Sono tanti gli spunti che abbiamo raccolto nel corso del talk curato da Identità Golose per il Bob Fest 2025, la kermesse che ha portato a Roccella Jonica (Reggio Calabria) il meglio dell'enogastronomia italiana e internazionale. Titolo dell'incontro: «Identità Golose e La Grande Calabria fuori dalla Calabria». Moderati da Carlo Passera e Marialuisa Iannuzzi, a prendere la parola sono stati cinque dei migliori ambasciatori dell’eccellenza calabrese, figure che si sono affermate nei rispettivi ruoli, chi come innovatore in cucina, chi come brillante imprenditore della pizza, chi come bartender di gran valore. Si tratta di Anthony Genovese, Matteo Aloe, Salvatore Morello, Simone Cantafio e Umberto Oliva, grandi professionisti che lavorano in altre zone del Paese, ma non mancano mai di celebrare la loro terra, della quale - grazie alla distanza, che spesso migliora la percezione - possono raccontarci ancor più nitidamente i tanti pregi e magari anche qualche difetto da correggere. Abbiamo perciò pensato di chidere loro quale ingrediente, piatto o specialità al di sopra di ogni altro, rappresenti per loro la Calabria ed evochi il grande amore per questa terra meravigliosa attraverso la suggestione dei sapori e del ricordo.

ANTHONY GENOVESE, nato in Francia ma da genitori originari di San Lorenzo, versante Sud dell’Aspromonte, provincia di Reggio Calabria. È chef-patron del bistellato Il Pagliaccio a Roma
«L’olio extravergine innanzitutto. Me lo faccio produrre e brandizzare appositamente da una piccola azienda della provincia di Reggio Calabria, l’
Olearia San Giorgio a San Giorgio Morgeto (è l’olio
Ottobratico, ovviamente da cultivar Ottobratica. Viene prodotto sull'Aspromonte, nelle zone di origine della famiglia di
Genovese. Anzi, lo chef ha scoperto che alcuni dei terreni da dove si ricava oggi
Ottobratico erano anticamente dei suoi progenitori,
ndr). Non mancano mai anche i pomodori, il peperoncino, il caciocavallo. Tutte bontà che mi servono per cucinare anche le polpette per lo staff: ci penso in prima persona perché loro… non le sanno preparare così buone! (ride,
ndr). Poi abbiamo anche inserito in carta i maccheroni al ferretto, un omaggio alla mia nonna. Vengono conditi con salsa di pomodoro al ragù cotto molto lentamente e poi proprio con le polpette, come si usava una volta. Li abbiamo messi nel menu e sono un successo enorme!».
SIMONE CANTAFIO, nato a Rho ma originario di Pianopoli (Catanzaro), è chef dello stellato La Stüa de Michil dell'Hotel La Perla, a Corvara, in Alta Badia (Bolzano)
«In Calabria mi rifornisco da tanti piccoli produttori di alta qualità, ho bisogno di loro e li aiuto a farsi conoscere sempre più. Se devo dire due ingredienti che non mancano mai nella mia dispensa, il primo è assolutamente l'olio extravergine, sono cresciuto con lo straordinario olio ottenuto della olive cultivar Carolea, fa parte della mia storia, ho un rapporto speciale con la famiglia Fazari di
Olearia San Giorgio (di nuovo,
ndr). Poi mi fa impazzire il “pomodoro del salaturo” (
u salaturu) della zia, quello verde con finocchietto, peperoncino e aglio. È qualcosa di delizioso, perdo letteralmente la testa».
SALVATORE MORELLO, nato a Catanzaro, è chef del ristorante Inkiostro, una stella Michelin a Parma
«Per me è Calabria è sicuramente il piccante: amo tutti i sapori accesi, anche quelli esteri; devo anche confessare però di essere un calabrese decisamente atipico perché non mangio maiale».
MATTEO ALOE, originario di Maida, paesino in provincia di Catanzaro, ha fondato col fratello Salvatore la catena di pizzerie (di altissima qualità) Berberè, prima sede a Castel Maggiore (Bologna), ora altre 20 sparse per l’Italia e tre anche a Londra
«Io dico innanzitutto il tonno
Callipo: sono cresciuto mangiandolo, ora c'è sempre nella mia dispensa. E poi “sfrutto” i miei genitori, che non sono più giovani ma per fortuna stanno bene, quindi mi mandano sempre qualcosa di casalingo da gustare: il peperoncino secco, le olive nere infornate (spesso in realtà venivano essiccate al sole) che non riesco mai a trovare fuori dalla produzione famigliare… E, certo, la ‘nduja, che metto sempre su una delle pizze di
Berberè (l’ormai classica
Burrata e ‘nduja, con burrata pugliese, ‘nduja di Spilinga, pomodoro bio, pomodorini confit, basilico). È diventata un prodotto ormai di fama internazionale, è bene che sia così perché apre la strada a tante altre nostre bontà magari ancora nascoste. Viene ancora prodotta da piccole aziende, spero che qualcuna di queste possa crescere ulteriormente e farla andare ancora di più pure all’estero, insieme alle altre specialità calabre. Ne abbiamo bisogno».
UMBERTO OLIVA, originario di Oppido Mamertina (Reggio Calabria), versante Nord dell'Aspromonte, è bartender, consulente e tra i giovani talenti d'Italia in ambito mixology
«Più che un ingrediente mi porto dentro dei momenti, dei ricordi. Penso a un momento conviviale, che tanti di noi terroni abbiamo vissuto crescendo, vale a dire il tempo delle conserve, quella meravigliosa catena di montaggio per fare la salsa di pomodoro. Che effettivamente diventa drink, un cocktail sulla scia di un
Bloody Mary. Tutto parte dall’odore di fuliggine che sprigionavano i tini dell’olio esausto nei quali, sin dal mattino presto, venivano pastorizzati i barattoli per le conserve. Ecco, quell’odore di fuliggine mi lascia immaginare un pomodoro affumicato che prepariamo e uniamo alla colatura di alici, per dare sapidità e profondità al drink; ma aggiungiamo anche il rafano, ingrediente che compare nella ricetta originaria del Bloody Mary. Per questa ragione, quando bevo qualcosa mi soffermo sempre sui sapori, uno strumento di investigazione delle origini di chi ho davanti, ciascuno con la sua memoria liquida. Il compito di chi crea è risvegliare di volta in volta l’emozione di quella memoria nell’altro».