21-05-2025

In principio fu Josh Niland... La cucina di Alberto Angiolucci all'Angiò di Catania

Il progetto era nato come macelleria di pesce, con l’idea di vendere al banco tagli frollati e salumi di mare. Ma via via si è sempre più avvicinato al fine dining: ora da Angiò si gustano gran piatti che esaltano la materia prima ittica. Usandola tutta

Lo chef Alberto Angiolucci e la brigata del suo ri

Lo chef Alberto Angiolucci e la brigata del suo ristorante Angiò a Catania

In principio fu Josh Niland, giovane e rivoluzionario chef australiano (leggi qui) che ormai anche The World's 50 Best Restaurants ha eletto come una delle figure chiave della sua generazione nella gastronomia contemporanea. Oggi la sua ricerca sull’uso integrale del pesce, combinata all’evoluzione delle tecniche di frollatura ittica, rappresenta l’avanguardia di una vera e propria scuola di pensiero internazionale che negli ultimi anni ha cominciato ad arruolare autorevoli discepoli italiani, il cui lavoro è destinato a cambiare - auspicabilmente in modo definitivo - non solo l’approccio alla materia da parte dell’alta cucina ma anche e soprattutto la cultura del consumo da parte dei clienti, unica via per realizzare davvero la tanto auspicata sostenibilità nel nostro rapporto col mare.

E se grandi cuochi come Moreno Cedroni, da sempre il primo innovatore della cucina di pesce italiana (leggi qui), ma anche diversi altri esponenti del segmento, da Jacopo Ticchi a Rimini a Luigi Pomata a Cagliari (leggi qui), rappresentano i pionieri nazionali di questa scuola, dal Sud il contributo più qualificato e influente viene oggi da Alberto Angiolucci, che a quest’esito non è arrivato, ma al contrario, da qui è partito: tre anni fa il suo ristorante Angiò a Catania è infatti nato proprio come una macelleria di pesce con l’idea di vendere al banco tagli frollati, salumi di pesce e preparati, progetto che era potenzialmente destinato a completarsi con uno shop online e una distribuzione B2B ad altri ristoratori, prima che l’autentica vocazione da cuoco di Angiolucci prendesse il sopravvento, facendo sì che oggi la sua insegna veleggi spedita verso il mondo del fine dining. 

Angiò, del pesce non si butta nulla

Angiò, del pesce non si butta nulla

«È stata proprio la lettura dei libri di Niland a folgorarmi e a spingermi verso questo progetto. In pochi anni avevo fatto moltissime esperienze di tipo diverso, dagli stellati ai catering d’alto livello - raccolta Alberto, che non ha ancora nemmeno trent’anni - Ovunque mi ero reso conto di come i criteri di creatività ed estetica portino i cuochi a prediligere solo i filetti e in generale i tagli migliori dei pesci pregiati, sacrificando oltre il 60% del prodotto». Una consuetudine che purtroppo ha generato un certo vizio dei palati e che Alberto definisce «anacronistica», sia perché non ce la possiamo più permettere sia perché in verità ci ha portati, da ospiti delle grandi tavole, a perderci l’opportunità di esplorare gusti più sfaccettati, intensi e spesso più autentici. «Uno dei miei primi maestri - confessa - mi diede un’insegnamento che non ho mai dimenticato: siamo tutti bravi a conquistare i clienti cucinando un’aragosta, ma la vera bravura è fare un grande piatto con gli ingredienti più poveri. Ed era proprio nel mondo del pesce, a cui sono legato da sempre, che io volevo esprimere questa capacità. Vengo da una famiglia in cui ho assorbito sin dal piccolo il rapporto diretto con la materia prima, perché mio padre trascorre il tempo libero andando a pesca, a funghi, a caccia e poi trasforma tutto in casa con le sue mani. Io oggi con i fegati di una razza, che tutti buttano nella spazzatura, faccio un paté indimenticabile».

Paté di mare

Paté di mare

Tagliere di salumi di mare

Tagliere di salumi di mare

E di assaggi indimenticabili, alla tavola di Angiò, in effetti se ne possono fare tanti. Angiolucci e il suo secondo, Andrea Pappalardo - con cui sin dall’inizio ha disegnato questo progetto girando per sei mesi la Sicilia in lungo in largo e poi chiudendosi per altri sei mesi in un laboratorio di sperimentazione - hanno cercato di declinare le regole d’oro di questa grande scuola internazionale in chiave mediterranea: «Abbiamo pensato subito ai salumi, ad esempio, ricordandoci che da sempre nel Trapanese i pescatori recuperano la buzzonaglia e le altre parti di scarto dei grandi tonni per farci la ficazza, un vero e proprio salame di tonno che tuttavia oggi, per le solite ragioni, è difficile trovare». Da lì è partita una ricerca che non si è più fermata, così che il Tagliere dei salumi di mare di Angiò - dove si passa dal prosciutto di tonno alla mortadella di capone, dai chorizo al lardo - è in continua trasformazione e rappresenta solo un tassello, peraltro facoltativo, dei percorsi di degustazione che invece puntano tutti a valorizzare l’uso integrale di ogni pesce e l’arte del fish aging su cui i due cuochi si sono nel frattempo specializzati, dimostrando che oltre a rendere possibile e sostenibile la conservazione della materia, se ne tira fuori l’essenza del gusto: «Con la frollatura si asciuga la pelle, si estendono i tessuti, le carni diventano più dense, tenere e succose». Intenerire il muscolo, concentrare la polpa, lavorare con nuove texture... Sono azioni che spalancano naturalmente la creatività del cuoco il quale, osservando il rigore dell’approvvigionamento diretto per la scelta di pesci di prima qualità - spesso fatta direttamente di notte, negli antichi mercati del circondario -, ai suoi ospiti nemmeno vuole più raccontare il lavoro che ne segue.

Una vera rivoluzione per una città come Catania dove la cultura del consumo del pesce dovrebbe essere particolarmente evoluta, data la grande tradizione della marineria, eppure è ancorata a una moltitudine di ristoranti tradizionali che faticano a misurarsi con la stagionalità e il rispetto delle regole del mare: è proprio in questo contesto che si rivela ancor più significativo il potere potremmo dire etico e politico di una tavola che punta invece a dimostrare la necessità di questo cambiamento di prospettive e soprattutto di abitudini.

Taglietella di seppia e midollo di manzo

Taglietella di seppia e midollo di manzo

La Wellington di pescato

La Wellington di pescato

«All’inizio - racconta Alberto - bisognava parlare tanto della frollatura, spiegare, raccontare, dimostrare. Oggi diamo il processo per scontato e siamo estremamente soddisfatti di accogliere, oltre ad un notevole flusso di clientela turistica, anche molti clienti locali e abituali». Grazie alla scelta di proporre molti crudi o usare cotture estremamente poco invasive - “Non ti fidare di chi cuoce troppo il pesce”, recita saggiamente un murales in cucina - sono infatti piatti stessi a parlare. La bravura di Angiolucci e del suo team sta nell’accrescerne la personalità con abbinamenti essenziali ma memorabili come le Canocchie marinate con carruba e carciofi, la Tagliatella di seppia con midollo di manzo, l’iconica Wellington con il pesce del giorno.

È ormai chiara, dunque, la fisionomia di un ristorante che non nasconde ambizioni, solidamente fondate sulle continue sperimentazioni. «A questa parte - conferma Angiolucci - non rinunciamo mai. Questa cucina è innanzitutto un laboratorio. Un laboratorio democratico, peraltro, in cui c’è spazio per le idee di tutti, tanto più che a ogni stagione il nostro team si arricchisce di elementi che vengono qui da altre parti d’Italia e d’Europa, incuriositi dall’opportunità di imparare, ma capaci anche di lasciare un contributo alla nascita delle nuove idee per i nuovi menu».

Ricciola marinata, arancia, foglie di cappero, finocchio e sesamo

Ricciola marinata, arancia, foglie di cappero, finocchio e sesamo

Mantecato di baccalà, pompelmo e semi di zucca

Mantecato di baccalà, pompelmo e semi di zucca

Cavallo, bergamotto, finocchietto e tartare di pesce del giorno

Cavallo, bergamotto, finocchietto e tartare di pesce del giorno

E con l’innovazione in cucina, si rinnova anche il resto, a cominciare dalla composizione di una piccola ma curatissima carta dei vini, che rivela la seconda grande passione di Alberto: «Sono io a scegliere le etichette. Adesso ho iniziato a viaggiare per questo: conoscere grandi territori, ma selezionare soprattutto piccoli artigiani. Mi affascina apprendere da vicino il lavoro agricolo. E nei prossimi anni voglio che nasca un nostro vino, c’è già un progetto in cantiere in un piccolo terreno a Santa Venerina».


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

Concetta Bonini

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Concetta Bonini

classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo

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