03-10-2021
Ana Roš ed Enrico Crippa, recenti protagonisti de La Via Selvatica, percorso voluto dalla famiglia Ceretto nella cucina (e nella cultura) wild
Leonardo da Vinci diceva: “Salvatico è chi si salva”. E in qualche modo, anche se con una falsa etimologia, forse ci voleva spiegare qualcosa di preciso. Perché anche se “selvatico” non deriva certo dal verbo “salvare”, i due termini sono in qualche modo connessi. O così ci piace pensare.
A ben vedere, infatti, tutto quello che è selvatico in qualche modo si salva, si adatta, trova una via d’uscita. “Selvatico” ha la stessa radice di selva, quella selva che quando la si attraversa riesce a modificarci, rendendoci diversi, nuovi, per certi versi forse migliori. A far riflettere su tutto questo è il semiologo Stefano Bartezaghi, uno dei protagonisti dei dodici incontri della Via Selvatica organizzati dai Ceretto ad Alba.
Ma perché proprio “selvatico”? La prima volta che fu usato questo aggettivo per descrivere la famiglia, non la presero bene. In realtà, però, il termine ha un’accezione positiva perché strettamente legato al mondo della natura, a quella dimensione incantata che sono le Langhe, dove viti, uve e molte specie vegetali crescono indisturbate senza l’intervento dell’uomo, a meno che questo non sia intelligente e capace di guardar lontano, proprio come il lavoro quotidiano dei Ceretto.
Andrea Loreti
Ana Roš
Un orto a Kobarid (che poi è Caporetto) a 1.000 metri di altezza, 12 ettari in biodinamico. Ana ha totalmente rivoluzionato e dato un nuovo volto alla gastronomia slovena: un volto fatto di intelligenza, sostenibilità e bellezza. Il tutto in un territorio storicamente molto difficile che però in mano a lei ha cambiato la sua essenza. Non a caso è stata incoronata World’s Best Female Chef nel 2017.
Dalla sua terra, ma soprattutto dalle sue mani, nascono piatti come la sua colorata Insalata di montagna, un piacere per gli occhi e per il gusto, ma anche una proposta strabiliante come la Trota stagionata, acqua d’orzo, cetriolo e infusione di fiori di sambuco, pralina di pancia di trota e foglia di fico. «Le trote vengono pescate da noi, in un lago molto conosciuto per la pesca, ottenuto grazie all’incanalamento di vari ruscelli - spiega - Per la pralina uso stomaco e fegato. Le frattaglie di pesce sono selvatiche e sostenibili». Ma la grande sorpresa della recente cena a quattro mani con Enrico Crippa al Piazza Duomo in occasione della Via Selvatica è stata la zampa dell’orso: una carne spesso usata in Slovenia. «Nel Raviolo di castagne ripieno di zampa d’orso e consommè di bosco ho voluto creare lo stesso profumo che c’è nel bosco da noi dopo che ha piovuto». E in un attimo ci ritroviamo lì, in mezzo a quegli alberi altissimi, circondati dalla natura incontaminata e selvatica di una splendida Slovenia tutta da scoprire.
Enrico Crippa
Ma la restante parte dell’orto è coltivata e vi si trovano verdure davvero particolari, come il pomodoro litchi, una bacca simile alla ciliegia ma con le spine, che pare sia il primo esempio di pomodoro per fecondazione in pianta. «Ogni tanto, con questo pomodoro primordiale propongo ad alcuni clienti una matriciana... diversa. Si tratta di un fuori carta, un colpo selvaggio, che li lascia sempre stupiti». Se si pensa alla cucina di Crippa in questa stagione, si può facilmente immaginare quanto sia ricca. In autunno le Langhe sono colme di vigneti nella loro massima espressione, tutto è legato indissolubilmente al bosco, al suo profumo. E re incontrastato è il tartufo, che quest’anno sembra avere però qualche problema per via delle condizioni meteorologiche. «Diciamo che ci vorrebbe un po’ di pioggia - spiega Crippa - Ma noi fortunatamente non siamo mai rimasti senza tartufo. A Piazza Duomo abbiamo i nostri fornitori del posto. Il problema è che se dovessero scarseggiare, ci potrebbe essere il rischio di trovare in giro il prodotto non italiano».
I due chef a La Via Selvatica
Nella ricerca gastronomica di Crippa viene valorizzata sì la creatività, ma anche la verità semplice delle Langhe, così accomodante, rassicurante. Come gli splendidi fegatini di faraona o le terrine della tradizione. Perché nella sua cucina nulla va sprecato e ogni cosa viene celebrata, dall’elemento animale a quello vegetale, in un’eterna danza selvatica di gusto e sostenibilità.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
a cura di
classe 1990, varesina, dopo la laurea in Linguaggi dei media ha frequentato il master in giornalismo dell’Università Cattolica. Ama cucinare, mangiare e scrivere di gastronomia
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