14-01-2024
La vista dal vigneto di Giuseppe Franceschini - produttore di vini nel mondo - in questo caso a Perdriel, Lujan de Cuyo, provincia di Mendoza. Si vede la Precordigliera, più bassa e più vicina e, sullo sfondo, la Cordigliera Frontal innevata
Se qualcuno fosse rimasto all’associazione Argentina = vini rossi = Malbec, aggiorni le sue informazioni urgentemente. In Argentina, si fanno grandi vini bianchi. Chi saltasse direttamente ai rossi, sfogliando una lista di vini argentini, si perderebbe l’altra metà del cielo. L’immensa varietà di paesaggi, climi, suoli che presenta il Paese, si ritrova in bianchi notevoli, da bere giovani o da lasciare invecchiare. Una novità, questa, che si inserisce nel cambio di paradigma avviato 15 anni fa e che negli ultimi cinque ha subito un’accelerazione portentosa. L’Argentina sta facendo i migliori vini della sua storia.
Le escursioni termiche assurde della Patagonia, le alture vertiginose del nord-ovest argentino dove si piantano vigneti a partire dai 2.500 metri di altitudine, la nascita di nuovi progetti vinicoli lungo le coste del Paese, oltre a quelli sempre più vicini alla Cordigliera: la geografia vinicola qui non smette di espandersi e offre un ventaglio espressivo vastissimo (all’interno dei confini dell’Argentina si trovano tutti gli indici Winkler, ndr.). Queste condizioni, unite a uno sguardo innovativo sulla viticultura e sulla vinificazione, e a una innegabile forza propulsiva - a esplorare, a superare limiti, a fare sempre meglio, a resistere e adattarsi a ogni condizione -, che risiede nel sangue e nel carattere degli argentini dai tempi delle grandi migrazioni, stanno generando risultati inediti.
Tra questi, sicuramente degno di nota, è il fatto che questa nazione si stia scoprendo una terra in cui nascono, appunto, grandi vini bianchi. Pensiamo, per esempio, all’eleganza e alla tensione del Chacra Chardonnay prodotto da Piero Incisa della Rocchetta assieme a Jean-Marc Roulot in Patagonia, o al Chardonnay Fosil di Zuccardi, nella zona più fredda della Valle di Uco, a San Pablo, in provincia di Mendoza; o alla verticalità che mostra il il Tropico Sur Blanco, un Sauvignon Blanc che Matias Michelini realizza per Bodega el Bayeh nel nord-ovest, in provincia di Jujuy, da un vigneto attraversato dal tropico del Capricorno, a 2.700 metri di altitudine, o a quello elettrico e filoso, Agua de Roca, che lo stesso Matias coltiva nella sua Tupungato, in provincia di Mendoza.
C’è un altro protagonista di questa rivoluzione ed è un italiano: si chiama Giuseppe Franceschini, produce in Friuli (nel Collio), in Slovenia (a Brda e Vipava Valley), assieme al socio Dario Maurigh e in Argentina. Le bottiglie che escono dalla sua cantina a Mendoza (Perdriel), La Giostra del Vino, hanno la Cordigliera delle Ande sullo sfondo e racchiudono tra i migliori bianchi che si producono oggi in questo Stato del Sud America. Siamo andati a conoscerlo, ad assaggiare i suoi vini e a vedere come si è innestato nel panorama mendozino, arrivando con un tempismo perfetto per partecipare (e contribuire!) al grande momento che sta vivendo il settore vinicolo locale.
Il logo della cantina di Franceschini che si divide tra tre Paesi e due emisferi: Italia, Slovenia e Argentina. Giuseppe non smette un attimo di girare
Giuseppe Franceschini, padovano, classe 1977, dice di aver deciso di investire in Argentina dopo aver visto e sentito il colore e il profumo dei mosti nelle cantine in cui era capitato per lavorare in vendemmia, durante la sua formazione. Dopo un va' e vieni durato alcuni anni, sceglie definitivamente di iniziare un progetto tutto suo a Mendoza nel 2007. Sconfinare dal Collio alla Slovenia è facile da comprendere, ma fino a Mendoza …? Cosa lo ha spinto a scegliere di fare vino così lontano da casa?
La vista al tramonto dalla cantina di Giuseppe
«Ci sono terroir che mi piacciono molto; lavoro in Slovenia, Spagna, Friuli - tutto molto interessante - ma un posto dove non si sbaglia un colpo come qua, non l’ho ancora trovato - chiosa Franceschini -. Il vino che fai, ti viene bene. La base qui è altissima. Poi, come in qualsiasi altra parte del mondo, per scalare gli ultimi gradini, l’energia che devi mettere è moltissima, lo sforzo molto più grande. Ma la qualità media è molto alta. Qualità eccezionale che trovi nell’uva, ma anche nell’olio d’oliva e nella frutta».
Alcuni tra i vini che Franceschini produce a Mendoza. La Giostra del Vino in Argentina conta cinque linee di vino per il momento: Sparring, Puercovin Puercospin, Bacán, Saltimbanco, Italian Job
Apre delle bottiglie da assaggiare - alle sue spalle, appesa sulla porta, la bandiera della Serenissima - e intanto ci racconta di come avesse capito sin da subito che in questa terra si potevano fare grandi bianchi. «Siamo in una zona di montagna, con un clima continentale; di giorno c’è tanta luce, di notte fa freddo: le acidità ci sono. Per quanto riguarda i terreni: quando trovi le argille, danno sempre un po’ di volume». Vini, quindi, che riempiono la bocca, come in Borgogna: «In Argentina si può fare grassezza e verticalità assieme» un punto che per Franceschini è molto interessante: «Qui ci sono le condizioni che mi permettono di ottenere struttura, verticalità e volume, aiutato da un clima che mi dà sole, aria secca, notti fresche: le premesse sono perfette».
Italian Job è una delle linee di vino che produce Franceschini in Argentina. A destra un Malbec con uve che vengono dai piedi della Cordigliera, ad Altamira e a sinistra, tra i migliori spumanti assaggiati al momento in Argentina. Questo metodo tradizionale di uve Chardonnay di El Peral, Tupungato, zona particolarmente fresca, affina 88 mesi sui lieviti e va diretto al podio della nostra classifica dei migliori metodo classico prodotti nel Paese
Giuseppe d'altronde ama bianchi, e si nota dagli assaggi che ci concede. «Ho studiato in Friuli, quindi per me il vino bianco è sempre stato, e continua a essere un grande piacere. Spesso offre anche maggiore soddisfazione di un vino rosso. Nei bianchi si gioca con delle acidità più basse, hai dei mosti molto più limpidi e quindi le fermentazioni sono più pulite. La stessa complessità, per un rosso, richiederebbe del legno necessariamente».
Il passaggio in legno c’è anche nei bianchi che produce con uve coltivate nella Valle de Uco: mai invasivo, integrato perfettamente, per risultare in vini - no battonage, no malolattica - che esprimono verticalità ed eleganza, e un’acidità che ne promette un’ottima evoluzione in bottiglia.
La parola bacán è presa in prestito dal lunfardo (il dialetto di Buenos Aires con numerosi termini presi in prestito dall’italiano degli immigrati) e dal lessico del tango: un bacán è un uomo amante della buona vita, delle feste e del buon vino, un uomo elegante e raffinato, galante con le donne. Si tratta di un Sauvignon Blanc di Vista Flores (Valle de Uco) che dimostra con questa annata 2013 tutta la capacità dei bianchi di Franceschini di affrontare un certo invecchiamento in bottiglia
Potenzialità di invecchiamento confermata da un’annata 2013 del Sauvignon Blanc Bacán: superba e con ancora un buon cammino davanti a sé. «Quando vado in Europa con questi vini (bianchi - ndr) , non ci credono che sono prodotti qui» ci racconta.
Quando Franceschini arriva in Argentina la prima volta, nel 2002, la viticultura non aveva ancora superato la fase in cui era previsto un eccesso di maturazione: «L’uva non era mai pronta abbastanza per cui la lasciavano sulla pianta un mese in più del dovuto; di conseguenza, i vini erano molto alcolici e venivano affinati con molto legno, con un eccesso di colore scuro, ossidativo. Oggi, invece, hanno l’unghia bella fucsia: è cambiato il paradigma».
Scrollatisi di dosso l’eccesso di maturazione, di estrazione, di legno, i vini odierni stanno ricevendo i migliori punteggi della storia enoica del Paese, nel nome dell’espressione dei paesaggi eterogenei che lo compongono e di un nuovo sguardo sugli stessi da parte di chi li interpreta.
La volontà di fare un grande bianco, optando per il Sauvignon Blanc invece che lo Chardonnay - con il fine di interpretare un luogo - si esprime in questo magnifico bianco prodotto con uve di El Peral, una delle zone più fresche del distretto di Tupungato, Valle de Uco
Le uve che Giuseppe utilizza per produrre i suoi vini provengono da zone distinte: diversi distretti della Valle de Uco (Vista Flores, El Peral, Gualtallary e Altamira, ai piedi della Cordigliera), da Agrelo e dal vigneto centenario che ha acquistato tre anni fa a Perdriel, Lujan de Cuyo, 25 km a sud di Mendoza.
Un “candelabro” del vigneto centenario di Franceschini a Perdriel
Si tratta di un vigneto piantato nel 1920 da immigrati italiani (Stocco era il cognome dei proprietari originari), in una delle zone tradizionali della viticultura argentina. Nelle giornate terse si ammira in lontananza una maestosa Cordigliera. Qui sono nate le grandi cantine storiche e si sono prodotti i grandi, classici Malbec che hanno fatto conoscere l’Argentina vinicola nel mondo negli anni '90. Ma il clima di Perdriel, non è certo quello della Valle de Uco: attualmente è un luogo con temperature elevate e una minore escursione termica. Grazie, però a una conduzione biologica e a un’impressionante copertura verde, Giuseppe riesce ad abbassare la temperatura nel vigneto, domando il clima e ottenendo un'acidità e una freschezza inedite per la zona.
Il vigneto di Franceschini a Perdriel si trova in una zona calda. Grazie a un uso sapiente del coltivo di copertura, riesce ad abbassare la temperatura nel vigneto e a ottenere acidità e freschezza inedite, assolutamente insolite per questa zona
«La conduzione è più che semplicemente biologica: pratichiamo un’agricoltura rigenerativa», continua Franceschini. «L’anno scorso non abbiamo applicato alcun trattamento, ma quando è necessario intervenire, usiamo rame e zolfo». Punto importante nell’agricoltura rigenerativa è l’eliminazione dell’aratro, il che permette di mantenere la spugnosità garantita dalle stesse piante di copertura, perlopiù flora autoctona integrata: «Ne abbiamo introdotte nove e ne abbiamo contate più di cinquanta native.
Franceschini tra i filari del suo vigneto a Perdriel
Per l’assorbimento dell’acqua e la respirazione delle radici del vigneto stiamo sfruttando la porosità generata dalle piante. Non abbiamo, così, l’effetto "compattazione" che produce il trattore. Durante l’anno, fino a quando ci sono piante in fase vegetativa, il cavallo non entra nel vigneto: lo farà a fine ciclo, in inverno, quando potiamo, aiutandoci nella distribuzione dei semi. Grazie alla copertura verde, la tenuta del suolo è maggiore e, in altre parole, favorendo il processo naturale, la vita rigenera la vita: lo stesso materiale che inverno si secca e cade, si deposita e fa sì che il sole, fortissimo in queste zone, non bruci la superficie della terra e del suolo».
Per quanto riguarda la scelta del nome, Giostra del Vino fa riferimento al carattere itinerante e transnazionale del progetto di Franceschini e anche all’aspetto ludico della vita e del fare vino. La filosofia alla base di questo progetto si fonda “sull’equilibrio armonico tra lo sforzo e la passione per affrontare le sfide e le difficoltà, uniti alla celebrazione dei risultati raggiunti”. Da segnarsi una visita il prima possibile in Collio e in Vipavska dolina per andare a vedere cosa combina da quelle parti il "domatore di vigneti".
I vini della Giostra del Vino che Giuseppe produce in Argentina sono importati in Italia da La Via dell’Abbondanza.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
di
nata a Milano da madre altoatesina e padre croato cresciuto a Trieste. Ha scritto (tra gli altri per Diario e Agrisole) e tradotto (tra le altre cose: La scienza in cucina di Pellegrino Artusi) per tre anni dall’Argentina dove è tornata da poco, dopo aver vissuto tra Cile, Guatemala e Sicilia. Da Buenos Aires collabora con Identità Golose e 7Canibales
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