09-11-2022

Miscelazione e ristorazione: possiamo davvero parlare di una nuova liaison? La parola agli esperti

Cocktail pairing, una moda o il principio di un rapporto destinato a durare? Lo abbiamo chiesto a bartender, chef, imprenditori e brand ambassador

Da sinistra a destra, Umberto Oliva (Bella Cocktai

Da sinistra a destra, Umberto Oliva (Bella Cocktail Bistrot, Milano), Leonardo D'Ingeo e Dom Carella (Carico, Milano), Chiara Beretta (Fine Spirits Italia) e Andrea Pomo (Santa Teresa 1796)

Menu degustazione con wine pairing. Ormai sembra un acquisto a scatola chiusa, una sorta di sine qua non ogni qualvolta ci si ritrovi seduti a tavola al ristorante. E se prima il percorso a più portate suggerito dallo chef era un’esclusiva o una caratteristica degli indirizzi più rinomati, in realtà la tendenza negli ultimi tempi si è quasi ribaltata.

Sempre con più naturalezza è possibile trovare menu più o meno estesi che consentono di sperimentare, nel numero di portate ritenuto giusto, la versione più completa e soddisfacente della cucina di questo o quello chef. E ci sono luoghi in cui il menu degustazione è andato a sostituirsi interamente a un menu alla carta. Alcune volte si tratta di una decisione fatta per motivi di economie di scala, per praticità, per complessità dell’offerta. Sta di fatto che accanto alla classicità di un percorso degustazione non manca mai una proposta vini studiata ad hoc dal sommelier di sala o dal maître. Ecco che chi se la sente si cimenta in un percorso (a volte davvero provante) di innumerevoli portate, cambi posate, cambi bicchieri, travasi.

Le nuove generazioni al comando di brigate e progetti di accoglienza si stanno orientando verso modelli di business più elastici, dinamici e leggeri, per quel che riguarda l’esperienza a tavola. Proprio in questo contesto si inserisce la nostra riflessione in merito alla spinta, ancora tenue ma in crescita, che il mondo della miscelazione sta vivendo all’interno dei luoghi votati alla gastronomia per eccellenza. Anche quelli più conservativi.

Se prima la tendenza era quella di considerare i due mondi come compartimenti stagni, fortunatamente ad oggi sono numerosi gli esperimenti – più o meno riusciti – in cui il bere miscelato incontra una cucina di ricerca e d’autore. Il dialogo tra questi due mondi si sta facendo sempre più intenso, a volte anche molto fluido, nonostante ancora non via sia una massa critica di davvero capace di valutarli con eguale cognizione di causa. La maggior parte del giornalismo contemporaneo specializzato sulla gastronomia è spesso e volentieri skilled sul reparto vino, meno o pressoché zero sulla miscelazione. Dall’altro lato, in Italia in questo momento storico particolare stiamo vivendo una crisi di penne che trattino tematiche legate al mondo degli spirits. Le figure mediane, in grado di raccontare la bar industry così come la cucina italiana contemporanea, si contano sulle dita di una mano.

Come la pensano gli addetti ai lavori? Lo abbiamo chiesto ad alcuni professionisti che lato shaker o lato fuochi lavorano in questi contesti sperimentando nuove frontiere dell’ospitalità.

Scilla e Cariddi: Marsala Florio infuso al cappero, Tanqueray 10, foglie di limone, tosazu (Bella Bistrot)

Scilla e Cariddi: Marsala Florio infuso al cappero, Tanqueray 10, foglie di limone, tosazu (Bella Bistrot)

Umberto Oliva, bartender calabrese trasferitosi a Milano per passione e slancio professionale, è il bar manager del Bella Cocktail Bistrot in Porta Romana. Il nome di per sé suggerisce il concept alla base di questa apertura relativamente giovane. «Mi considero un bartender di nuova generazione, avendo iniziato anche molto di recente a fare questo mestiere e con la fortuna di venire dal mondo dell’alta ristorazione. Considerare un drink e un piatto come due elementi in dialogo per me non è uno sforzo e anzi, è proprio la base sulla quale abbiamo sviluppato il Bella. Qui succede davvero molto spesso che il cliente ci chieda un piatto e un drink abbinato o viceversa. Abbiamo voluto impostare la nostra miscelazione partendo proprio dall’ingrediente, senza precluderci nulla e anzi, attingendo dallo stesso spettro di elementi che la cucina usa nelle sue preparazioni».

Una visione interessante in questo senso arriva dallo chef di CaricoCasual Ristorante Cocktail Bar a Milano - Leonardo D’Ingeo che sostiene come «un bartender sia un po’ come uno chef che anziché operare con ingredienti solidi si ritrova a dover applicare la sua creatività a materie prime liquide. Ma il lavoro non è poi così differente». A pensarci bene è proprio così e secondo questa visione il confronto tra chef e sommelier è quasi più difficile che tra barman e cuoco, proprio perché i piani creativi non sono i medesimi. «Quando abbiamo aperto Carico tre anni fa, proporre una degustazione con cocktail in pairing era ancora visto come qualcosa di estremo e per pochi. Oggi come oggi la nostra cucina viaggia a quasi pari volumi rispetto al bar e con una richiesta sempre maggiore verso questo tipo di esperienza».

Ad avvalorare questa teoria, Dom Carella, volto e mente di Carico, sottolinea un punto importante: la tecnologia. «Diciamo che per me non è mai stato nuovo parlare del binomio miscelazione-cucina venendo dal mondo della ristorazione, ma la vera chiave di volta è stato l’apporto della tecnologia. Pensiamo a usare un'induzione per realizzare un piatto: ti offre una serie di possibilità ma se a questa aggiungi una salamandra, un roner, un green egg, un forno, le tue possibilità si moltiplicano. La stessa meccanica va pensata sul bar, perché l’avvento di strumentazioni quali centrifughe, rotavapor, sonicatori non ha fatto altro che aumentare esponenzialmente le combinazioni e le lavorazioni possibili passando alla produzione di fermentati, infusioni, consistenze, che prima non erano nemmeno immaginabili».

Carico, Milano

Carico, Milano

Quale risultato è più efficace? Non è tanto questione di chi primeggia su chi ma piuttosto di obiettivi a monte che possono essere diversi a seconda degli ambienti, delle necessità, dei contesti, dei budget a disposizione. Il sentimento comune tra questi professionisti è che lo spettro di aromi che un cocktail può toccare, come esperienza complessiva di gusto, può spaziare molto di più rispetto a un calice di vino. Certo, non è per tutti.

«Più che di clientela che va alla ricerca di un pairing cibo e drink, per la mia esperienza nel settore miscelazione negli ultimi dieci anni, posso dire che sempre più persone guardano con interesse quei cocktail bar dove la proposta culinaria è di eguale se non maggiore appeal rispetto a quella di miscelazione. Si cerca una cucina smart, divertente e con la quale arricchire la propria serata, pre, post o durante la bevuta di un drink» sostiene Chiara Beretta, per anni alla guida del Rita & Cocktails di Milano e oggi brand ambassador Fine Spirits Italia.  A livello formativo, per quello che sono le nuove generazioni di bartender che si affacciano sul settore è assodato che non vi siano lato educativo particolari approfondimenti sul tema mentre si tratta più che altro di una sensibilità e interesse che viene lasciato sviluppare al singolo individuo. La Beretta sostenendo come «Comunemente parlando sia più facile che le persone vedano come possibili abbinamenti il Margarita alla cucina messicana, la classica Caipirinha al sushi brasiliano del momento e l’americano al tradizionale aperitivo italiano anziché combinazioni più ardite».

Illustrazione di Coline Girard (labelleassiette.co.uk)

Illustrazione di Coline Girard (labelleassiette.co.uk)

Un punto di vista diverso arriva da Andrea Pomo, ex bartender per The Jerry Thomas Project a Roma e oggi brand ambassador Italia per Santa Teresa 1796 «Personalmente credo molto nelle possibilità della miscelazione nell’ottica del food pairing. Da qualche anno ho impostato il mio lavoro in costante dialogo tra ricette di cucina e ricette del mondo bar, proprio perché credo che il nostro settore debba molto alla gastronomia. Le cotture, le sferificazioni, il sottovuoto, sono oggi tecniche comunemente usate nei cocktail bar ma che appartengono a una sfera culinaria da cui noi bartender abbiamo attinto. Credo che in qualche modo questi due mondi siano indissolubilmente uniti e mi piace lavorare con il cliente finale pensando a fortificare e intensificare lo scambio tra i due lati. A seconda dei contesti, per me che viaggio molto, trovo pubblici più o meno ricettivi ma sempre molto curiosi».

Nonostante il nostro paese abbia numerosi cocktail bar inseriti tra le posizioni più alte della classifica dei World's 50Best Bars c’è ancora una grande fetta di consumatori (bevitori) poco propensi a lasciare la propria comfort zone. Forse l’offerta non è ancora così alla portata di tutti, così facile da trovare e forse se ne parla ancora troppo. Di fatto, la presenza di pacchetti esperienziali guidati, con uno o più portate e drink in abbinamento risulta il modello più facile e divertente per testare nuovi modelli di ristorazione e miscelazione. A voi la scelta, verso un divertimento meno scontato e indubbiamente ricco di sollecitazioni sensoriali.


Shake & shock

ll mondo dei cocktail e dei bartender raccontati da Identità Golose.

Chiara Buzzi

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Chiara Buzzi

piemontese di ferro, classe 1986, laurea in Economia per i beni culturali, dopo anni di militanza nei locali milanesi, è co-titolare insieme a Edoardo Nono del Rita & Cocktails - storico American bar di MIlano e del Rita’s Tiki Room, spin-off caraibico polinesiano aperto nel 2019. Viaggia per passione, lavora per passione, mangia con passione

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