"Va tutte a rose e fiori sui Navigli?", chiedemmo noi. E Maida: «Ma no. Troppi locali puntano sulla poca qualità. Approfittano dell’ignoranza delle persone, vedo pane orribile, insalate immangiabili...». Però... «Però qui una volta era ben peggio: una sorta di Bronx. In via Casali c’era una latteria dove si entrava, si andava nel retro e si acquistavano le autoradio e le biciclette rubate la notte precedente. Spesso riconoscevi la tua, e la riacquistavi». Per auto e moto, invece, conveniva prendere appuntamento. «Ora invece Milano è un caleidoscopio di emozioni. Le contaminazioni ci hanno fatto crescere, in città funziona anche l’offerta culturale, si è sviluppato il turismo. E attenzione: non si è persa umanità, perché alcune zone vivono ancora la socialità che si può trovare in un paese». Era il giugno 2017, quasi cinque anni fa. Si era in Ripa di Porta Ticinese 55, a sorseggiare qualcosa (champagne, a occhio e croce) e spizzicare prima della cena, un po' in strada, un po' nel locale.
Pare passato un secolo: quel giorno l'atmosfera era allegra. Niente mascherine. Niente Green Pass. Niente combattimenti in Ucraina. Si era distesi. C'era con noi lo chef, Vittorio Fusari, che ora non c'è più, se n'è andato poco più di due anni fa. E c'era il Pont de Ferr: che non ci sarà più, l'annuncio della definitiva chiusura del locale è arrivato poche ore fa. Una bella storia che si interrompe dopo 35 anni.

La Mecuri nella sua cantinetta personale, in un nostro scatto del 2018
Da un po' di tempo il locale viveva le difficoltà del periodo, perché in difficoltà era per prima la patronne
Maida Mercuri: donna potente, carismatica, piena di energia e sorrisi, ma pur sempre un essere umano con le sue stanchezze, che sentiva la fatica. Diceva: «Negli ultimi due anni il popolo dei Navigli è cambiato. Il quartiere nei week end è diventato appannaggio di ragazzi alla ricerca dello sballo. E questo l’ha reso meno frequentato e appetibile per una clientela come la nostra (e di poche altre insegne in zona), che cerca grandi bottiglie e piatti studiati con ingredienti di qualità». Ci confidava una comune amica, tempo fa: «Sono preoccupata per
Maida. A furia di arrovellarsi sui problemi del
Pont, non dorme più la notte. Io gliel'ho detto: lascia stare. Non perderci il sonno e la serenità». Consiglio saggio: ma
Maida è sempre stato un emblema di caparbietà, «questa città è così, ti mette alla prova. Ti stimola in modo meraviglioso». Il
Pont era insieme il suo bambino - dal quale non voleva separarsi - e la sua sfida. Anzi, una sequela continua di nuove sfide, ogni anno.

Il Pont de Ferr quando ancora non c'era il Pont de Ferr, "the way we were... Il Ponte prima del Ponte, all’epoca della mala" (foto Al Pont de Ferr)
Perché di vite ne ha avute parecchie, il
Pont, da quando fu inaugurato il 14 dicembre 1986 là dove già esisteva un'osteria, a Milano c’erano circa 2 gradi e la più classica delle nebbie accompagnata dalla consueta pioggerella, Sant’Ambrogio era appena scappato via e la città era già pronta al Natale. Tanti chef diversi si sono succeduti in cucina, spesso caratterizzati dalla loro poliedricità, a
Maida piaceva così sennò non si divertiva: il primo, fino al 2000, fu il marocchino
Hamed Sidi Ben Hassan (
Ravioli ripieni di coniglio e
Brandade di baccalà). Poi l'uruguaiano
Juan Lema Pena (ora alla
Trattoria Mirta), seguito dal connazionale
Matias Perdomo (artefice della stella Michelin nel 2011 e adesso alla guida di
Contraste. Con lui erano anche
Simon Press, argentino, a sua volta al
Contraste, e
Maurizio Zillo, brasiliano, ormai approdato al
Gagini di Palermo dopo un'avventura a Parigi). Quindi il compianto
Vittorio Fusari. Poi
Ivan Milani. Da ultimo
Luca Natalini, rimpiazzato in questi mesi finali da
Dushan Warnakulasuriya dallo Sri Lanka.
United colors of Maida Mercuri, la "Nostra Signora dei Navigli".

Maida Mercuri davanti al locale. Foto Umberto Scabin
L’idea del
Pont (nome ufficiale
Al Pont de Ferr, a richiamare il ponticello sul Naviglio Grande quasi dirimpetto) era ispirata ma semplice: rendere onore alla tradizione delle osterie per rinnovarne le caratteristiche fondanti. Allora, il Naviglio non era l’odierno luogo di culto della movida milanese ma - lo abbiamo visto all'inizio - un quartiere popolare e, persino, quasi periferico.
Maida e il suo socio iniziale,
Licio Mannucci, con la loro apertura coraggiosa, posarono inconsapevolmente una pietra miliare su quella che sarebbe poi stata la strada della rinascita dell’intero quartiere. Lei, giovanissima, aveva appena deciso di dire no a
Sirio Maccioni, che la voleva responsabile sommelier al ristorante-culto
Le Cirque di New York, pur di seguire il suo sogno: servire i migliori vini italiani e francesi al bicchiere, con il supporto di pochi piatti, all'inizio iper-tradizionali:
Stufatina di asinella e
Pappardelle alla maremmana, pancette della Val Tidone e tome stagionate accompagnavano sorsi memorabili di Sassicaia e Tignanello, Barolo e Amarone. Negli anni, si sono aggiunti gli Champagne, scovati tra i
recoltant più segreti e sfiziosi, e i distillati mirabolanti, che hanno fatto del
Pont il luogo d'elezione dei collezionisti di whisky. Ma soprattutto, è cresciuta la cucina. Il punto più alto con
Perdomo.
Quel tempo è finito. I Navigli sono diventati un'altra cosa, l'offerta omologata. Maida ha resistito finora, ultimo baluardo della ristorazione storica e d'autore del quartiere. Per questo, e per la voglia di sfogliare da donna libera la nuova pagina della sua vita, oggi il Pont chiude. A noi resta il ricordo personale di quando ci fece accedere alla sua cantina privata, proprio sotto la sala, ad ammirare bottiglie uniche. E poi le tante serate spensierate: specie in agosto, quando il Pont era l'unico locale di qualità a rimanere aperto in città, ad accogliere noi girovaghi golosi in pit stop ambrosiano, tra un viaggio e l'altro.
Ritroveremo la classe di Maida altrove, sicuro, per una nuova avventura di vita e di bottiglie.