È la pizza il business del futuro nella ristorazione? La domanda è stata posta qualche giorno fa a Vicenza, trasformata per un weekend nella “città della pizza” grazie all’evento Pizza in Piazza, organizzato dall’Associazione Eccellenza nella Pizza e che ha coinvolto molti tra i suoi associati, e non solo. Sono sre giorni pensati per celebrare le varie tipologie di impasto, per creare comunità, raccontare le storie dei pizzaioli di Vicenza e dintorni e soprattutto per far assaggiare e scoprire le loro declinazioni del prodotto pizza.
La kermesse, come tante altre che nascono e si diffondono per il Paese, è frutto di un’evoluzione continua di un settore cresciuto in modo evidente e che, specialmente negli ultimi anni, ha saputo trasformare la pizza da piatto icona della cultura e della cucina italiana in una vera leva per il business e in fenomeno imprenditoriale, nel nostro Paese come all’estero. E proprio su questo aspetto “business” della pizza, sabato 14 giugno si è tenuto un talk dal titolo Pizza business: strategie di successo tra economia, comunicazione e imprenditorialità dove si sono confrontate le voci di pizzaioli come Renato Bosco, imprenditori come Francesco De Luca di Da Michele in the World e Salvatore Pellegrino (socio e cfo di Confine a Milano), insieme alla stampa di settore con Alberto Tonello per Identità Golose, Luciano Pignataro de Il Mattino e Giulia Gavagnin de Il Gazzettino, a testimonianza di un fermento che sta cambiando dal basso il comparto.

Piazza dei Signori a Vicenza, come sempre splendida, durante Pizza in Piazza
Opinioni a confronto e riflessioni
Gli esperti di settore hanno delineato un quadro dettagliato di come stia crescendo il mondo della pizza, lanciando anche degli input importanti che possono essere punti di forza sviluppabili nel futuro prossimo. Fino a non molto tempo fa dire "pizza" o "pizzeria" rimandava al concetto di commodity, a qualcosa di popolare, economico e conviviale; oggi a tutti questi riferimenti (in parte sempre validi) se ne aggiungono altri. La pizza è cambiata innanzi tutto come prodotto: è oggi da considerare il frutto di ricerca e studio su impasti ai topping, che incontrando la cucina aumentano il proprio valore in modo esponenziale. Seppure la pizza continui a essere percepita dal pubblico come una commodity, ha acquistato allo stesso tempo anche un posizionamento sempre più alto: la troviamo nei grandi hotel italiani ed esteri, come portata all’interno di percorsi degustazione anche di indirizzi stellati, declinata nelle sue diverse espressioni nelle pizzerie e sempre più vicina alla ristorazione, da quella locale a quella fine dining. Per non parlare delle pizzerie sempre più orientate al design, al servizio, ai pairing con vino e cocktail... In poche parole: la pizza in molti casi non significa più una semplice uscita tra amici, ma diventa un’esperienza. È proprio su questo concetto che si concretizza la sua evoluzione e sorgono le varie riflessioni.

Il talk a Pizza in Piazza
«In questo suo sviluppo importante, la pizza si inserisce nei vari settori Horeca e hospitality, si plasma sui bisogni e sulle domande, si adatta alle idee, genera format e conquista in modo trasversale ogni luogo (ristoranti, cocktail bar, bistrot, hotel)» ha sottolineato nel suo intervento
Pignataro. Allo stesso tempo possiamo anche affermare, senza dubbio alcuno, che la crescita qualitativa e la scoperta come prodotto gastronomico di alto livello abbiano reso la pizza fortemente attrattiva, tanto che in tutti i comparti Horeca c’è enorme attenzione in quanto considerata come generatore sicuro di business.
Vero fenomeno imprenditoriale, dunque. Oggi aprire e gestire una pizzeria significa anche affrontare sfide complesse legate alla qualità del prodotto, ma ancor di più alla sostenibilità economica, alla comunicazione, alla scelta del format e alla capacità di costruire un’identità forte e riconoscibile. Due le case history che, nell’ambito del talk, sono state esemplificative dell’idea: da una parte Confine a Milano con il suo format di successo basato sul binomio pizza-vino attraverso il menu degustazione; dall'altra Da Michele in the World che incarna il concetto di replicabilità di prodotto e allo stesso tempo la diffusione e l’esportazione di una tradizione territoriale quale quella della pizza napoletana.

Assaggi a Pizza in Piazza
Dunque
Salvatore Pellegrino ha presentato
Confine nella sua dimensione imprenditoriale, che si focalizza sulla sostenibilità economica, sulla gestione, sul benessere e sulla motivazione del capitale umano; ha sottolineato come un format degustativo abbia generato un’impresa capace di creare margini importanti e portare i clienti a spendere cifre prima impensabili per una pizza. La clientela, insomma, sa dare valore all’esperienza offerta. Nel secondo caso,
Francesco De Luca, general manager di
Da Michele in the World, ha messo sul piatto della bilancia la questione dell’esportazione del brand, della replicabilità e dell’identità che non deve mai venire meno in un franchising e in generale nelle catene.
Tutti elementi che parlano la lingua del marketing e non più quella degli impasti: fattore non più secondario se si ha a cuore la creazione e la riuscita di un’impresa, insieme alla formazione e competenza da un punto di vista manageriale per pizzaioli che allarghino oltre al banco la loro dimensione professionale.
Pizza, marketing e storytelling: rischio (già in corso) di omologazione

Giulia Gavagnin, Alberto Tonello, Francesco De Luca
La comunicazione è l’altro capitolo importante del mondo pizza. «Internet è la fonte primaria di acquisizione della conoscenza e diventa la nuova piattaforma, anche grazie ai social, di un moderno passaparola. I comunicatori sono fondamentali, e non intendiamo solo uffici stampa e giornalisti, ma anche content creator e agenzie di comunicazione, che possiedono mezzi, competenze e linguaggi per costruire la narrazione più adeguata al mondo pizzeria», ha spiegato la giornalista
Giulia Gavagnin che teme però una possibile omologazione del messaggio e dei format creativi. Omologazione a cui in realtà già si assiste, basti aprire Instagram e Tik Tok, scorrere tra foto e reel per essere letteralmente bombardati dai trend del momento e dai contenuti spinti dagli algoritmi. Per soddisfare questi ultimi e diventare virali, si assiste spesso a una duplicazione dei contenuti, a esperimenti digitali di copia e incolla di formati e a una pseudo-creatività senza senso: operazioni che non tengono conto del target e degli obiettivi d’impresa, pertanto risulteranno ripetitive nel contenuto e poco efficaci. La creatività, traducibile in unicità di proposta e differenziazione, è l’elemento basilare per la creazione di un format e per il suo conseguente storytelling.
Anche sotto questo aspetto la nuova generazione di pizzaioli è più preparata e audace rispetto alla precedente, con una visione meno provinciale e localistica, più digitale e improntata su modelli di business innovativi che soddisfano anche criteri ed esigenze nobili. Ecco come il legittimo desiderio di successo e visibilità si coniuga con l'attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale, la nascita di format nuovi e alternativi, la scelta dell'inclusività. Non a caso molti delle pizzerie di recente apertura hanno come mantra l’entrata nelle guide e nelle classifiche, ma non per la soddisfazione del proprio ego, quanto vedendo in esse un buon strumento di marketing e di pubblicità, in quanto riconoscono e comunicano valore e posizionamento.
A che punto è la pizza nel Veneto?

Renato Bosco e la moderatrice Francesca Riganati
Ma veniamo ora ai padroni di casa. Anche il Veneto si presenta come una regione in fermento, che sta vivendo una vera e propria “pizza revolution”. La stessa
Associazione Eccellenza nella Pizza - nata nel 2021 e che mette insieme 54 pizzerie sul territorio - conferma la voglia di proporsi come un movimento nuovo e dire “ci siamo anche noi” nel clamore mediatico che coinvolge regioni più rodate come Campania, Lombardia e Lazio.
Grande protagonista del lavoro fatto sul territorio, da anni, è Renato Bosco, insieme a Simone Padoan primo alfiere di quella "pizza contemporanea" o "veneta" che ha rivoluzionato letteralmente l’idea di pizza, incontrando a lungo non poche resistenze. «Qui in Veneto non esisteva una specifica tradizione di pizza, ma sicuramente avevamo un'esigenza condivisa di proporre qualcosa di nuovo, di diverso dalla pizza classica arrivata sul territorio insieme agli emigrati campani. Quello che ho provato a fare io è interpretare il concetto di pizza rinnovando impasti e topping, proponendo nuovi formati - il padellino è uno di questi - che oggi, a distanza di anni, hanno preso piede ovunque. Anche se penso che ancora la rivoluzione sia in atto e non sia definitiva». Insomma: laddove manca una tradizione consolidata, è più facile che si innestino innovazioni. Proprio su questa assenza si è potuta costruire un'offerta variegata, costituita da prodotti diversi, capaci di dialogare con il territorio, in questo caso il Veneto. Ecco uindi la "pizza veneta", «non un'imitazione della napoletana o romana, ma un'espressione autentica e originale. Ogni tipologia di pizza può diventare il punto di partenza per creare una nuova identità».