29-09-2023

Eredità indesiderate per le nuove generazioni nella ristorazione italiana

Il mondo cambia velocemente, ma i ristoranti? Secondo Piero Pompili, direttore di sala di Al Cambio, Bologna, occorrono scelte radicali che agevolino il dipendente, più "contenuti-verità" in tv e fiducia in una generazione che sa fare squadra

Piero Pompili, restaurant manager del ristorante 

Piero Pompili, restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna

Per noi di Identità Golose non esistono disparità di valore tra sala e cucina: il ristorante è un piccolo universo che ne riflette la necessaria complementarità. Ecco perché non è passato inosservato il problema del personale nella ristorazione, relativamente al mondo della sala come accade da anni, ma ormai anche in brigata.

Abbiamo così avviato un’inchiesta coinvolgendo diversi tra i restaurant manager e i patron di tutta Italia, chiedendo loro di condividere le proprie riflessioni e, ove possibile, le potenziali soluzioni alle criticità che il settore vive oggigiorno.

Oggi proseguiamo con il pensiero del restaurant manager di Al Cambio (Bologna), Piero Pompili, di cui vi abbiamo dato un primo assaggio nell'articolo Tutt'altro che imprenditoriale e moderna: la ristorazione italiana paga il prezzo delle sue scelte "di comodo". Buona lettura!

Qui Al Cambio, sul piano pratico, ancor prima della pandemia, abbiamo messo in piedi un sistema di lavoro secondo il quale 8 ore di lavoro sono più che sufficienti per gestire un ristorante di successo. Siamo aperti dal lunedì al venerdì a pranzo e cena, il sabato sera solo a cena e la domenica siamo chiusi. Abbiamo circa 35 coperti e non effettuiamo doppio turno, prendiamo prenotazioni non oltre le 13.30 a pranzo (il ristorante chiude tassativamente alle 15) e la sera, a cena, non accettiamo prenotazioni oltre le 20.30. Si tratta di un meccanismo che, unito alla velocità di servizio, ci permette di uscire dal ristorante a orari impensabili in altri: la cucina a pranzo esce mediamente alle 14.30 e a cena alle 22.30, ma per permettere questo è necessario avere tanta, ma tanta richiesta e far sì che la gente si adegui alle tue esigenze e orari e non ai suoi. Nei giorni festivi il ristorante resta chiuso permettendo così a tutti i miei collaboratori di stare con le proprie famiglie e da un po’ sto lavorando anche alla possibilità di chiudere il sabato sera, creando continuità con la domenica (chiusura che solitamente già impostiamo nei mesi di luglio e agosto). L’obiettivo è quello di distribuire i 35/38 coperti del sabato sera nei 10 servizi della settimana aumentando di poco l’apertura della cucina e facendo in media due ricambi a servizio, un obiettivo in realtà facilmente raggiungibile. Ma per poterti permettere una scelta simile, bisogna lavorare al completo sia a pranzo che a cena tutti i giorni e questa è la parte più difficile, dal momento che non siamo in centro e per venir da noi, devi proprio avere l’intenzione di arrivarci.

Poi sembrerà strano, ma quando organizzi la tua azienda per lavorare con le giuste ore di lavoro, retribuendo tutti bene, mettendoli in regola per la qualifica che chiedono e dando a ciascuno la propria indipendenza lavorativa, hai già fatto passi da gigante. Non abbiamo bisogno di tenerci stretti i nostri collaboratori perché sanno che altrove non troverebbero condizioni migliori. Chi in passato se n’è andato alla ricerca di miglior fortuna, se n’è poi pentito amaramente e oggi hanno abbandonato il mondo della ristorazione. È capitato, invece, di aver “mandato via” dei collaboratori perché elementi che portavano solo negatività e che si lamentavano per la qualunque: ecco, le persone che destabilizzano un gruppo di lavoro valido sono sempre pericolose e non le voglio intorno. Chi invece ha voglia di fare, di apportare idee (compatibili con lo stile aziendale che abbiamo creato) è sempre ben accetto perché il successo di un ristorante è sempre merito di un gruppo di persone e mai di un singolo: per questo motivo, prima ancora che con la proprietà, presento quasi tutte le scelte aziendali ai miei collaboratori, il che la dice lunga sul mio modo di vedere e gestire un ristorante. Ancora una volta, tutto parte delle persone, senza escludere l’enorme impegno che devo sopportare per portare risultati economici soddisfacenti alla proprietà.

Proprio per questo motivo, per la centralità delle persone, mi interessa poco e niente il percorso professionale di un candidato, o meglio, spesso evito come la peste chi ha riempito il curriculum saltando da una cucina a un’altra perché gli obiettivi di un ristorante possono essere raggiunti solo con anni di lavoro e non con stage dalla durata di 3/6 mesi. Per me la capacità di svolgere un servizio nel minor tempo possibile diventa l’elemento principale. In fase di colloquio mi basta una mezz’oretta di chiacchiere generali (e non solo riguardo al lavoro) per capire se la persona che ho davanti può andar bene per il gruppo già esistente, e se vedo il quid giusto non mi interessa altro. Tutto quel che occorre sapere sulla cucina tradizionale, lo insegniamo noi. Poi c’è da dire che quando un ristorante è abbastanza noto già da sé, quel poco di personale che resta ti sceglie tra i tanti, soprattutto se le condizioni di lavoro sono vantaggiose; così hai modo di tenerti stretto il vecchio personale e acquisirne del nuovo al momento del bisogno.

A proposito del nuovo, e in particolare del personale giovane, credo che i ragazzi abbiano una predisposizione maggiore alla condivisione delle conoscenze. Rispetto alla nostra generazione, quella attuale, la più fresca, tende a fare gruppo molto più facilmente e questo è bello, perché una sala e una cucina affiatate, che vivono di condivisione, fruttano anche nella realizzazione di un piatto o nel servizio di sala. Faticano, però ad accettare il sacrificio legato alla gavetta e, in tutta onestà, è comprensibile perché i giovani di oggi non godono degli stessi vantaggi che abbiamo avuto noi in passato; per esempio, le spese per vivere sono molto più alte. Consideriamo il costo degli affitti: è impensabile che una persona riesca a trasferirsi in una grande città con uno stipendio di 1.200 € al mese; nella nostra generazione, invece, erano i nonni o i genitori ad acquistare la nostra prima casa. Quindi, non è più una questione di gavetta o sacrifici, bensì di sopravvivenza ed è impensabile che i giovani debbano iniziare a guadagnare (quanto poi?) solo a partire dai 35 anni. Come potranno mai crearsi un futuro senza soldi? Il problema degli stipendi bassi, d’altro canto, investe anche la ristorazione che deve fare i conti con margini di guadagno molto bassi e spese sempre più alte. Ecco perché tornerebbe utile l’introduzione della mancia obbligatoria, aumentando la remunerazione dei suoi dipendenti senza incidere sulle finanze del ristorante.

Tutte queste sono difficoltà e complicazioni che la televisione – uno spazio mediatico che ha centralizzato la cucina negli ultimi anni -, ma soprattutto il modo in cui la ristorazione viene mostrata in tivù, omette.  C’è da dire che il piccolo schermo ha sicuramente contribuito a rendere la figura dello chef molto popolare, al punto che un paio di anni fa questa professione era al quinto posto tra le più ambite tra i giovani. Ma ora non è più così. È bastato capire quanto questo mondo fosse difficile per un cambio di rotta. Magari, se la tivù avesse mostrato anche i disagi più banali, come la mancanza di tempo per potersi prendere cura di sé stessi, questo mondo sarebbe risultato molto più umano, fragile e veritiero. In questo enorme tritacarne mediatico, dove è necessario apparire sempre perfetti e impeccabili per far credere a tutti di avere una vita di successo, abbiamo raccontato una storia falsa, di chi spesso ha collezionato più sconfitte che vittorie. Dovremmo, invece, tornare tutti alla semplice verità.

A proposito di verità, un’ultima riflessione la rivolgiamo anche al ruolo delle donne nella ristorazione, un settore, per come lo conosciamo attualmente, che non è fatto per loro. Salvo poche eccezioni che, ringraziando Dio, esistono e dovrebbero diventare dei simboli: mi riferisco a un’Antonia Klugman, una Isa Mazzocchi o Alessandra Civilla di Alex Ristorante a Lecce tanto per citarne alcune…Se il mondo della ristorazione è già limitante per la vita di un uomo, figuriamoci per quello di una donna, che ha esigenze come quella della maternità.

Il punto è che in un mondo nuovo del lavoro che va sempre più verso la diversity equity e inclusion, quello della ristorazione ne resta fuori e noi siamo qui, ancora a interrogarci sul perché mancano lavoratori, uomini o donne che siano. Il mio augurio, ad ogni modo, è che dopo aver modernizzato le nostre attività rendendole prima di tutto dei luoghi di lavoro più sostenibili a livello umano, si possa finalmente tornare a parlare di questo mestiere e delle belle storie che nasconde, di sala e di cucina: tutto ciò di cui abbiamo bisogno per ripartire.


Primo piano

Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Piero Pompili

marchigiano di San Benedetto del Tronto, classe 1975, dal 2016 è restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna

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