6-9 novembre, da mercoledì a sabato. All’Hub di via Romagnosi scatta il turno di Ernesto Iaccarino, chef del ristorante Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui due Golfi, dove i due golfi sono quelli di Napoli e Salerno, entrambi nitidi e scenografici dalle alture del paese nel cuore della Costiera Amalfitana.
Don Alfonso è il primo ristorante del Sud Italia ad avere ottenuto le 3 stelle Michelin, nel quadriennio 1997-2001, e da allora sono sempre due. Un affare di famiglia, che ha avuto inizio ben più di un secolo fa e che oggi è esteso anche una serie impressionante di consulenze nel mondo. Quelle in piedi attualmente sono: Hotel Grand Lisboa a Macao (Cina), hotel Tramontano a Sorrento (Napoli), Helena Bay Lodge a Auckland (Nuova Zelanda), Don Alfonso 1890 a Toronto, San Barbato a Lavello (Basilicata). «E alle porte», anticipa lo chef Ernesto Iaccarino «c’è un’apertura a St Louis, nel Missouri, all’interno del Ritz Carlton».
Con queste premesse, è normale che il menu pensato per la platea milanese guardi in due direzioni: «La Costiera nella scelta degli ingredienti», anticipa il cuoco, «e il mondo nelle tecniche che ho appreso a spasso per i continenti». Scendiamo nel dettaglio.

Ricciola affumicata (lucianopignataro.it)
Il menu quadripartito aprirà con una
Ricciola affumicata, farina di scorzette di cedrangolo, frullato di fave e semi di finocchietto con maionese di pompelmo. «Abbiamo pensato a una ricciola, che ci danno i nostri pescatori amatoriali. Così, se ne trovano poche in giro. Dopo averla abbattuta, la mariniamo, affumichiamo e fermiamo il fumo mettendola per pochi secondi in un sacchetto sottovuoto, così da formare una micro-crosticina esterna, alla maniera di uno
shabu shabu giapponese. Un crudo-non-crudo, insomma». Il condimento è fresco, aspro, fruttato. Cos’è il cedrangolo? «Una sorta di cedro, con la forma più di una pera. È uno dei primi agrumi che arrivarono dall’Asia. Disidratiamo la buccia, ottenendo una polvere tipo farina». Modernità applicata alla tradizione.
Secondo passaggio:
Nudi di ricotta in consommé ai sentori di verbena odorosa, bucce di limone e ortiche. I nudi, cioè ravioli senza pelle, sono un pezzo di storia a Sant’Agata, «Ma ogni tanto cambiamo assetto: da fuori sembrano quelli di sempre; dentro però sono diversissimi. In questo caso, al ripieno di ricotta vaccina – che mi dà un piccolo artigiano qua vicino, che ha 20 mucche in tutto - ho aggiunto un 50% di ricotta di bufala di
Costanzo ad Aversa, più grassa e rotonda e della gallinella di mare. Il consommè è realizzato con un fumetto ridotto di pesce e infusione di verbena. Agrumi che stemperano la grassezza».

Sfogliatella (foto Tanio Liotta)
Terza corsa:
Maialino nero con pelle croccante, agrodolce al tamarindo, sedano, purè di patate alla curcuma e chutney di cipolle rosse di Tropea. E qui il senso del viaggio è ancora più evidente: «La cottura del maialino è ispirata alle grandi tecniche che ho appreso in Cina, un paese che ha una maestria incredibile in materia, ancora superiore secondo me alla Francia o alla Germania. Lo cuocio a bassa temperatura per 12 ore, lo raffreddo e prima del servizio lo metto in forno a temperatura molto elevata, in modo da conferire alla carne un bello spessore croccante». La cipolla rossa del loro orto di Punta Campanella, unita a cumino, zenzero e peperoncino, diventa una chutney di matrice indiana e con l’agrodolce al tamarindo torniamo ancora in Cina.
Quarto e ultimo piatto, il dessert:
La riscoperta della sfogliatella napoletana. Qui non si parla del dilemma di sempre (riccia o frolla?), c’è un passo in avanti: «La pasta esterna l’abbiamo realizzata con una pasta fillo e con della sugna di un maiale nero, che lavoriamo con lo
sfascia-porco: utilizziamo tutte le sue parti per avere salame, prosciutto e, appunto, la sugna. Il ripieno è una crema pasticciera alla cannella. Fuori è arricchita con due salse: l’amarena dell’orto nostro confit e una salsa alla menta».
Le 4 cene, 75 euro vini inclusi,
si prenotano online.