16-02-2018
Dietro Al Pont de Ferr, nel cortile interno, c'è una seconda cucina con molte apparecchiature, dove vengono effettuate varie operazioni - la disidratazione, ad esempio. Il locale era una vecchia officina della Porsche, ancora sono appese all'esterno le insegne della casa automobilistica tedesca e l'interno è piastrellato coi suoi colori, giallo-oro, rosso e nero, ripresi dalla bandiera della Germania. Lì Tanio Liotta ha fotografato Ivan Milani
La nostra cena al Pont de Ferr, nelle foto da Tanio Liotta. S'inizia con Messico e Nuvole: zucchero soffiato al peperoncino, salsa guacamole
Pan brioche tostato con acciuga e polvere di bagnet verd
Ciliegia di piccione
Midollo di vacca vecchia, polpa di riccio
Triglia in carpione, cavolo nano cinese
Tempura di gamberi e cervella, brodo dashi di gambo di violino della Val Chiavenna
Animella, alga dulse, salsa pil-pil
Terra fertile: purea di patata, malto, radici scottate. Molto buono. Il puré è fatto come insegna Robuchon: 50%-50%, ossia per ogni chilo di patate, 500 g di burro e altrettanti di latte.
Deliziose Lumache brasate, crema di topinambur, scalogno croccante
Un classicissimo di Milani: il Tempo delle uova d'oro (uovo, porcini, pistacchi, caviale, tartufo, sfoglia d'oro). Golosissimo
Un perfetto Vitello tonnato con salsa antica (tanto tonno, poco uovo)
Sottacqua (risotto all'acqua di ostrica, ombrina, wasabi)
Cervo: tartare, filetto, costoletta
Mettiamola così: è come se Maida Mercuri, grande e raffinata ostessa, avesse capito – non me ne voglia il nuovo chef, il bravo Ivan Milani – che in fondo è lei l’anima profonda de Al Pont de Ferr. O ancor per meglio dire, questa risiede nell’atmosfera che la Mercuri ha saputo creare qui da anni: si sa che s’arriva in un luogo del buon gusto, dove si mangia comunque bene, con l’uno o con l’altro in cucina, a vari livelli, ossia prima con l’estro di Perdomo, poi con l’inatteso nuovo brio che ha dimostrato Fusari nei suoi due anni abbondanti, ora col cocktail tra tradizione piemontese e spunti cosmopoliti che è il parziale punto d’approdo della nuova fase, con Milani appunto.
"The way we were... Il Ponte prima del Ponte, all’epoca della mala (foto Al Pont de Ferr)
Ovverosia, là dove predomina il brand, lo chef s’adegua (Aimo, a ben pensarci, è potenzialmente un brand di suo); altrimenti, è la toque a prevalere, e il cambio della guardia diventa un evento traumatico che mette a repentaglio la sopravvivenza dell’insegna. Ecco: anche Maida Mercuri è a sua volta un brand, da lei compri un pacchetto-serata che prevede la location particolare, Vecchia Milano con vista sui Navigli; una cantina da urlo, da cui l’ostessa estrae chicche notevolissime; e quindi anche la cucina, della quale Maida si fa in qualche modo garante.
Maida Mecuri nella sua cantinetta personale
Peraltro, al di là di tutto quanto abbiamo detto, aver chiamato Milani, reduce da un’esperienza torinese conclusasi male, ci sembra sia stata una brillante trovata, per più motivi. Per lo spirito di rivalsa che verosimilmente alberga nell’anima di Milani. Perché ha l’età giusta: classe 1971, né ragazzino di belle speranze né veterano di tante battaglie, insomma una sorta di terza via, intermedia, tra Perdomo e Fusari. Perché è un professionista da sempre stimato, ma non ancora consacrato, e la Madonnina è il posto giusto per il salto definitivo. Perché Milano si merita di poter mangiare un delizioso vitello tonnato: in una città dove sushi e dim sum invadono fin troppo la scena gastronomica, ritagliare spazio per la migliore cucina regionale italiana – e Milani innerva il suo stile con ottime dosi di piemontesità – pensiamo sia cosa buona e giusta. Infine, perché anche il trend generale pare procedere in tal senso: avanza una riscoperta della classicità tradizionale d’Italia (e cosa c’è di più classico, del buon vecchio Piemonte?) ma in forme e concetti nuovi, contemporanei e dunque anche contaminati.
Ivan Milani nella cucina "ufficiale" del Pont
Però… «Però ho già notato alcune differenze di rilievo rispetto a Torino. Almeno tre. Prima: qui il cliente si affida molto di più, dice allo chef: “Stupiscimi!”. Seconda: la clientela di un ristorante di questo livello risulta assai trasversale (è come se la galassia gourmet, qui a Milano, si sia via via allargata fino a comprendere settori più vasti e dunque sfaccettati, ndr), il che comporta peraltro qualche problema, non sai mai quanto alta il commensale voglia la cotoletta, quanto desideri siano cotti pasta e riso, e così via». E la terza? «Beh, qui lasciano la mancia», sorride sornione. Che poi è questo il segreto de Al Pont de Ferr: gira gira, finisci la serata allegro.
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a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera
Ivan Milani, torinese, classe 1971, sulla soglia di Villa Monty Banks
Un articolo del 1987 scritto da Gianni Mura per Repubblica racconta il neonato Pont de Ferr. Il locale chiude i battenti oggi, dopo essere entrato nel suo 35esimo anno di vita, era stato inaugurato il 14 dicembre 1986
Lo chef Ivan Milani, secondo da destra, con la squadra di Bandito 211, che è spiaggia, bar e ristorante a Cervia. Foto Alessandra Tinozzi