22-03-2021
Francesco e Vincenzo Montaruli durante la premiazione delle Giovani Stelle della Guida 2021 di Identità Golose. Il loro delivery è stato premiato insieme a quello di Erba Brusca e di Retrobottega
Provate a sillabare: fo-ra-ging. Ed ecco che l’espressione di quiete serafica, il sorriso spontaneamente amico, lo spirito di fratellanza cosmica sulla faccia dei fratelli Montaruli si frantuma in un ghigno di disapprovazione. Perché pure i bros più wild di Puglia, quelli di Mezza Pagnotta, nel loro piccolo, si incazzano. Per capire perché e per come bisogna andare a pagina 308 di Ostinati, una lettura viscerale delle osterie più resilienti di Italia edito da Slow food, un volumone grosso e anche molto fotografico che sfugge ai tecnicismi, al marketing, alle molte banalità che pesano sul cuore dell’editoria gastronomica.
L’avventurosa traversata nei presìdi (non quelli ad esclusivo appannaggio della Chiocciolina, attenzione), lunga tutta la penisola italiana, fa tappa anche a Ruvo di Puglia scandagliando i segreti di questo indirizzo e finendo (vivaddio) col sottrarlo a ogni classificazione. È Francesca Mastrovito, nel caso di specie, a spiegare perché il vezzo modaiolo della raccolta campestre, per Francesco e Vincenzo Montaruli, è altra cosa. Leggiamo: «Sin da bambini correvano fra gli oliveti paterni facendo attenzione, come in un campo minato, a non calpestare quella cicoria o quel cardo spinoso. Crescendo, la litania costante di avvertimenti e allerte è mutata in una prospettiva consapevole che inquadra il posto dell’uomo sulla terra non da padrone, bensì da ospite». Un rovesciamento di prospettive che spiana la strada alla comprensione. E chi vuol capire, capisce.
Da sinistra Francesco Montaruli, Valeria Gadaleta (moglie di Francesco, unica digital addicted della famiglia, si occupa dei social) e Vincenzo Montaruli
La terra, è la loro risposta. E la gratitudine che alla terra li avvince, il sentimento che ne muove i passi tutte le albe di tutti i giorni di tutto l’anno, all’esplorazione delle Murge dove si approvvigionano di tutto – o quasi – quel che serve ad apparecchiare la loro cucina etno-botanica che recupera memoria e gesti della civiltà contadina senza mai inginocchiarsi alla tradizione. Nell’elenco delle parole proibite c’è anche vegetariana. Piuttosto, vegetale, prevalentemente vegetale, ma per necessità, non per vezzo, ancora una volta. Fine delle premesse. E tanti saluti ai luoghi comuni.
Ciabatte con cime di rapa e peperone crusco, di ispirazione lucana, straccetti di burrata e conserva di pomodori
Val la pena di fare sosta su questo nome. Nato nel 2013 il localino da 18 posti a sedere a menu variabile con frequenza quotidiana – quando la spesa la fai con quello che cresce sotto il cielo, così è – aveva l’ambizione di mettere la Puglia, e la Basilicata, in un panino. Piano piano le cose sono cambiate. E la scoperta del mondo vegetale, svelatasi a loro stessi, li ha spinti a miracol mostrare. «La bellezza di certi vegetali andava esibita, ci siamo detti, ed è stato questo a determinare l’evoluzione dal panino al piatto». Piatti, per inciso, bellissimi. Sapidi di consistenze terragne eppure aerei, per le volute di un cardo. Per i colori brillanti di un asparago, un peperone crusco o un lampascione.
Luca Lacalamita
Luca quello di LuLa, la panetteria-pasticceria stellare di Trani, messa dimora dall’ex golden boy dell’altissima ristorazione, otto anni di Enoteca Pinchiorri dopo l’apprendistato a elBulli e cose così. «È una sinergia magica. Con lui collaboravamo da tempo, sul discorso delle erbe, che lui ha accolto nella sua produzione. L’acino pugliese, per esempio, il tè dei pastori, la nostra menta, siamo andati a raccoglierla insieme. Lui utilizza l’acino per le creme nella linea dei dessert, dove vuole dare un’impronta più murgiana, più di terra. Le erbe gliele procuriamo noi. Lui ci fa le ciabatte, e spesso si tratta semplicemente di uno scambio, di baratto».
Perché queste "mezze pagnotte" erano e restano uno street food denso di ambizioni. «Il menu resta vincolato a quello di cui riusciamo ad approvvigionarci quotidianamente, quindi se ieri c’era la cotoletta di funghi grazie alla sporta di cardoncelli fatta dal nostro patriarca Ciccillo, domani troverai in carta il panino con gli asparagi, ma l’equilibrio è quello che determiniamo noi in cucina, non puoi chiedermi di farcirlo con quello che ti viene in mente. Devi fidarti. È la regola».
Ciccillo, il raccoglitore di erbe spontanee e mentore dei fratelli Montaruli con l'atlante delle osterie resilienti edito da Slow food
Tipo il Lam’pashà, «Perché hai visto mai un lampascione in un piatto? Se ne sta seduto e regale come un pascià. Nella ciabatta li facciamo fritti (alla giudia, tipo) avvolti in veli di scamorza affumicata naturalmente con legno di roverella, salsa di sponzali bruciati e glassa di melassa di carrube fatte dalle carrube fermentate del nostro giardino. Questo è quello che ha più successo. Poi c’è quello con cime di rapa e peperone crusco, di ispirazione lucana, straccetti di burrata e conserva di pomodori». Ogni elemento sta al posto suo carico di sapore e di senso. E le varianti sono ammesse solo per necessità allergeniche. Per il resto niente capricci. Non se ne parla.
Lam’pashà
Una postilla, in conclusione. Di tempo d’avanzo, il Covid ne ha lasciato anche ai ragazzi di Mezza Pagnotta. E di vegetali, che non finiscono in freezer perché il freezer non lo vogliono e non ce l’hanno. «Ci siamo dedicati alla ricerca, ne abbiamo fatta davvero. Con le mura chiuse abbiamo iniziato a fermentare qualsiasi cosa (ridono, ndr). Laddove prima c’erano gli umani adesso ci sono i batteri. Quando abbiamo fatto la melassa di carrube, facendole fermentare per dieci giorni, entravi nel locale e sembrava di stare in un suk. Abbiamo aperto spiragli inesplorati, ma senza fare troppo gli scienziati. La fermentazione è sempre stata una tecnica di conservazione spontanea nella civiltà contadina, una necessità. Non devo andare per forza a leggermi il libro di Renè Redzepi, con tutto il rispetto».
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa
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