Ascoltare Giuseppe Licitra, Professore ordinario di Zootecnica speciale all’Università di Catania, parlare della Provola dei Nebrodi, permette di cogliere tutta la passione che ha profuso, da responsabile scientifico, nella creazione del Consorzio, nato a ottobre dell’anno scorso, che oggi raccoglie 29 produttori. «Sono tutti piccoli allevatori, ma io preferisco considerarli dei veri e propri custodi di un territorio dalle potenzialità enormi, ancora in buona parte inespresse».
Abbiamo raccontato due settimane fa del primo Nebrodi Cheese Festival, organizzato proprio per celebrare questa buonissima tipicità casearia (allora scrivevamo che i produttori erano 25: nel frattempo altri 4 si sono aggiunti al Consorzio). In quell’occasione abbiamo avuto modo di farci raccontare da un grande conoscitore dei formaggi storici siciliani le caratteristiche di questa Provola.
«Non si può comprendere l’essenza di questo formaggio - ci spiega Giuseppe Licitra - senza partire dalla terra da cui nasce. Il territorio dei Monti Nebrodi è unico in tutta la Sicilia, ed è stato valorizzato pochissimo. Questo perché per la sua conformazione non si prestava, ad esempio, agli allevamenti intensivi: è una terra molto ricca, ma difficile da sfruttare. Oggi, con un’attenzione maggiore per l’ecosostenibilità e per le piccole produzioni di eccellenza, i Monti Nebrodi possono diventare oggetto di grandi e meritate attenzioni».

Giuseppe Licitra in mezzo alle amate Provole dei Nebrodi
La
Provola dei Nebrodi è un formaggio a pasta filata, come lo sono anche, restando in Sicilia, il
Ragusano e la
Vastedda della Valle del Belice. Ma è un prodotto unico per molte ragioni. «Intanto per il suo essere un formaggio di montagna - continua
Licitra - creato con il latte di vacche che si nutrono soltanto al pascolo, liberamente. E che quindi portano nel loro latte tutto il sapore dei Monti Nebrodi e delle loro stagioni: nessuna forma è mai uguale all’altra».
Gli fa eco, mentre ci mostra la produzione nel suo laboratorio,
Nino Valenti, dell’
azienda agricola Bionatura, uno dei 29 produttori del Consorzio: «Questo formaggio si può fare solo in un modo: con il latte appena munto dalle nostre vacche. Se già dovessimo trasportarlo anche solo per qualche ora, le Provole non sarebbero più le stesse. Come prima cosa, alla mattina, facciamo la ricotta. Poi useremo il siero che si ottiene da quella lavorazione per produrre la Provola».
Dal latte, portato a una temperatura di circa 38°, a cui viene aggiunto un caglio ricavato dagli agnelli della stessa azienda agricola, si ottiene il cosiddetto “tumo”. Che una volta pronto viene steso a riposare su una grande tavola di legno, perché si asciughi completamente dal siero. Poi il tumo viene tagliato a fette, rimesso nel siero caldo per poterlo lavorare, facendo filare la pasta e poi, rigorosamente a mano, mozzato e modellato per ottenere la caratteristica forma.

Nino Valenti di fianco alla tavola di legno su cui si stende il "tumo"
«La questione fondamentale e delicatissima - ci spiega
Valenti - è ottenere Provole dalla superficie perfettamente liscia e omogenea. E il segreto sta solo nell’abilità del casaro: mio padre
Giuseppe è ancora oggi il più bravo e il più veloce di tutti noi», aggiunge il figlio
Nino, mentre silenzioso, e con un sorriso sornione che racconta di una vita dedicata a questo lavoro,
Giuseppe Valenti dimostra con le sue mani come l'erede non stia esagerando.
Perché è importante che questa parte della lavorazione sia così meticolosa? Perché questo formaggio dà il meglio di sé con una lunga stagionatura, che riesce nel modo giusto solo se la crosta è appunto liscia ed omogenea. Così, dopo almeno sei mesi, si potrà avere la più pregiata delle
Provole dei Nebrodi, quella che porta il nome di “Sfoglia”. «E’ una caratteristica unica di questo formaggio - precisa
Giuseppe Licitra - che al massimo della sua qualità, grazie alla stagionatura, fa nascere al proprio interno delle particolari venature, sfogliandosi appunto».
Il risultato, sia per consistenza che per intensità aromatica, è davvero seducente. Così come accade per un’altra preparazione tipica della
Provola dei Nebrodi, su cui il
Consorzio punta molto per la sua affermazione. Alcune di queste forme vengono infatti prodotte posizionando al loro interno un limone verde: «Non sono ancora riuscito, e probabilmente non ci riuscirò mai - ride il professor
Licitra - a risalire all’origine di questa usanza. Ma è straordinario l’effetto che ha sul formaggio questo limone, rilasciando nel corso dei mesi di stagionatura la sua umidità, e quindi i suoi aromi e profumi».

Giuseppe Valenti, e le sue mani esperte, che modellano Provole da quando era bambino
Sul marchio del
Consorzio della Provola dei Nebrodi, le forme con al loro interno il limone sono identificate dall’aggiunta delle lettere
LV: all’assaggio l’unione di questi aromi ci è parsa irresisitibile, ma anche esteticamente si tratta di un’idea particolarmente intrigante. Se, come spera il professor
Licitra, e con lui gli associati del Consorzio, entro la fine dell’anno arriverà da parte del Governo il riconoscimento della Denominazione d’Origine Protetta, sarà forse più facile poi trovare, anche fuori dalla Sicilia, questa squisita specialità.
«Grazie alla DOP il Consorzio potrà crescere ancora molto, possiamo arrivare almeno a un centinaio di associati - conclude
Giuseppe Licitra - ma devo dire che mi auguro che restino tutti piccoli produttori. Questo è un territorio difficile, in cui non si può pensare di spingere la produttività delle vacche oltre un certo limite. Le quantità resteranno quindi limitate e per questo è fondamentale che la produzione dei consorziati venga poi accentrata, per essere commercializzata anche oltre il territorio dei Nebrodi, arrivando in tutta la Sicilia e nel resto d’Italia». E noi facciamo il tifo perché ciò accada: ne vogliamo ancora!