12-01-2025
Lorenzo Palla
I rossi – come quello applaudito da Charles De Gaulle, ancora oggi inviato aogni presidente francese – e le bollicine nella casa di sempre. Quindi un bianco in un territorio che casa è diventato.
Al Ristorante Acanto - Hotel Principe di Savoia a Milano ci accoglie Lorenzo Palla, titolare di Loredan Gasparini, e ci trasporta prima nel Montello, quindi nel Collio con Ronco Blanchis. Lo fa con una pacatezza elegante che è in sintonia con i suoi vini, capaci di un incontro armonioso con il menu dello chef varesino Matteo Gabrielli (e il tartufo alleato speciale).
Questa è una storia dove la tradizione si fa guidare anche dalla curiosità, dalla voglia di sperimentare, come mostra subito la Cuvée Indigena 2023 Extra Brut, «un Asolo Prosecco Superiore in versione Extra Brut appunto ed è importante conoscere l’annata, perché ogni anno è un’espressione diversa». Nasce da una selezione delle uve di maggiore qualità in un terreno di quasi 50 anni sulla collina del Montello, a 50 chilometri da Venezia. Dunque vecchie viti di Prosecco, ma la differenza viene dal metodo spontaneo di fermentazione, caratterizzata da un’estrema lentezza in quanto usa solo i suoi lieviti indigeni (da qui il nome, che imprime il risultato di una profonda espressione del vigneto) senza aggiunta di zuccheri. Dopo una lieve pigiatura, il mosto si trova in autoclave a bassissima temperatura. Sì, la fermentazione è spontanea, dura fino a sei mesi e ha un’evoluzione talmente naturale che ogni anno mostra un volto diverso, Brut o Extra Dry.
Un vino cremoso che sa distinguersi già dalla finezza del perlage.
Dai territori agli uomini: il conte Piero Loredan, diretto discendente di Leonardo Loredan, Doge di Venezia. Reduce da un viaggio a Bordeaux introduce il Merlot, i Cabernet Sauvignon e Franc e il Malbec. Una dedizione che prosegue nel 1973 con Giancarlo Palla, diffondendo nel mondo i vini di Venegazzù e intuendo la potenzialità degli spumanti con una interessante personalità. Compra la Tenuta di Giavera del Montello e nel 1990 gli si affianca il figlio Lorenzo.
Ma ritorniamo a questo nome, a questa terra che conduce direttamente a un’etichetta: Venegazzù. Assaggiamo l’annata 2019 (caratterizzata da temperature piuttosto elevate) in cui vi sono Cabernet Sauvignon (65%), Cabernet Franc (5%) e Merlot (30%), mentre questa volta è assente il Malbec. Così la piacevolezza della beva si unisce a una solida struttura.
Si scrive “Capo di Stato”, si legge ambasciatore, perché è il primo vino del Montello che viaggia nel pianeta portando l’autorevolezza e sul passaporto del gusto compaiono i segni particolari che sono da una parte freschezza e acidità, dall’altra una complessità e una forza che si abbigliano con eleganza.
Con questo patrimonio di etichette, c’era tutto per essere soddisfatti; ci si sarebbe potuti limitare a incrementare i mercati, ad esempio. Tuttavia, c’è qualcosa che chiama quando si è imprenditori che credono nel proprio territorio ma sanno anche che non devono accontentarsi mai, magari mettersi in viaggio. Il motore è il desiderio di produrre un bianco, ma non bollicine. «Era alla fine degli anni Novanta – ricorda Lorenzo Palla - Ero entrato in azienda da un po’ di anni e con mio padre ci siamo detti… se troviamo qualcosa sarebbe il momento buono e cercando ci è capitato di trovare 10 ettari in Collio, proprietà di un signore anziano senza eredi. Prima siamo entrati in società con lui, quindi siamo andati avanti da soli».
Storie di uomini, donne e bottiglie che fanno grande la galassia del vino, in Italia e nel mondo
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responsabile de l'Informazioneonline e giornalista di Frontiera - inserto de La Provincia, scrittrice e blogger, si occupa di economia, natura e umanità: ama i sapori che fanno gustare la terra e le sue storie, nonché – da grande appassionata della Scozia – il mondo del whisky
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