L’innovazione non è l’unica via in cucina, né la necessità di dover a tutti i costi inserirsi in una corrente di tendenza: molto più sincero è invocare l’esaltazione della materia, e quella lucidità nel sapere interpretarla rispettando l’habitat d’origine seguendo uno spirito guida inequivocabile, apparentemente scontato, eppure sempre efficace: il metodo.
A suggerirlo è una maturità di fondo del cuoco, e una sensibilità che invita a chiedersi se sia stato compiuto davvero tutto il possibile nei confronti di ciò che potrebbe figurare come uno scarto. Così, proprio sul metodo fa affidamento oggi più che mai Giulio Terrinoni, del ristorante Per me, a Roma, cuoco e custode di un mare cristallino e profondo, da sempre segno distintivo della sua cucina.
Ci accompagna tra le sale del suo ristorante che all’inizio teneva nascoste dietro fitte tende nere, oggi rimosse per portare la città nel suo ristorante e il ristorante nella città: questione di riservatezza, ma quanto più preziosa è quella luce che irradia un istinto materico convogliato in ogni singolo dettaglio.

Chef Terrinoni e Flaminia, compagna nella vita e sul lavoro
Materiali riciclati, come la carta degli uffici che diventa superficie dei tavoli, il travertino romano conservato quale pavimento di una delle sale, l’alluminio di un banco lavorato a mano, le vecchie travi in alto, e un gioco di bolle luminose che riveste le pareti assieme a una pletora di dischi bianchi, come spuma di mare, nell’ultima appendice annessa al ristorante, prima bottega di un calzolaio.

Vista dall'esterno dell'ultima porzione di ristorante annessa, prima bottega di un calzolaio
Metodo, che non vuol dire semplificazione. Al contrario, i passaggi aumentano, le mani sono impegnate il doppio, perché si fa presto a prendere e buttare; molto più laborioso, invece, è pensare in quale maniera restituire nuova vita a ciò che resta di un ingrediente. Eppure da questo approccio alla materia e alla sua gestione nascono meravigliose sorprese in tavola, imprevedibili perché il metodo non soffoca l’istinto creativo. E lo vediamo con i nostri occhi: una cernia locale di circa 18 kg finisce sul banco in cucina: imponente, viene squamata, accarezzata perché arriva durissima al ristorante; ci si prende il tempo che occorre per lasciare che le carni si esprimano al meglio; ritagliati i filetti, messi da parte, si prosegue con l’estrazione dello stomaco, dell’esofago, e ancora, la guancia, tutto il necessario per farci una coppa di testa servita con scorzetta d’arancia (tra i condimenti tradizionali della coppa di testa) che incontriamo tra gli amuse bouche, insieme all’Alice marinata poggiata su una salsa yogurt, o di una Ricciola cruda che finisce in un tacos di carota, «perché lo stesso metodo che impieghiamo per una cernia – precisa chef Terrinoni -, lo applichiamo anche nella lavorazione di una carota, o del sedano dalla cui foglia, per esempio si ricava un sale naturale»; quindi, la bottarga di leccia abbinata a un croccante di sedano e albicocca e il maccarello, lo sgombro, marinato e fiammeggiato dal lato della pelle: è Azzurro, il primo passaggio di un percorso che oscilla tra profondità e limpidezza.

Azzurro, il benvenuto di Giulio Terrinoni, abbinato a un Bloody Mare - mediterraneo, intenso, rinfrescante
Non esistono provocazioni, non occorrono quando tutta la soddisfazione si lega a una piena consapevolezza del concetto di bontà, interpretata da quella cura virtuosa dell’ingrediente e del suo ciclo di vita, e amplificato da una necessità di pulizia, di immediatezza nella maniera in cui il gusto raggiunge l’ospite, senza ostacoli cerebrali: il mare affascina, seduce e nutre liberamente, incisivo nella memoria.

Non è nostalgico, eppure innesta un senso tutto nuovo a piatti che solo apparentemente ricalcano preparazioni già consolidate nella tradizione gastronomica… almeno fino all’assaggio: da 19 anni in carta, per esempio, vive la Carbonara di mare - in formato spaghetti - senza uova di gallina, ma solo di pesce, poi abbondanti pepe e pecorino; una carbonara non di quelle setose, lisce, ma grezze, per cui l’uovo si rapprende un po’ legandosi al formaggio e diventa ruvido. Un condimento avvolgente che si lascia accendere dal pepe e viene coronato, infine, da quello che diventa un guanciale di mare, una bottarga tostata, che suda e, privata della sua anima più sapida, si rivela in tutta la sua carnosità.

Mare forza 8: l'insalata di mare secondo Giulio Terrinoni
O l’Insalata di mare, con le sue componenti ben distinte, i classici condimenti, quali sono olio, aceto bianco e limone potenziati da alghe, ostriche ed erbe aromatiche, fino a ricreare una zuppa fredda, un habitat fresco e salmastro insieme, iodio in purezza.

Triglia cotta-cruda alla cacciatora
Quindi la Triglia, e le sue consistenze dominate in un doppio gioco di (non) cotture: crudo – il carpaccio in superficie - e cotto – alla base la triglia è appena scottata -, ciascuna parte con la sua identità, legate da un mediterraneo di capperi, pomodorino confit, polvere di olive e zest di limone; un piatto di un’eleganza pervasiva, ingolosita da quell’ulteriore tocco di generosità del cuoco, una salsa cacciatora, snella e profumata.

Cernia arrosto, piselli, cipolla
Torna la cernia, ed è forse nella sua forma più pura che si sintetizza il rapporto simbiotico tra cuoco, pensiero e materia: la carne è compatta e passata alla brace trattiene un fumo leggero, imprimendone la presenza lungo l’intero assaggio che chiama a sé il fondo setoso della stessa cernia e poi un’esplosione vegetale, nella crema di piselli e nel cuore di una cipolla che cuoce sotto sale e, sfogliata, ne viene servita la sua parte fondente.

Involtino di lattuga, caviale e ostrica
Quindi, nel contorno, l’espressione massima della stagionalità racchiusa in un involtino di lattuga ripiena di taccole, fagiolini, piselli: dolcezze erbacee, e una freschezza ruvida e terrosa.

Fagato di cernia alla veneziana
Ultimo passaggio della cernia, inatteso, ripercorrendo ancora una volta il doppio binario di metodo - l'uso integrale della materia -, ma anche l’istinto, la possibilità inattesa di servirne il fegato alla veneziana con abbondante cipolla e una sottile nota ferrosa che sigilla la chiusura del pasto: la ricostruzione anatomica del pesce attraverso singolari interpretazioni gustative.

La Pesca Melba, il finale succoso di un pranzo da Per me
Ma cos’è che rende così memorabile questa cucina, in fondo?
La capacità di esprimersi senza forzature; assecondare la materia e i gesti come atto naturale; una narrazione concreta che verte sull’intenzione di incidere un segno nella memoria, non tanto per suggestioni, quanto più per pulizia dei sapori. Qui dove il metodo suggerisce una creatività legata al momento e alla materia, ma dove al contempo si manifesta un altro concetto, non meno banale, vale a dire la durevolezza negli anni di un piatto, l’inossidabile attualità di una portata a cui il tempo non può che dare profondità. E divenire così eterna, come la città in cui questo sorprendente mare prende forma.