Ci sono uomini che dedicano tutta la loro vita al perseguimento di un unico, importante obiettivo. Pio Boffa è stato uno di questi. Quarta generazione della famiglia Pio, che nel 1881 iniziò ad Alba la produzione di vini di qualità con il marchio Pio Cesare, ci ha lasciati, stroncato dal virus che in poche settimane ha messo fine al suo viaggio. Un cammino iniziato in giovanissima età. «Perché in famiglia non si parlava altro che di lavoro e di vini», raccontava. E quel ragazzo, chiamato presto in cantina dal padre Giuseppe per imparare a gestire l’azienda, ha contribuito a far diventare ancora più grandi baroli e barbareschi con le inconfondibili medaglie d’oro sull’etichetta, a promuovere il marchio Pio Cesare, ad affermare, senza mezzi termini e compromessi, quello stile di famiglia al quale la cantina di Alba non è mai venuta meno.
Ho conosciuto Pio Boffa, sua figlia Federica e il nipote Cesare alcuni anni fa in un hotel milanese. Una presentazione alla stampa, pensata e organizzata proprio per illustrare e spiegare la filosofia adottata, in 140 anni di attività, nella produzione di barolo e barbaresco. Fu una giornata piacevole, sobria, misurata. Esattamente come era il modo di porsi e di raccontarsi di Pio Boffa. Elegante, volitivo e con quel understatment, di radici anglosassoni ma tipico dei piemontesi, di chi non vuol mai essere sopra le righe: «Perché mi hanno sempre insegnato a farmi notare, non a mettermi in mostra». mi disse.
Grazie a quella frase capii chi avevo di fronte. Un uomo innamorato della sua terra, dei vini e del lavoro. Orgoglioso della sue origini e della sua famiglia. Inarrestabile. Capace di girare quasi 200 giorni in un anno per andare a presentare i vini
Pio Cesare in Asia e qualche giorno dopo negli Stati Uniti, a Londra e la settimana seguente a Sydney. Fiero e altero, sicuro che la scelta di produrre barolo e barbaresco da
multi cru, un blend dei vitigni più vocati e meglio posizionati nei rispettivi comuni di produzione, fosse la via maestra per poter rappresentare le caratteristiche dell’intera zona di
appelation. Non un barolo “classico” o “regular”. Giammai! Piuttosto il metodo corretto per fare arrivare in bottiglia, nel caso del barolo di
Pio, la possanza e la personalità di Serralunga, la complessità di Monforte, la finezza di La Morra e i tratti distintivi di Grinzane e Novello.
C’era da combattere una battaglia: l’affermazione di uno stile e un metodo, al quale la famiglia venne meno solo per confermarlo. «Decidemmo di produrre il
Barolo Ornato, il nostro primo single-vinyard, per esaltare le caratteristiche uniche di quel cru, non per dimostrare che fosse migliore», mi disse
Pio Boffa. A quel primo incontro milanese ne seguirono altri. Era piacevole ascoltare le sue storie, raccontate mescolando termini in italiano, piemontese e inglese, perché lui era un albese che viveva nel mondo.

Pio Boffa con la figlia Federica e il nipote Cesare
Negli Stati Uniti
Boffa c’era andato da giovane. A casa di
Robert Mondavi, nella Napa Valley, in California. Tre mesi passati ad apprendere segreti, tecnologie nuove, il rispetto verso il consumatore e il desiderio di produrre vini di qualità. Un’evoluzione che regalava vini di assoluta distinzione, senza compromessi. Una grande scuola. Da quell’esperienza il viaggio divenne una costante della sua vita. Appena possibile ad accompagnarlo si unì il nipote
Cesare, deciso a seguire le orme della zio e diventato con lui ambasciatore dell’azienda.
Pio Boffa era in costante fermento, un vulcano sempre pronto ad esplodere. Un riferimento per la sua azienda e per tutto il mondo vitivinicolo di Langa e italiano di cui è stato portabandiera. E quest’ultimo anno è stato per lui come un confino. Vissuto subendo le imposizioni della pandemia e le sue nefaste ricadute su mercato, vendite e ristorazione. Si guardava avanti però. Con nuovi progetti e nuove sfide. Che ora saranno affrontate dalla giovane figlia
Federica e da
Cesare. Nel nome di
Pio e nella sua, costante, memoria.