Il giallo senape e il rosso mattone hanno preso il posto del verde acceso nei colori delle foglie delle viti. I grappoli, che fino a qualche settimana fa, ricchi e colmi di zuccheri e nettare, riempivano i tralci ora, a vendemmia terminata, sono già mosto nelle vasche di fermentazione. In giro nessun trattore a portar cassette colme di uva in cantina. Per le strade solo auto dalle targhe straniere, guidate dai turisti richiamati in Langa dal tartufo, prezioso diamante ipogeo novembrino.
E’ passato meno di un mese dal raccolto 2018, periodo di lavoro, fatica e speranze. Quelle che si ripongono nell’uva, frutto di un’annata eccellente in vigna, ora da confermare ed esaltare in cantina. Perché se è vero che un grande vino non può che venire da una grande uva, il risultato non è certamente scontato. I presupposti per un ottimo 2018 ci sono tutti: “E’ stato un inverno con neve arrivata tardi, anche ai primi di marzo – racconta Enrico Dellapiana, enologo della Cantina Rizzi di Treiso - seguito da un primavera più secca ad aprile e piovosa a maggio, ma mai fredda. Condizioni ottimali che ci hanno proiettato verso un estate calda e un autunno a dir poco spettacolare. Ottobre ha regalato notti fresche e giornate con punte di 26, 27 gradi: escursioni termiche che esaltano il nebbiolo”.

Uno dei cru di Cantina Rizzi
Il Re delle Langhe, l’architrave dei Baroli e, da queste parti, del Barbaresco: “La partenza della vendemmia è sempre un momento emozionante. I giorni perfetti si susseguivano uno dietro l’altro – prosegue
Enrico Dellapiana – era difficile scegliere quando partire. E’ un po’ come quando guadagni in Borsa. Aspetti a vendere. Speri sempre che le azioni salgano di nuovo. Ma per portare a casa i guadagni a un certo punto occorre decidersi. E così è anche in vigna. Avevamo tutti i parametri perfetti e siamo partiti. Il raccolto è stato fatto velocemente, grazie alle buone condizioni meteo. Abbiamo subito capito di essere di fronte a una grande annata da Barbaresco”.

A tre settimane dalla vendemmia la prima fermentazione nelle vasche d’acciaio a temperatura controllata è praticamente conclusa. Dopo la svinatura parte la malolattica che richiede, nel caso del Barbaresco, un altro mese. “Le seconda fermentazione è praticamente partita per tutti i nostri vini, l’acidità, fondamentale per innescarla, era al punto giusto. Ora non resta che attendere per poi avviare l’affinamento in botte”. Qui si utilizzano solo i “legni grandi”: roveri da 50 ettolitri che custodiscono il vino e lo nutrono di aromi senza lasciare un’impronta troppo aggressiva.
“La particolarità della nostra cantina - spiega
Enrico Dellapiana - sono le vasche di cemento. Mio padre
Ernesto le aveva costruite all’inizio della sua avventura da produttore, negli anni Settanta, per la fermentazione. Ho deciso di impiegarle nell’affinamento. In questo modo il vino respira e si ossigena senza venire modificato come accade nei passaggi prolungati in legno. Questo ci permette di portare in bottiglia, per l’ultimo anno da passare in cantina, un prodotto fresco, definito con caratteristiche chiare e precise”.
Rizzi,
Pajoré,
Nervo e
Boito sono i crù prodotti. “Il primo – racconta
Jole, sorella di
Enrico - è il Barbaresco classico, fatto con le uve nebbiolo del crù più esteso, posto a sud proprio sotto la cantina.
Pajorè è un piccolo appezzamento di 3 ettari, rivolto a sud, al confine con il Comune di Barbaresco a 300 metri di altezza su terreni marnosi. Il gusto è pieno e rotondo molto equilibrato. Sono chiare le note di frutti rossi e liquirizia. Il
Nervo è più “fine”, molto elegante, fascinoso, con tratti di lampone, fragola e cannella, assai adatto all’invecchiamento”.
E infine il
Boito, la riserva, commercializzata dopo 5 anni dalla vendemmia. Abbiamo assaggiato l’ultimo nato il 2013: grande struttura e mineralità che viene dal terreno calcareo e argilloso. Potente, muscolare, con tannini definiti e nitidi. Un cavallo di razza. L’etichetta è dipinta ad acquarello da
Enrico Dellapiana che si diletta, da anni, a firmare così questi suoi eccellenti vini di Langa.