La bella piazza della Chiesa di San Pietro all'Olmo, a pochi minuti da Milano, in una sera d'inverno, poco dopo le 19.30: aria fredda e atmosfera silenziosa, lo sguardo si concentra sulle luci morbide e sulle linee precise e squadrate che si vedono dell'altra parte della piazza. Passo dopo passo, avvicinandosi, l'immagine diventa più nitida. Grandi vetrate a destra e a sinistra, divise da una porta altrettanto grande, con due gruppi di persone, anch'essi divisi dalla medesima porta, che parlano tra loro: si intravede che sorridono, forse scherzano.
Il gruppo sulla sinistra è composto da persone vestite principalmente di nero che si muovono tra i tavoli, controllano la mise en place. Il gruppo sulla destra è tutto in bianco, le persone che ne fanno parte sono già disposte dietro a banconi e davanti a fornelli e cappe scintillanti. A saper dipingere, verrebbe voglia di farne un quadro. Bisognerebbe essere bravi però, per cogliere il dettaglio che accomuna quei due gruppi che si apprestano a condurre il servizio della cena: più li si guarda, più si coglie che sono allegri, in armonia. E questo fa venire ancora più voglia di varcare le soglie del D'O di Davide Oldani.

La cucina vista dalla piazza della Chiesa
Non che al viandante servano molti stimoli, al massimo servirà aver fatto una prenotazione con un certo anticipo: il
D'O è un'istituzione, una certezza, ma anche un ristorante che, come il suo chef e patron, ambisce sempre a evolversi, a migliorarsi. Da quasi due anni ormai, su questa storica insegna del buon mangiare italiano, brillano due meritate stelle Michelin, oltre alla stella verde che la stessa Guida ha iniziato ad assegnare ai ristoranti che meglio interpretano il concetto di sostenibilità. E quando
Oldani utilizza quella parola, spesso e volentieri le accosta l'aggettivo "umana".
Ecco allora che quell'armonia, che doveva essere un elemento da catturare nel nostro quadro immaginario, si rivela concreta, grazie alla solida base su cui si è sviluppata. Osservando la brigata di cucina lavorare durante il servizio nella grande cucina (a vista anche dall'interno, per chi siede nell'ormai mitico "tinello"), si coglie nei gesti, nel linguaggio del corpo di una ventina di persone indaffarate, una forma di gentilezza istintiva che mette di buon umore, e che parte dal modo in cui Alessandro Procopio e Wladimiro Nava guidano la propria squadra.

La cucina del D'O vista dalla sala adiacente, dove si trova un unico tavolo: il "tinello"
«Adesso - ci spiega
Davide Oldani - il tema della sostenibilità umana è venuto a galla, ma credo che in un modo o nell'altro ci sia sempre stato. Da quando ho aperto il
D'O, 18 anni fa, l'approccio è stato quello. E anche prima: quando lavoravo con
Gualtiero Marchesi, per me è sempre stato il "signor Marchesi", non lo chef. Chef vuol dire capo, mentre io ho sempre cercato un rapporto umano: prima di essere capo devi essere una persona, poi un signore. Dopo diventi un maestro, lo chef de cuisine. La stella verde che ci ha assegnato la Michelin ha fatto emergere questi ragionamenti, che però facevano già parte della nostra cultura. Anche perché i nostri progetti nascono sempre dal ragionamento, non ci interessa seguire le mode del momento. Siamo circa 50 in squadra, al momento, e per me al primo posto ci sono le persone. Il fattore umano».
Un'espressione cara dalle parti di Identità: «Anche il congresso di Identità Milano è quasi coetaneo del D'O, quest'anno ci sarà la diciassettesima edizione, e se tutte le edizioni sono state piene di contenuti interessanti, quella che mi colpì maggiormente fu dedicata al "fattore umano" (proprio Oldani, a suo tempo, nel 2018, ci aveva consegnato quesi pensieri a riguardo, ndr)».

E il "tinello" visto dalla cucina
Ma come si traduce, in una pratica quotdiana, una priorità di questo tipo? «Alla base - risponde con decisione
Davide Oldani - c'è la conoscenza del proprio lavoro. Io sono cresciuto con quattro grandi maestri:
Gualtiero Marchesi,
Albert Roux,
Alain Ducasse e
Pierre Hermé. Da queste esperienze sono cresciuto prima come uomo, poi come professionista. La somma di queste due componenti porta all'organizzazione. Quando l'organizzazione è corretta, saranno corrette le relazioni che costruisci sul luogo di lavoro. Gli orari, certo, la divisione dei compiti, ma soprattutto la condivisione. Se conosci il tuo lavoro e sei organizzato, quando hai un'idea la sai trasferire alle persone che hai al tuo fianco. Da noi non è mai: "Sì, chef!", ognuno partecipa, esprime le proprie idee. Se propongo qualcosa e delle otto persone che considero le colonne del
D'O sei non sono convinte, quella mia proposta si butta via, non ci sono dubbi a riguardo. Un approccio democratico e meritocratico».

Oldani fotografato con uno degli oggetti della linea di tableware WOO’ꓷ
«E poi - insiste lo chef del
D'O, parlando di un tema che gli sta a cuore - non bisogna solo pensare a se stessi, alla propria realtà. Questi sono temi su cui stiamo lavorando molto con l'associazione degli
Ambasciatori del Gusto, con
Cristina Bowerman, con
Carlo Cracco, con
Paolo Marchi e tutti gli altri. Dobbiamo fare dei passi avanti, perché se oggi un ragazzo si vuole accostare a questo mestiere, deve poter pensare di avere anche una vita. Si deve potere lavorare in un ristorante di cucina d'autore e uscire anche con la morosa o andare a giocare a calcetto. Non è un traguardo che si può raggiungere domani, ma lavorando insieme riusciremo ad arrivarci. Anche perché con l'osservatorio che abbiamo direttamente, con l'Istituto professionale statale per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera
Olmo, i numeri raccontano una situazione su cui bisogna riflettere».
Dell'Istituto Olmo, e del grande impegno con cui Oldani vi si è dedicato, abbiamo scritto più volte su queste pagine (qui, ad esempio, e qui...). Un impegno che non decresce, anzi, si intensifica con sempre maggiore progettualità. Ma si diceva dei numeri: «Circa l'8% degli iscritti, dopo i cinque anni di studio, prosegue lavorando nella ristorazione. E solo il 2% poi diventa davvero un cuoco. Gli altri scelgono strade diverse, percorsi professionali che permettano anche di avere una vita. Dobbiamo fare del nostro meglio per dare a questo mestiere un'identità nuova».

Davide Oldani con una delle lampade della linea Bontà che ha disegnato per Artemide
E' un fiume in pieda
Davide Oldani, che, come fa dall'inizio del suo percorso al
D'O (e come avevamo raccontato
in questo articolo di Carlo Passera di qualche mese fa), prosegue nella sua collaborazione con designer e produttori per dar vita a progetti innovativi. Come la linea di tableware
WOO’ꓷ, arredi e accessori per la tavola pensati e progettati con l'aiuto di
Attila Veress, realizzati dagli studenti e dai docenti del Polo Formativo LegnoArredo. O come una nuova lampada
Artemide, che si affiancherà alla già presentata
Bontà, disegnata ancora con il creativo ungherese
Veress. E poi, ancora, una rinnovata collaborazione con l'Università di Harvard, che già dieci anni aveva fatto del
D'O un caso di studio, e altre novità che si colgono tra le righe, nell'instancabile voglia di rinnovarsi, e in quei lavori in corso che si intuiscono a pochissima distanza dall'ingresso del
D'O...

Un altro scorcio della sala del D'O
Talmente tante cose che si finisce a parlare dell'eccezionale cucina di
Oldani e del suo ristorante solo dopo molti paragrafi. Daremo soprattutto alle immagini il compito di raccontare un gioioso percorso di degustazione, in cui l'armonia con cui abbiamo iniziato a descrivere questo luogo di bontà si ritrova intatta nei piatti. Nelle parole del fondatore del
D'O, l'evoluzione del suo ristorante sta anche e soprattutto nella crescita dei suoi più validi collaboratori: «Nella nostra indole c'è sempre stato lo stimolo di crescere insieme. E allora se
Alessandro (Procopio, ndr) è stato via sette anni, passando da
Troigros a
Ducasse a
Le Gavroche, se
Davide (Novati, oggi direttore di sala, prima cuoco, ndr) è stato a
Le Grand Véfour,
Ducasse,
Le Gavroche...si sente. Ci siamo, cresciamo, ci evolviamo».
Con l'apporto essenziale di quelli che lo stesso Oldani chiama "i ragazzi del D'O": i già citati Alessandro, Davide, Wladimiro, e ancora Riccardo Merli, Filippo Amodeo, Manuele Pirovano. Che rappresentano, insieme a chi il D'O l'ha prima sognato e poi realizzato, il presente e il futuro di una storia ricca di bontà e di umanità.

Il percorso di degustazione si apre con un piatto da leccare: si posano le dita sulle due rientranze del piatto disegnato appositamente, poi in sequenza: Finocchio, nduja, mela

Cannolo di baccalà mantecato con sedano rapa

Candela di olio al timo e cera d'api, da mangiare con una deliziosa focaccia

Sfoglia croccante di grano saraceno, essenza di carciofo, polvere di peperone crusco

Rivisitazione dei mondeghili. Un interno golosissimo di fondo di vitello, alla base crema di mortadella, finger lime e argento a guarnire

Un altro piatto pensato per un gesto, che cita la ritualità asiatica di portare alla bocca il bordo del piatto, con una spatola per servirsi. All'interno, una concentrazione dell'iconica Cipolla caramellata del D'O

Fiore di carciofo. Uno dei piatti più buoni del percorso, oltre che dei più belli. Il carciofo in varie consistenze, con pecorino e menta a rincorrersi tra sapidità e freschezza, i petali di patata, le uova di trota

Seppia al nero. Un altro piatto eccezionale, sotto un candido velo di seppia, una royale di seppia con aneto, cardo gobbo di Nizza Monferrato e brandy

Arrosto della domenica. Golosità pura che richiama ricordi di pranzi di festa: le patate in forma di gnocchi e di spuma, semola croccante, polvere di porcini, fondo di pollo e brunoise di verdure

Riso e filindeu. Oldani omaggia il maestro Marchesi con un piatto in cui celebra l'unione di riso e pasta, usando l'antica e ormai rarissima tipicità del nuorese. Con un gel di carote e bergamotto, cozze sarde, vongole, fasolari, cannolicchi

Sogliola ripiena di mazzancolle, glassata con la sua bisque, olandese allo zafferano, sedano rapa arrotolato, cedro in gel, polvere di peperone crusco

Capriolo, salsa al pepe verde, giardiniera di frutta, crema di pastinaca

Il capriolo prosegue nel piatto successivo: Barbajuan ripieni di capriolo e foie gras, salsa di ribes

Formaggio? Solo uno dei tre: gli altri...sorpresa. Find the real one

Crêpe soufflée con composta di arancia, salsa di arancia e Grand Marnier

Pan D'O al cioccolato con gelato alla vaniglia