercare una delle “best steaks in town” nel ristorante del Penthouse Club) e Sam Sifton, successori della Reichl al quotidiano, Adam Platt del New York Magazine e Robert Sietsema, storica firma del Village Voice.

I FONDAMENTALI. Judith Jones, leggendaria editor americana: «Non si affrontano le piroette prima di avere perfezionato le figure fondamentali» (foto Caleb Kenna per the Globe)

I FONDAMENTALI. Judith Jones, leggendaria editor americana: «Non si affrontano le piroette prima di avere perfezionato le figure fondamentali» (foto Caleb Kenna per the Globe)

Impallidisco quando mi raccontano di Luigi Cremona, che è capace di leggere un piatto con una profondità e una sensibilità tali da entrare in correzione sulla ricetta, a vantaggio dello chef. Enzo Vizzari è un monumento nazionale. Alcuni colleghi della mia generazione scrivono di ristoranti con grande competenza e passione: non li cito solo perché sono amici. Ma chi prenderà il loro posto in futuro? Me lo chiedo spesso. Per dirla alla Judith Jones: quali sono gli “esercizi alla sbarra” per un giovane che nel 2014 decide di diventare critico gastronomico?

Forse, prima ancora di ragionare sulla formazione, bisognerebbe chiedersi se la figura del critico è sostenibile, se ci sarà ancora bisogno di qualcuno in grado di dare di un ristorante un giudizio tecnico, oltre che emozionale. Io credo di sì. Oggi si scrive tanto (troppo: sulle nuove piattaforme abbiamo guadagnato in immediatezza e accesso, ma stiamo perdendo in selezione) dei luoghi della ristorazione, ma prevale un taglio acritico, oppure entusiastico a priori. Non possono essere tutti bravi. Il lettore che affida a un articolo la decisione su come investire tempo e denaro merita di più. E merita di più lo chef che sacrifica tutto per la cucina, in un continuo processo di ricerca, errore e perfezionamento. Chi in futuro si assumerà la responsabilità di scrivere per loro, di loro? Con quali strumenti?

FARO. Ruth Reichl, critica e scrittrice newyorkese, classe 1948

FARO. Ruth Reichl, critica e scrittrice newyorkese, classe 1948

Ruth Reichl sosteneva che «non occorre saper fare da mangiare bene per essere un bravo critico». Ma ciò non esonera dal dovere di conoscere tecniche e modalità della cucina professionale. Il critico del futuro dovrà studiare (esistono, volendo, corsi specializzati), leggere voracemente, dai trattati sui brodi medicinali del Settecento ai ricettari francesi, dalle tabelle di calcolo del food cost alle equazioni della fermentazione; parlare il più possibile con i cuochi, trascorrere del tempo nelle loro cucine; frequentare congressi. Dovrà coltivare una scrittura bella e “socialmente utile”: evitando il gergo laddove svolge una funzione esclusivamente autoreferenziale, curando lo stile (si può essere tecnici e musicali, chirurgici e colti), trasferendo un’informazione che sia al servizio del lettore, non di chi scrive.

Poi c’è il palato, che è per tre parti innato e per due parti plasmabile con l’esercizio continuo. L’esperienza, dalle osterie agli stellati, è cruciale: il nostro aspirante critico non dovrà mai smettere di mangiare, spingendosi al di fuori della propria comfort zone, e dei confini del proprio paese. Provare tutto, riprovare, e poi da capo, con passione e concentrazione. E qui, per lui, sorgerà l’ostacolo più grande. Perché certe insegne rivoluzionarie, pietre miliari su cui poggia la migliore gastronomia contemporanea, non esistono più e mai più potranno essere visitate. Ogni generazione deve fare i conti con il venir meno di alcuni punti di riferimento, ovvio, ma qui parliamo di innovatori, nel contesto di due realtà – quella dell’alta ristorazione moderna e della critica gastronomica – relativamente giovani.

FINE DEL FILM. 31 luglio 2011: Ferran Adrià chiude per sempre il Bulli. E chi non c'è mai stato? (foto Josep Lago/AFP/Getty Images)

FINE DEL FILM. 31 luglio 2011: Ferran Adrià chiude per sempre il Bulli. E chi non c'è mai stato? (foto Josep Lago/AFP/Getty Images)

Chi, come me, non ha mai provato El Bulli come potrà incorporare quella lezione fondamentale nella propria lettura di un piatto di oggi? È un esempio, se ne potrebbero fare altri. E il problema è che questo schiacciamento di prospettiva storica impedisce una critica realmente “verticale”, capace di creare collegamenti nel tempo, oltre che nello spazio del presente. La cucina non esiste in un vuoto pneumatico e ogni piatto contiene i geni di molti piatti del passato. Bisogna conoscerli per ri-conoscerli. .

Un aspirante critico cinematografico potrà sempre riguardare Kubrick, Cocteau, Kurosawa e Rossellini. Arthur Rubinstein e Arturo Benedetti Michelangeli sopravvivono nelle registrazioni di esecuzioni memorabili. Una volta chiuso, un ristorante è - per chi non c’è stato – un’esperienza persa per sempre. Remise en scène come “Next vs. El Bulli”, “capsula” temporanea del ristorante di Adrià ideata da Grant Achatz nel 2012, sono geniali ma effimere e comunque slegate dal contesto originario (un piatto è cibo+ambiente+momento).

A volte fantastico di una grande enciclopedia di piatti fondamentali della gastronomia moderna, centinaia di piatti, con illustrazioni o fotografie, e descrizioni minuziose. Nulla può restituire la potenza di un’esperienza fatta in prima persona, soprattutto quando si parla di sapore, piacere e bellezza, ma si dovrebbe poter almeno studiare, se non più provare. Non credo esista un’opera simile (ho trovato elenchi più o meno interessanti, ma non un indice universale): forse dovremmo cominciare a produrla.


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Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Laura Lazzaroni

Caporedattore Attualità de L'Uomo Vogue, racconta il cibo con approfondimenti e interviste. Ha trascorso 5 anni a New York per D – La Repubblica delle Donne e sta scrivendo un libro su pane e vecchie varietà di grano

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