31-10-2023

Rana pescatrice tra filetto alla Wellington e cima alla genovese: l'idea di Simone Perata

Lo chef de A Spurcacciun-a di Savona racconta il gesto tecnico dietro la sua pescatrice che incontra prima il piatto ligure (in versione di Ponente, più "verde"), poi la crosta ad avvolgere il tutto. Accompagnando con salsa d’ostrica

La Cima di rana pescatrice alla Wellington, crasi

La Cima di rana pescatrice alla Wellington, crasi tra due ricette (cima alla genovese e filetto alla Wellington) ma applicata al mondo del mare, oltre al pesce c'è una salsa alle ostriche: è un'idea dello chef Simone Perata al A Spurcacciun-a di Savona. Tutte le foto sono di Paolo Picciotto

Sempre più spesso capita di vedere giovani cuochi inaugurare progetti sfidanti e ambiziosi. Operazioni votate alla soddisfazione di un impulso creativo genuino ma a volte ancora non ben controllato. È altresì vero che per quanti cerchino di portare novità al discorso gastronomico, ve ne siano altrettanti che scelgono di tornare alle basi, all’abc della cucina classica e quindi contemporanea. Non dimentichiamoci che per essere cuoco, prima o poi, la cucina ti tocca amarla: amarla nel senso più alto del termine ma anche nella praticità dei suoi gesti e nella sua concretezza. «Quando mi confronto con alcuni colleghi vedo che tanti giovani – sì, anche più giovani di me -  sono attratti dall’uso di macchinari di ultima generazione quali rotavapor, omogenizzatori, l’azoto. Sicuramente la tecnologia ci è di grande aiuto, ma personalmente sono affezionato all’idea di saper fare le cose, toccarle, viverle, provarle anche sbagliando e dovendo passare per più tentativi». Sono le parole di Simone Perata, 35 anni compiuti e oggi al comando della cucina di A Spurcacciun-a a Savona, il ristorante fine dining all’interno del Mare Hotel.

Simone Perata

Simone Perata

Insomma, dice Perata: quello che in gergo chiamiamo gesto tecnico - quindi l’abilità di saper applicare una lavorazione, una cottura, la conoscenza profonda di un passaggio in cucina - non deve essere perso e anzi, laddove possibile, bisogna ritrovare piacere nella sua esecuzione. «Personalmente amo la Lepre alla royale. Mi piace mangiarla, è un piatto che davvero adoro... ma ancora di più mi piace prepararlo. È laborioso, ma dà grande soddisfazione. Anni fa proponevo anche il Coniglio alla royale, quello grigio di Carmagnola per essere precisi. Quando sono tornato al A Spurcacciun-a ho provato a pensare a una ricetta simile applicata alla rana pescatrice, usando cioè la farcitura tradizionale a base di foie gras e la sua salsa densa e corposa. Il piatto forse era più riuscito agli occhi dei clienti che ai miei, perché non mi aveva mai davvero convinto».

La sala de A Spurcacciun-a

La sala de A Spurcacciun-a

Prendendo il suo dna, andando a spulciare nelle ricette del Ponente ligure e pensando alla ricchezza vegetale che tutta la regione è in grado di offrire durante l’anno, a Simone adesso è venuto in mente di riprendere quei concetti e fonderli con quelli della cima alla genovese.

In pratica: anziché usare una tasca di vitello e farcirla, Perata pone al centro la rana pescatrice avvolgendola con un involucro vegetale costituito appunto dal ripieno della cima (abbiamo parlato di "cima alla genovese". In realtà c’è una differenza sostanziale tra la cima alla genovese che in genere si conosce e quella del Ponente ligure: nel primo caso la ricetta prevede carne e uova nel ripieno e un colore complessivamente più rosato, nel secondo caso invece è verde acceso perché a base di verdure. Qui lo chef si rifà a questa seconda versione).

Cima di rana pescatrice alla Wellington

Cima di rana pescatrice alla Wellington

Giunto a questo punto, Perata ha ideato un ulteriore passaggio, quasi naturale: avvolgere il tutto in una crosta, come fosse un filetto alla Wellington. Sfogliato a mano, con un pizzico di vermouth bianco al suo interno, racchiude cima e pescatrice in un involucro che produrrà sul pesce un tipo di cottura simile a quella al vapore. La regola vuole che il filetto del Wellington venga rosolato prima di essere "impacchettato", ma in questo caso sarebbe rischioso perché la pescatrice resterebbe poi asciutta e gommosa. «Ci ho messo un po’ a trovare il punto di cottura perfetto e infatti, prima della cottura in forno, faccio fare al pesce un breve passaggio in sottovuoto. Questo mi aiuta a regolare la seconda parte della cottura senza eccedere con il forno, cosa che andrebbe a svantaggio della sfoglia, e preservare la giusta dose di succhi e umidità all’interno. La carne resta incredibilmente morbida e leggera».

Il mio cappon magro

Il mio cappon magro

La finitura perfetta del piatto, fino a questo punto molto delicato, arriva con la salsa. Ma quale? «Volevo una salsa iodata, saporita e che potesse impreziosire la ricetta con eleganza, senza stravolgimenti. Ho tenuto da parte l’acqua delle ostriche, l’ho messa in riduzione con vino bianco, aglio, scalogno, panna e infine vi ho aggiunto le ostriche stesse. Frullando il tutto ho ottenuto una salsa densa, corposa, grassa – visto che il piatto alla base è l’opposto – e particolarmente sapida».

Questa preparazione condensa la filosofia della cucina di Simone Perata. Un racconto del territorio che parte dai suoi prodotti, di mare e di terra, con un accento sulle eccellenze vegetali, per raccontare "la sua Liguria (altro esempio calzante, l'originale versione del cappon magro) per arrivare a piatti tecnici, frutto di un background ricco di grandi maestri, influenze orientali, scuola francese ed estro spagnolo.


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Chiara Buzzi

piemontese di ferro, classe 1986, laurea in Economia per i beni culturali, dopo anni di militanza nei locali milanesi, è co-titolare insieme a Edoardo Nono del Rita & Cocktails - storico American bar di MIlano e del Rita’s Tiki Room, spin-off caraibico polinesiano aperto nel 2019. Viaggia per passione, lavora per passione, mangia con passione

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