La passione: prima che venga pronunciata questa parola, balena negli occhi di chi ha preso parte al secondo appuntamento di Feemale a Milano, In Vino femina #2 organizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei. Donne legate dal vino e dal desiderio di scoprire e scoprirsi in ogni momento della vita, senza dare mai nulla per scontato. Tra loro però c'è anche un uomo, che ha raccontato un esempio di inclusione (uno degli altri termini chiave di questo incontro, insieme ad arte e impresa).
Sul palco, dopo l’introduzione di Linda Isola per la Fondazione, una conversazione che ha disseminato spunti di riflessione con naturalezza grazie alla conduzione della scrittrice, donna del vino e gastronoma Cinzia Benzi. Nessun “sermone” asettico, ma testimonianze autentiche, di come la fatica e le difficoltà non fermano chi desidera crescere e far crescere.

Da sinistra Camilla Guiggi, Marco Caprai e Barbara Sgarzi
Parità di genere e inclusione sono appunto due cardini del progetto Feemale, la cultura che induce a confrontarsi e trarre spunti positivi dall’esperienza. Si è partiti dalla presentazione del libro Vino, donne e leadership della giornalista Barbara Sgarzi. Un titolo impattante, ha sottolineato Cinzia Benzi, «un libro di grande riflessione, non solo per tecnici». Sgarzi ha raccontato la genesi della sua ricerca, vale a dire le interviste rivolte a cinque donne diventate chef de cave nel 2020. Il tema la spinge a viaggiare anche negli Stati Uniti, in Sudafrica e in Francia, un’occasione per «investigare quali valori appartengono alle donne che ce l’hanno fatta». Vigna, bottiglia e calice scandiscono questa ricerca: «Che si parlasse di cognomi importanti o del primo ettaro comprato con i debiti, al di là di culture, Paesi e lingue, emergevano soprattutto valori comuni».

A sinistra Caterina Mastella e a destra, la nostra donna del vino Cinzia Benzi
Riaffiora lei, la passione. «Tutto nasce da lì - assicura Camilla Guiggi, sommelier e delegata Donne del vino Lombardia - Quando c’è, non pesa quasi niente». Descrive quanto si sta facendo in Donne del Vino - «siamo una grande famiglia, personaggi attivi, curiosi, alla ricerca di nuove esperienze» -, compresa l’importante azione contro la violenza. Due nomi risuonano dolorosamente: Donatella Briosi in Friuli e Marisa Leo in Sicilia. Si tratta di non sentirsi, e di non lasciare, sole.
Ma quest’ultima non è una parola da declinare soltanto al femminile. Ecco perché si torna sul fronte dell’inclusione e appare l’esperienza di Marco Caprai della Cantina Arnaldo Caprai, premiato anche dal presidente Sergio Mattarella. «Bisognava dare una prospettiva di vita nei territori rurali, che oggi vivono un momento terribile.- ha spiegato il viticoltore - Siamo di fronte a un enorme spopolamento, all’invecchiamento degli abitanti e molte produzioni, vanto dell’Italia, sono a rischio estinzione. Se le aziende vorranno resistere, dovranno attrarre i lavoratori». È particolarmente difficile per chi è legato alla stagionalità. Ma nel 2017 si mette in moto un progetto che conduce ad assumere ragazzi stranieri. Sono giovani fuggiti dai loro Paesi, storie che scavano dentro: «L’umanità è sempre emigrata per cercare di ottenere una prospettiva di vita migliore, è una corrente storica mondiale e l’Italia non può pensare di sottrarsi ai suoi doveri». C’è bisogno di lavoratori e questo progetto diventa sempre più intenso, consente ai ragazzi di dare forma alle loro speranze. Precisa Caprai: «L’abbiamo fatto perché era una necessità dell’impresa. Ma se così facendo, abbiamo anche fatto del bene, questo non è che un valore aggiunto». Nel congedarsi ricorda come un imprenditore completo sia colui che si prende cura anche di quello che gli sta intorno. E ciò si collega all’esempio di Mattei. Un concetto che è andato affermandosi anche nella tavola rotonda immediatamente successiva.
Donne che spesso hanno avuto come esempio una madre che ha già aperto loro la via - che va rispettata, ma allo stesso tempo ne va creata una propria - oppure da esperienze di rottura coraggiose. «Ognuna di loro - le introduce Cinzia Benzi - rappresenta una porzione importante dell’Italia del vino, un elemento che arricchisce il nostro settore».

Da sinistra, Marianna Velenosi, Gaia Marano, Ottavia Vistarino, Giovanna Neri e Caterina Mastella
Come Caterina Mastella del gruppo Marilisa Allegrini, filosofa cresciuta tra vigneti e cantine: «Ho una mamma vulcanica, ma ci ha dato lo spirito di cercare la nostra strada. Finivo i compiti alle elementari e andavo da mia madre per stare con lei… non ricordo la prima riunione perché credo di essere stata molto piccola». Ecco che Caterina, come la sorella Carlotta, medico, ha cercato di portare il proprio talento, la propria impronta, per esempio, valorizzando la storia e l’arte che fanno parte del meraviglioso contesto di questa realtà.
Anche Giovanna Neri della Cantina Col di Lamo viene da studi non direttamente connessi al vino; si laurea, infatti, in Giurisprudenza con il massimo dei voti e poi fonda un’azienda che racconta, sin dal colore - l’arancio, così atipico allora - la sua personalità. «All’interno di un garage, che porta bene – sorride – Bisogna sempre avere il coraggio di fare le cose con passione. Da una sofferenza è nata una bellissima realtà. Ho lasciato l’avvocatura e ho realizzato un mio progetto, dettato dalla passione». Niente è facile, ma nulla è impossibile. Una visione che accomuna tutte queste donne.
Ottavia Vistarino di Conti Vistarino ha una famiglia con una lunga e radicata storia. Suo padre è un’istituzione, ma lei riesce a mettere in discussione tutto e intraprende una strada che - non nasconde - all’inizio è tutta in salita. «Il passaggio generazionale è un grandissimo freno per l’Italia. - afferma - Mi trovo a capo di una start-up con più di 150 anni di storia e ho dovuto iniziare da sola». Il Pinot Nero, la sua eleganza, la sua capacità di parlare a questi tempi: si scrive un nuovo capitolo.
È legata al design, con studi e risultati prestigiosi, la “prima” vita di Gaia Marano della Cantina Montevetrano: si racconta e nel pubblico c’è mamma Silvia Imparato che ascolta. In realtà, anche con questo percorso proprio, non c’era distacco dall’azienda, ad esempio aveva già disegnato etichette e altro materiale, ricorda. Poi l’immersione, naturale e piena di soddisfazione per entrambe. «Portare avanti la passione di qualcun altro mantenendo la propria identità non è facile - osserva e avvisa - il passato non è mai visto in modo nostalgico». Con queste mamme così vulcaniche appunto, la sfida è «stare al passo con le loro energie». Ma è una sfida bellissima.
Infine, Marianna Velenosi di Velenosi Vini: dalla laurea in Bocconi alla vita professionale in Svizzera. Ma l’Italia chiama e anche l’azienda nel Piceno. «Così sono tornata a lavorare qui. - racconta - La storia di mia mamma è dettata dalla passione per il territorio e il vino». Una storia contagiosa e anche Marianna porta la sua impronta, con il controllo di gestione. «Ci siamo dovute conoscere da adulte - sorride l’imprenditrice - Oggi mamma è diventata una delle mie migliori amiche».