Dieci anni di successo, quasi sottovoce. Un party con gli amici, più brindisi in famiglia – allargata – che evento sotto i riflettori: Alice ha compiuto gli anni, dieci da quando è nato, anche se all’Eataly Smeraldo ha aperto nel marzo 2014. Il locale sorge prima e altrove, in via Adige, una doppia scommessa che si può dire pienamente vinta. Viviana e Sandra la vedono così: «Tanto lavoro, ma Milano è una città che ti premia, se ti dai da fare». Loro hanno sgobbato tanto, si meritano un applauso. E anche questo articolo, che sintetizza a nostro modo la storia del ristorante appollaiato su piazza Venticinque Aprile, a macinare coperti: in linea con la nuova città che corre, quasi mai a vuoto. Le parole sono di Viviana Varese.

Le "vecchia" Alice di via Adige
FARINETTI - «Sette anni in via Adige, nel 2010 arriva la stella.
Eataly organizza una cena con tutti i premiati di quell'anno, lì conosciamo
Oscar Farinetti. Mi piace come persona, subito, e tantissimo; la sua visione mi affascina. Penso: sarebbe bello lavorare con lui. Allora gli scrivo una lettera, viene a mangiare da noi, passiamo il pomeriggio insieme, iniziamo a ragionare. Ci siamo intesi subito. Lui voleva aprire
Eataly a Milano, era già in parola con
Davide Scabin per affidargli il ristorante, va un po’ in crisi, non sa bene cosa fare». Alla fine decide: vuole
Alice. «Firmiamo il contratto su un pezzo di carta sporca, in un ristorante di Roma. Voglio dire: l’accordo è nei fatti, niente di formale, è stata una specie di promessa, che lui ha sempre rispettato. Noi ci siamo fidate, abbiamo venduto lo spazio in via Adige. Si è dimostrato, come si diceva una volta, un uomo d’onore».
LE DIFFICOLTA’ - «Eataly è una struttura difficile. Portare avanti l’impresa non significa solo cucinare bene, ma far di conto, lavorare intensamente, organizzare. Non basta quello che ci mettevamo anche prima, ossia passione e amore. Il primo anno abbiamo fatto fatica, c’erano tanti debiti, sentivamo la responsabilità. Dovevamo fare le imprenditrici, non eravamo abituate: Sandra si svegliava ogni mattina alle quattro per andare al mercato del pesce, quindi un po’ di riposo e veniva in sala. Per sei mesi abbiamo dormito per tre ore a notte. Poi però la stampa ha iniziato a scrivere di Alice, in poco tempo sono usciti 60 articoli, al che ho capito che Milano è così, una città che sa riconoscere il lavoro e il merito. Sapevamo di dover correre, ma abbiamo capito che non l’avremmo fatto a vuoto».

Viviana Varese a Identità Milano 2015
LA CRESCITA – «Siamo partiti che eravamo una dozzina di persone, ora siamo 56. Abbiamo 15 addetti alla sola gastronomia di
Eataly, che è la gestione di gran lunga più complicata, 100 ricette da proporre fresche ogni giorno, il ristorante stellato dà molti meno problemi. Anche se non credo ci siano in Italia altre insegne gastronomiche che macinano una media di 120 coperti al giorno, 100 è la quota minima nei momenti meno intensi».
LE DONNE - «Il nostro punto di forza è lo staff. Più del 50% è costituito da donne: quasi tutta la sala, buona parte della cucina, la mia sous chef Ida Brenna lavora con me da cinque anni, ormai. Ci piace che il nostro sia considerato un ristorante particolare, dove non si fa distinzione di religione, sesso, etnia. Non abbiamo un approccio di tipo militaresco, ci si diverte anche, ma siamo seri sul lavoro. E poi possiamo utilizzare le migliori tecnologie, abbiamo macchinari che possono vantare pochi altri, nel Paese».
IL FUTURO - «Come vedo il mio futuro? In continuità col presente. Investiamo sui nostri collaboratori, Ida è reduce da uno stage all’Enigma di Albert Adrià, mandiamo un nostro capopartita al Celler de Can Roca. Investiamo molto nella formazione. Tra dieci anni penso che Ida possa essere la chef di Alice, mentre io mi occuperò di altri progetti: ci sono tante cose da fare e possiamo contare su grandi talenti che potranno sostituirci. Per questo vogliamo costruire un gruppo che sia via via sempre migliore».

Gnocchi di verdure con perle croccanti, acqua ai sette pepi e siero di pecorino, il piatto presentato dalla Varese a Identità Milano 2015
IL CAMBIAMENTO - «Non ci fermiamo mai, vogliamo rivoluzionare il nostro approccio, ma lo facciamo senza stacchi, operiamo poco a poco i cambiamenti, evitando le fanfare. L’idea è di ricostruire da qui a sei mesi l’intero menu, chiudere una parentesi per aprire un nuovo discorso, senza rinunciare al nostro stile. Cambiamo i piatti in sordina, introduciamo novità in sala, abbiamo già stravolto la piccola pasticceria finale, oggi proponiamo sette diversi assaggi, un impegno enorme se moltiplichiamo per il numero di coperti giornalieri. Miglioriamo l’aperitivo, i nuovi piatti ci danno soddisfazione, lavoriamo per focalizzare sempre più sul gusto. Proporremo una sola pagnotta, un percorso degustazione più snello, con porzioni meno abbondanti».
I PIATTI - «Toglieremo quasi tutti i classici dal menu, anche quelli cui è difficile rinunciare, perché ce li chiedono in continuazione. Da qui a sei mesi, vogliamo una carta del tutto rinnovata. Solo qualche eccezione: il Superspaghettino, difficilissimo da realizzare, un piatto del 2009 che faccio fatica a eliminare. Poi la pasta e fagioli, e la mia pizza fritta, nasco pizzaiola, mi ricorda gli inizi».
Auguri sinceri.
(Nella fotogallery, i piatti iconici di questo decennio, un grazie a Loredana Brenna)