23-08-2023

I confini fluidi del ristorante Local, a Venezia

Lo chef campano Salvatore Sodano è serenissimo nella città lagunare, di cui interpreta la materia schiudendola alle sue origini e al mondo. Mentre in sala, si predilige un servizio essenziale e pratico, a favore della convivialità

Napoli. Ma il Golfo è lontano da qui, eppure c’è acqua tutto intorno e dentro.

Non svetta il Vesuvio all’orizzonte, ma un campanile a ogni battito di ciglia, mentre si susseguono architetture sospese sull’acqua. La magia è quella, che sia Napoli o che sia Venezia. Ma un napoletano che arriva a Venezia, certe dinamiche deve imparare a conoscerle in fretta.

A Venezia si cammina soprattutto a piedi e i taxi si muovono lungo i canali; se vai di corsa, meglio rassegnarsi subito - a dettare i tempi sarà solo la città. Al ristorante il pesce non viene consegnato ogni giorno alla stessa ora; qualche volta il servizio potrebbe essere sul punto di cominciare, quando ecco un carico in arrivo. Pesce a destra e a manca, spesso diverso; nessun furgoncino, ma cassette trasportate dalla barca alla calle, dalla calle in cucina e poi trasformato per la tavola. Anche la trattativa con i pescatori cambia e, naturalmente, la programmazione del lavoro intorno all’ingrediente.

Da sinistra, la patronne Benedetta Fullin (in uno scatto dal profilo Instagram del ristorante Wildner, a Venezia), lo chef partenopeo Salvatore Sodano e il direttore di sala e sommelier, Manuel Trevisan

Da sinistra, la patronne Benedetta Fullin (in uno scatto dal profilo Instagram del ristorante Wildner, a Venezia), lo chef partenopeo Salvatore Sodano e il direttore di sala e sommelier, Manuel Trevisan

Tutto questo ha condito gli inizi di Salvatore Sodano nella Serenissima, al timone da circa un anno e mezzo della cucina del Local, ossia il futuro della famiglia Fullin, già proprietaria del ristorante Wildner, spaccio di sapori tipici; mentre la più giovane insegna, il Local appunto, nasce nel 2015, ideata dalle nuove leve Luca e Benedetta Fullin, ed è proprio lei che qui concentra la sua gioiosa accoglienza affiancata da suo marito, nonché direttore di sala e sommelier, Manuel Trevisan.

La sala del Local

La sala del Local

Fuori scorre il canale, sul ponte l’andirivieni dei passanti è perpetuo, ma dentro vive la calma, si spande il chiacchiericcio dei commensali - la musica migliore - e quella morbida familiarità che raggiunge l’ospite attraverso un servizio funzionale e godibile. Non c’è in atto uno schema particolare, se non un discreto e continuo osservare a distanza per anticipare le esigenze di chi è accolto; nel corso del pasto non giungeranno mai informazioni superflue o di troppo, bensì sarà comunicato lo stretto necessario, per approcciarsi in autonomia al piatto, riflettere senza condizionamenti o, molto più semplicemente, per godersi il momento.

Una sala disposta a dilungarsi nel racconto solo se è la curiosità del cliente a richiederlo anche perché, di portata in portata, arrivano al tavolo delle tesserine con brevi approfondimenti a disposizione e discrezione dell’ospite. Tutto questo a favore di una convivialità libera di essere e sgravata da lunghe (e spesso inutili) interruzioni.

Le murrine incastonate nel pavimento del Local

Le murrine incastonate nel pavimento del Local

Prima di accomodarsi, vale la pena buttare un occhio tutto intorno: dai pavimenti sigillati dalle 2500 murrine con il simbolo del Local, alla cantina, fino alla piccola sala laterale rispetto a quella principale: un banco alto riservato a gruppi numerosi a cena, diventa di giorno la camera di lievitazione del pane; inoltre, in questa porzione del Local “sosta” la seconda vita di numerosi ingredienti, sottoposti a sperimentazioni ed evocati in questo o quell’assaggio nel menu: miso pane, miso limone, nespole fermentate, umeboshi, koji di mandorla; poco al di sotto, le letture che alimentano il sapere della squadra di sala e di cucina, e le celle di maturazione, sia per la carne – la selezione del giorno propone nel nostro caso tagli bovini, anatre, coppiette - che per il pesce.

In questo caso, la scelta ricade sempre su pezzature piuttosto importanti e la laguna in questo senso dà belle soddisfazioni. Togliamo subito ogni dubbio: ricorrere alla maturazione di carne o pesce, non è una scelta di tendenza, ma un’accortezza ulteriore verso la materia che si predispone così, a offrire la migliore versione di sé; attraverso leggere frollature, infatti, i sapori risultano più concentrati, le fibre si “rilassano” e le carni, in cottura, non si sfaldano, rivelandosi più tenere e scioglievoli in fase di masticazione.

La cernia è il pescato proposto nel corso del nostro pasto, servita con peperoncini verdi, una salsa di cozze, e squame soffiate; viene proposta anche in tartare con una composta di prugna fresca e ossidata. Un piatto che ben riflette l'applicazione funzionale della maturazione

La cernia è il pescato proposto nel corso del nostro pasto, servita con peperoncini verdi, una salsa di cozze, e squame soffiate; viene proposta anche in tartare con una composta di prugna fresca e ossidata. Un piatto che ben riflette l'applicazione funzionale della maturazione

Ma questa è solo una piccola anticipazione della cucina di Salvatore e dell’universo Local, che non sottraggono spazio alla lunga storia di contaminazioni della città; il tutto, però senza mai allontanarsi troppo dalla sua stessa tipicità: a partire dai cicchetti iniziali fino all’atto tutto italiano di terminare il pasto con i distillati, a cui Manuel dedica un intero carrello.

Ecco che, allora, l’arrivo di Salvatore risulta congeniale; con sé ha portato tutta la brigata da giù “per capirsi meglio”, scherza Sodano – vale a dire lo schieramento campano del Faro di Capo d’Orso che fu (a Maiori, Costiera Amalfitana) quando Tato era ancora in cucina con suo fratello Francesco, oggi impegnato in un progetto di cibo di strada, a cui si sommerà presto un e-commerce e altre visioni familiari in divenire.

La brigata di cucina del Local

La brigata di cucina del Local

Ora, partiamo da un presupposto: quello di Salvatore non è un approccio nostalgico alla cucina partenopea, non rincorre evocazioni, perché sempre lo chef si è lasciato attraversare dagli influssi del mondo  e ora anche da quelli veneziani. Il tratto che più emerge delle origini in senso lato è la densità, la vivacità del gusto, mai sottotono, e dove questo inizia ad allentare la presa, subentra la varietà delle consistenze.

Elementi si fondono e culture si mescolano, creando una cucina che resta unica, vocata più alle singole sensazioni che si schiudono nel piatto, piuttosto che a restrittive etichettature: qui dove la ricercatezza si affianca ai piaceri più istintivi e appaganti; le cotture - specie quella della pasta - più audaci, si alternano a quelle più “infantili” nel vero senso del termine: un esempio è il Risone, ormai un must nel menu del Local, proposto in versioni sempre diverse; un formato di pasta che il più delle volte abbiamo consumato in tenera età, “svezzato” dalla forza gustativa che scatena lo xo di schia, il gamberetto grigio che vive sul fondale della laguna.

Risone di canoce, cicoria e Xo di schia

Risone di canoce, cicoria e Xo di schia

L’abbondanza invernale del piccolo crostaceo ne motiva la conservazione per essiccazione e, quindi, l’uso nello xo, una salsa di ispirazione orientale a base di frutti mare, chili e aglio. Una decisa impronta salina, un velluto umami che concentra la dolcezza della canocia (la pannocchia), l’amaro della polvere di cicoria e la schia. Di contrasto alla scioglievolezza di questa varietà di pasta, la tenacia e il mordente deciso del pelusiello, molto simile a una pappardella ma più spessa, è la struttura che ospita la succosità avvolgente, dolce e affumicata del peperone crusco in salsa, a cui si somma l’acidità persistente e aromatica della polvere di limone nero.

Pelusiello, peperone crusco e limone nero

Pelusiello, peperone crusco e limone nero

Venezia-Napoli si danno appuntamento in una seppia: il mollusco cotto al teppanyaki, si carica di un leggero fumo, viene nappato dal suo nero e irrorato da una scapece di zucchine liquida, mentre la testa, come tradizione veneziana desidera, viene passata in farina di mais e fritta. Un unico ingrediente, una duplice interpretazione, tra la concentrazione di mare smorzata dalle note acetiche del contorno estivo partenopeo per eccellenza, e il fritto, croccante fuori e fondente al cuore.

Seppia in nero...

Seppia in nero...

...e la sua testa fritta

...e la sua testa fritta

Ed è forse in questa portata che si condensa l’agilità creativa del Local e di Salvatore Sodano: sfuggire all’ovvietà di trovarsi in un luogo, non limitarsi alla propria origine, rinunciando all'impulso di creare solo secondo la tradizione, che pure è presente, ma rivestita dalla luce nuova che la contaminazione imprime. L’ingrediente è locale, ma l’apertura alla potenzialità della materia è pressoché totale.

Venezia, Napoli e in mezzo il mondo in questo Local che continua a evolvere, serenissimo.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Marialuisa Iannuzzi

Classe 1991. Irpina. Si laurea in Lingue e poi in Studi Internazionali, ma segue il cuore e nella New Forest (Regno Unito) nasce il suo amore per l'hospitality. Quello per il cibo era acceso da sempre.  Dopo aver curato l'accoglienza di Identità Golose Milano, oggi è narratrice di sapori per Identità Golose. Isa viaggia, assaggia. Tiene vive le sue sensazioni attraverso le parole.

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