Passare da quella che era stata definita “l’Ovada revolution” alla “Ovada evolution”. Cioè fare un altro passo in avanti.
È questo un concetto che esce con forza dal banco d’assaggio organizzato a Milano, con la collaborazione dell’Ais Lombardia, dal Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg, che ha portato in rassegna la produzione delle 37 aziende associate.

Il banco di assaggio che si è tenuto a Milano alcune settimane fa
Il problema è sempre quello del pregiudizio. Quando si parla di
Dolcetto, infatti, si tende a pensare a vini più semplici, beverini, non da lunghi affinamenti. «Ma l’
Ovada è differente – afferma con decisione il presidente del
Consorzio Italo Danielli, affiancato dal vicepresidente
Daniele Oddone – E’ un vino che merita di essere negli scaffali insieme ai grandi rossi piemontesi».
La differenza è determinata non solo dai terreni, ma anche dal microclima della zona. L’area geografica di produzione dell’Ovada, infatti, ha un tasso di precipitazioni molto alte. Ma anche qui non bisogna farsi ingannare: le piogge, infatti, si concentrano in autunno e in inverno, creando un’importante riserva idrica, mentre l’estate diventa secca e asciutta. E qui interviene un altro fattore: si tratta del Marìn, che, come dice il nome, giunge proprio dal mare che, in linea d’aria, non è affatto distante dalla zona.

Roberto Porciello di Cascina Boccaccio
Per quanto riguarda i terreni, invece, ci troviamo in una situazione particolarmente complessa e variegata, con l’incontro di terreni e di ere molto diverse, passano quindi dal calcare all’argilla nel giro di breve distanza.
L’ultimo elemento è quello umano: i produttori. Ci troviamo infatti in una zona dove si sono affacciati molti giovani, che hanno ereditato le aziende storiche, portando un’idea nuova nell’Ovada. Questa è stata “l’Ovada revolution”, con i produttori che prima di tutto si sono incontrati e confrontati, e che hanno man mano preso la consapevolezza del potenziale del Dolcetto in questa zona. Si tratta, infatti, del “Paradosso dell’Ovada”: non Dolcetti di pronta beva, ma vini complessi che hanno un elevato potenziale di affinamento.

Federica Torello Rovereto di Castello di Grillano
L’evoluzione, il passo in avanti, è quello proprio di lavorare, in vigna e in cantina, affinché questo
Dolcetto possa esprimere proprio tale potenziale. La nuova generazione dei produttori sta lavorando proprio in questa direzione, uniti sulla stessa strada. I risultati iniziano a vedersi.
Durante il banco di assaggio milanese, abbiamo notato che la maggior parte di vini proposti hanno un trait d’union chiaro. Alcune aziende devono ancora affinare la mano, rendere i loro prodotti più eleganti, ma potrebbe essere considerato un “peccato di gioventù”.

Federica Carraro di Le Marne
Tra i vini che più ci hanno impressionato, sicuramente il
Celso 2018 di
Cascina Boccaccio, elegante e verticale, che ha bisogno ancora un po’ di bottiglia, ma che riesce a dare un’ottima interpretazione del
Dolcetto di Ovada. Molto interessante e piuttosto complesso l’
Ovada di
Castello di Grillano, annata 2017, che però viene affinato solo in acciaio: pulito e ricco, un tannino presente ma non fastidioso, oltre che già ben equilibrato. Caratterizzato dai terreni calcarei il
Dolcetto d’Ovada 2016 di
Le Marne, che si esprime con freschezza, sapidità e mineralità: un vino vivo e profondo, che – ne siamo sicuri – si esprimerà molto bene negli anni. Che è poi quello che si vuole dimostrare con questi vini: la possibilità di evoluzione. La strada è quella giusta, come evidenziato da questi tre esempi. Che non sono gli unici.