Andrea Menichetti
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Marco Parusso al centro, con Giulia e Tiziana
Scelte controcorrente, per vini che vogliono comunque essere sempre riconoscibili. Quello di Marco Parusso è praticamente un “marchio di fabbrica”, alla ricerca di vini, in particolare di Barolo, che siano contraddistinti da ampiezza di profumi e di colori, sentori netti di frutta e tannini presenti ma fini e morbidi.
«Mio nonno vendeva uva – racconta Marco Parusso – il primo a volere fare del vino è stato mio papà, e nel 1971 è uscita la prima annata di Barolo. Ma allora ancora molto prodotto era venduto sfuso. Io, invece, mi sono diplomato nel 1986 alla scuola enologica di Alba: siamo negli anni, per intenderci, dove l’uva Dolcetto valeva più del doppio del Nebbiolo. Il 1986 è stato anche l’anno del metanolo, e si era verificata anche una violenta grandinata: un inizio complicato».
I vigneti dell'azienda
Da qui la crescita dell’azienda, che ora può contare su 28 ettari di vigneto, la maggior parte tra Castiglione Falletto e Monforte, con 9 ettari ad Alba, acquisiti nel 2015 per sviluppare un nuovo progetto. «Ho lavorato sempre molto sulla parte agronomica – sottolinea Marco Parusso – Credo che la vigna sia il nostro capitale. Il Nebbiolo è un vitigno purosangue, da domare. E se lo riesci a far adattare, allora lui si esprime al 100%».
Dagli anni ’80 a oggi le cose sono cambiate di molto, soprattutto per quanto riguarda la cantina, dove i Parusso sono riusciti a fare investimenti importanti per aggiornare gli impianti tecnologici. «Da 35 vendemmie a oggi, il mio obiettivo è sempre stato chiaro – spiega Marco Parusso – fare vini buoni e riconoscibili. E per questo ho cercato sempre il massimo equilibrio, la riduzione al minimo dei possibili difetti, la maggiore ampiezza possibile sia per il colore che per i profumi. E per i tannini cerchiamo di arrivare a una polimerizzazione tale che mantengano le peculiarità antiossidanti, ma che risultino dolci in bocca».
La grande famiglia Parusso
E poi il procedimento diventa complesso, con sbalzi di temperature: «Facciamo una macerazione a freddo per 4 giorni, poi scaldiamo nel giro di 7 ore a 35° centigradi per avere una forte estrazione del colore e creando le condizioni ideali per i lieviti. Infine, sempre in poche ore, riportiamo tutto a 22° per una fermentazione a bassa temperature. Inoltre, a fine fermentazione, proseguiamo con macerazioni di 40 giorni». Il vino viene quindi portato in legno, barrique, molte delle quali nuove.
L'esterno della cantina
Per quanto riguarda i Barolo, l’azienda possiede alcuni Cru: il Mariondino sono circa 2 ettari al confine con Castiglione, che offre vini più speziati; il Mosconi, a Monforte, che con terreni più ricchi, offre spesso note più agrumate; e infine il Bussia a Monforte, con la vigna Rocche, con esposizione sud-sud este, e la vigna Mugne, esposta a sud ovest, che regala note più balsamiche e offre dei vini all’inizio più chiusi ma che escono alla distanza. «Noi facciamo una selezione per poi realizzare i vini delle singole vigne. Il rimanente va a realizzare il nostro Barolo Docg, con 50% delle uve da Bussia, il 30% da Mosconi e il 20% da Mariondino. Diciamo che questo è un concerto, mentre gli altri sono dei solisti».
Un momento della vendemmia
Il Bussia è sicuramente il vino da attendere: mostra i caratteri del grande vino, ma al momento, soprattutto al naso, non riesce a “uscire”, è un po’ introverso e chiuso. Come detto, il tempo è galantuomo: già lasciando la bottiglia aperta per qualche ora, la situazione è piacevolmente evoluta. Il pensiero è che possa essere un vino da lunghi affinamenti.
giornalista de La Provincia di Como, sommelier e appassionato di birra artigianale. Crede che ogni bicchiere di vino possa contenere una storia da raccontare. Fa parte della redazione vino di Identità Golose
Vi presentiamo il libro Dalla bagna càuda al sushi. Storia della Torino gastronomica di Sarah Scaparone, Giorgio Pugnetti, Federica Giuliani edito da Graphot e pubblicato lo scorso 18 maggio. Prezzo suggerito: €20.00, pagine: 184
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