13-03-2020

Il metodo di frollatura del pesce spiegato da Luigi Pomata

Lo chef sardo e i vantaggi di tecniche che attirano l'interesse del mondo. Da noi esistono da sempre ma son poco comprese

La foto di un dentice dissezionato tratta da The W

La foto di un dentice dissezionato tratta da The Whole Fish Cookbook, il libro di Josh Niland con il quale lo chef australiano spiega le tecniche di frollatura del pesce. Luigi Pomata, grande chef sardo di originario di Carloforte, ci racconta in questo articolo come metodologie simili siano tradizionali anche della sua famiglia (e non solo). Con esiti interessantissimi

Ha destato molto interesse, in questi giorni tristi, il nostro racconto delle tecniche che sta sperimentando Josh Niland sulla maturazione del pesce, leggi Il pesce? È migliore se NON è fresco. Rivoluzionarie tecniche di maturazione. Spiegavamo appunto come Madrid Fusión - il maggior congresso spagnolo di alta cucina, tenutosi qualche settimana fa - fosse rimasto incantato dalla ricerca portata avanti dallo chef australiano, che possiamo sintetizzare così: "frollatura" fino a un mese, il pesce acquisisce più gusto ma appare come appena pescato.

Concetti che sono risultati piuttosto familiari a uno degli chef italiani che del pescato sanno tutto, ma proprio tutto: Luigi Pomata, nato a Carloforte nel 1973 da famiglia golosa, il nonno - a sua volta Luigi - era grande appassionato di cucina e prese in gestione il ristorante dell’Hotel Riviera, mentre il padre Nicola decise di aprire il suo ristorante, Da Nicolo. Oggi Luigi Pomata jr è il vero e proprio re del tonno di Sardegna, alla guida del suo ristorante omonimo a Cagliari.

L'articolo che abbiamo pubblicato su Identità Golose qualche giorno fa, Il pesce? È migliore se NON è fresco. Rivoluzionarie tecniche di maturazione.

L'articolo che abbiamo pubblicato su Identità Golose qualche giorno fa, Il pesce? È migliore se NON è fresco. Rivoluzionarie tecniche di maturazione.

Ci spiega: «Mio padre utilizzava tecniche di maturazione del pesce che mi ha trasmesso. Io stesso le applico. E non sono il solo a conoscerle nella mia zona». Ne vale la pena? «Certamente. C'è un calo del peso ma la carne acquista un sapore squisito. Il prodotto è asciutto esternamente eppure succoso all'interno, sulla griglia non si arriccia perché le carni sono rilassate, così la texture non diventa tenace. Il gusto è elegante. Prendiamo ad esempio una cernia: la differenza tra quella fresca e quella maturata è sensibile, te ne accorgi subito. Mentre la prima è gommosa, col sapore quasi metallico, quella frollata è morbidissima, dall'aroma molto delicato, tanto che non bisogna eccedere con aromi o spezie, perché altrimenti finiscono col coprire tutto. Diventa, insomma, un piatto per palati fini».

E allora perché non si utilizzano queste tecniche vantaggiose in modo più diffuso? «Certo richiedono costi, spazi e tempi di lavorazione. Ma il vero problema è un altro: noi italiani possediamo una diversa cultura sul pesce, quella del "pescato e mangiato". Io stesso all'inizio non credevo granché a tali lavorazioni. Con gli anni ho però capito: mettevo i saraghi sulla griglia e si arricciavano, ossia la carne diventava troppo dure; anche la cernia - sia che fosse stufata o in umido - rimaneva piuttosto gommosa. Allora ho capito che la maturazione per far rilassare il pesce è importante. In fondo, applichiamo qualcosa che ci è familiare, penso al processo di frollatura delle carni».

Luigi Pomata

Luigi Pomata

La tecnica dai Pomata - senior e junior - ha molti punti in comune con quella elaborata da Niland. «Facciamo l'esempio più classico: la cernia, pesce molto nervoso, combatte parecchio quando lo peschi, le fibre muscolari sono in tensione, quindi già mio padre lo metteva a frollare». Il procedimento prevede che venga appeso a testa in giù, dopo essere stato squamato, sbranchiato e spanciato. «Dopo il rigor mortis comincia il processo di putrefazione e le carni si rilasciano». In quel momento non vi devono essere elementi che possano conferire al pesce cattivo odore e, quindi, sapore: «Va completamente dissanguato, occorre pulire bene anche il sangue intercostale, dove c'è la ventresca, a livello dello sterno. Inoltre, nelle branchie e nelle squame si annida l'umidità e la sporcizia, per questo vanno tolte».

A quel punto Pomata mette tutto in un frigorifero ventilato a 0-2 gradi, con pochissima umidità, dopo aver avvolto il pesce con un panno di cotone, «come la mezzena del bue», perché quest'ultimo assorbe un po' di liquidi che vengono rilasciati e nello stesso tempo non asciuga eccessivamente, perché i succhi devono rimanere. «Così la cernia giunge a frollare fino a 40 giorni», assicura lo chef.

Pulire bene è la regola fondamentale: «Tutto quello che rimane dentro di improprio finisce col puzzare. Faccio un esempio: c'è cattivo odore quando si apre un frigorifero dove si è messo un pesce lasciato nel cartoccio della pescheria e/o nel sacchetto di plastica. La gente in questo sbaglia, è un errore: tutti i liquidi che il pesce rilascia finiscono col "ristagnare" a contatto col pesce stesso, sviluppando batteri e quindi puzza. Io invece consiglio sempre di buttare quella confezione e sostituirla con un panno carta pulito, o carta di riso, che assorbono gli stessi liquidi di rilascio. Ancora: un odore sgradevole è dato dal sangue che rimane nello sterno, se non lo si elimina completamente»..

Come quella di Niland, la tecnica di Pomata non ha nulla a che vedere con il mosciame, «il pesce rimane "fresco", nel gusto e nella texture. Il mosciame va invece messo sotto sale dai 12 ai 18 giorni e poi lasciato asciugare in zona ventilata. È una lavorazione simile a quella del prosciutto, diciamo così, e prevede dunque una disidratazione importante».

Abbiamo parlato di cernie. Ma si può fare anche con altri tipi di pescato? «Sì, di sicuro con tutto quello che supera i 5-7 chili, ossia pesci importanti, che combattono sviluppando acido lattico e questo fa contrarre le fibre durante la cottura, che andiamo a contrastare con la maturazione. Dunque va bene coi dentici e anche con grandi pagelli: in questi casi, però, il processo dura meno rispetto alla cernia, diciamo una settimana-dieci giorni. Certo non ha senso con una sogliola, ma si può fare anche con un San Pietro grande, o una spigola, o una gallinella, o uno scorfano. Non con una triglia, o meglio: lo si può anche fare, ma tutto è legato ai tempi: un vitellino non frolla due o più mesi come un manzo, per intenderci».

Un'altra foto tratta da The Whole Fish Cookbook, è un piatto di Niland: Polpo al barbecue, harissa di pomodori della boscaglia, garum di sardine. Foto dello stesso Josh Niland

Un'altra foto tratta da The Whole Fish Cookbook, è un piatto di Niland: Polpo al barbecue, harissa di pomodori della boscaglia, garum di sardine. Foto dello stesso Josh Niland

Ancora, «ha senso la maturazione anche per un polpo, se è pesante: vanno tolti il dente e quanto c'è nella testa, il resto viene appeso finché i tentacoli non si rilassano completamente e scendono, in quel momento è al giusto punto di frollatura. Può durare anche una settimana-dieci giorni, dipende dalla pezzatura». Poi c'è la tecnica di maturazione della ventresca di tonno, «questa non me l'ha insegnata mio padre, ma i giapponesi, trenta anni fa, quando venivano a Carloforte a comprare il tonno». Il concetto è: la ventresca si mangia o fresca, appena pescata (cruda o appena scottata) oppure la si lascia frollare - avvolta in carta di riso a 0-2 gradi - «così tira fuori quel grasso un po' untuoso che è suo tipico. Risulta molto più delicata».

Ventresca di tonno

Ventresca di tonno

Tutti questi pesci passati in rassegna, una volta terminata la frollatura e prima dell'utilizzo, vengono lavati da Pomata in acqua di mare, o in acqua addizionata di sale al 38‰, che è il valore che corrisponde alle condizioni medie del Mediterraneo: «È la stessa tecnica che uso per decongelare: si pone il pesce ben frollato nell'acqua salata, lì riposa per qualche momento assorbendo un poco di salinità, risulta così pronto per essere cucinato. Io dico: in qualche modo torna vivo, perché viene riportato nell'elemento in cui ha passato la sua esistenza». E, dopo giorni e giorni, pare fresco come appena pescato. Anzi, meglio.


Carlo Mangio

Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo?
La meta è comunque golosa, per Carlo Passera

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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