Angelo Rumolo non è un pizzaiolo. O almeno non lo è prima di essersi dedicato a tutto ciò che contribuisce a rendere la sua pizza quello che è oggi.
La sua giornata inizia molto presto e finisce molto tardi. Sintesi: Angelo dorme davvero poco. Ma poco conta se il benessere che ogni azione produce è superiore a qualunque altro modello di vita possibile.
Per comprendere meglio il suo lavoro, innanzitutto dobbiamo scoprire il contesto di questa storia. Ci troviamo a Caggiano, a 1000 metri s.l.m.: qui la neve scende ancora copiosa, eppure molto meno rispetto a quando la coltre bianca rivestiva il borgo già da ottobre. Un paese da 2000 anime, con pochi giovani, e dove in inverno regna la desolazione più totale. Ecco perché l’estate è così importante per questo giovane pizzaiolo e patron che, come la saggia formica, fa scorta per i tempi più tosti.

La splendida tenuta de Le Grotticelle costruita dal padre di Angelo
D’altronde, in casa sua non ci si è mai risparmiati: la sua è una famiglia di contadini e pastori, con un padre che ha lavorato la pietra ed è proprio opera delle sue mani, la tenuta che oggi ospita Le Grotticelle, country house con pizzeria: marmo, pietra, legno sono stati levigati dal papà di Angelo che, assieme allo zio, lo sostengono nella sua attività, come d’altronde la sorella e i cugini, in parte impegnati anche nell’altro punto goloso della famiglia Rumolo, la pizzeria d’asporto al centro del paese, Il Grotto.

La sala de Le Grotticelle
È cresciuto, dunque, con sapori genuini e chi ha conosciuto “il buono” nella vita, difficilmente torna indietro; ragion per cui, appare del tutto naturale che Angelo risulti del tutto intollerante a un cibo processato, a un pomodoro che non ha visto crescere sotto ai suoi occhi, a una carne di cui non conosce l’origine esatta, per citare solo alcuni degli ingredienti che ha a cuore. Basti pensare che la produzione limitata di pomodoro ha guidato la scelta di prediligere in carta pizze perlopiù bianche, e una volta finito, c’è ben poco da fare: non ce n’è, non si usa. Soprattutto se si parla di zammedda: una specialità caggianese, la somma di cinque pomodori diversi che vengono stracotti lentamente, fino a dimenticarli, e poi conditi con abbondante pecorino, il giusto per sublimare una pizza fritta e soffritta. Dimentichiamo la parte croccante, o alveolature pronunciare: questo boccone dorato è dominato da una sofficità eterea, vaporosa, una nuvola che non lascia segni, se non quello di desiderarne ancora.

La pizza fritta e soffritta con la zammedda
Sin da questo primo morso, si coglie una caratteristica identitaria dell’impasto di Angelo, realizzato prevalentemente con farina zero e solo una piccola traccia di tipo 1 (anche in questo caso, la scelta ricade sul territorio): una sapidità ridotta al minimo. Non occorre spingere più del dovuto; ad arricchire la base ci penserà l'ingrediente che, ancora, resta il più naturale possibile. Pensiamo alla patata: Angelo la introduce sulla pizza senza ridurla in spuma o crema, ma onorando quella consistenza farinosa, il suo profumo di terra, sottoponendola a una doppia cottura, la prima sotto cenere, e poi in forno sulla pizza, in contatto con gli altri ingredienti senza essere condita.

E quella patata la sentirete tutta in Ginny wild, un messaggio d’amore a sua figlia, Ginevra, un piacere immenso per chi l’assaggia: misticanza, patata cotta nelle cenere, carpaccio di vitellina e in cima, chimichurri. Quanto è forte il ricordo di quelle carni alla brace ripassate in un intingolo a base di olio e prezzemolo; si incrociano le temperature della carne, freschissima, e quella dell’impasto che la scalda appena.
Una base equilibrata in termini di sapidità, dicevamo, con una scioglievolezza confortante, supportata da un morso che riempie, e completata da un cornicione soffice che invita a viverlo fino in fondo, «sebbene non tutti sappiano “utilizzarlo”» riflette Angelo. «Molte persone ancora non sanno mangiare la pizza e con troppa facilità scartano questa parte, senza pensare che può diventare un supporto per raccogliere meglio la farcitura», che – aggiungiamo – qui è generosa, golosissima.

Capra capra, agnello agnello
«Quando entro in pizzeria, io mi rilasso», continua Angelo, perché buona parte del suo lavoro è fuori dalle mura delle Grotticelle: è terra, è sacrificio, ma è anche cura. Innanzitutto perché assieme ad Angelo c’è una famiglia intera a muoversi, e c’è quel senso di libertà che solo una montagna e cieli immensi possono darti, come un carburante che ripara e nutre per fare meglio subito dopo.
Sicuramente non è semplice, e ogni minima oscillazione va pesata scrupolosamente. «Caggiano non è Milano, non ci sono flussi continui, eppure le persone arrivano e ne siamo felicissimi perché tanti raggiungono questo posto solo per venirci a trovare. Ho tanti sogni, tanti progetti, ma non è ora il tempo di realizzarli; bisogna muoversi con cautela, a piccoli passi, cercando di comprendere l’ospite che abbiamo davanti, senza perdere mai l’obiettivo. Ma intanto ci godiamo tutto quello che abbiamo costruito fino a ora», lo racconta mentre scruta dall’alto le vette rocciose che segnano il confine con la Lucania, durante una caccia al tartufo.
Non è un’esperienza, è l’inizio di una giornata tipo di Angelo, che quel raccolto lo porta immediatamente sulla pizza, in cucina o a colazione, per chiunque scelga di fermarsi la notte in agriturismo.

Parte della colazione salata presso Le Grotticelle
Tartufo sull’uovo fritto delle sue galline, i formaggi affinati in grotta, come la capra in due consistenze che stupisce su uno spicchio di Capra capra agnello agnello: il passaggio in cantina lascia che si sviluppino delle persistenti note affumicate, mentre l’agnello è una tartare dolce, delicata e poi una polpettina che esprime molta più forza animale.

La cella di stagionatura di salumi e formaggi
C’è la cicoria selvatica, ruvida, che si accende con il salame piccante mentre assimila tutta la salinità grazie all’incontro con un erborinato di capra; a ripulire il morso, una confettura di peperoncino e pomodoro delicata, con il supporto del cornicione.

Cicoria selvativa, salame piccante ed erborinato di capra, servito con confettura di pomodorini e peperoncino
La terra si esprime nella sua totalità con la barbabietola, arricchita da un trito di frutta secca nello spicchio condito con salsiccia cruda, pepata, freschissima e salsa al taleggio che taglia con acidità e robustezza la grassezza della carne e la dolcezza della rapa.

Salsiccia cruda, pesto di barbabietola e frutta secca, salsa al taleggio
E lo spettacolo continua in cucina, che preserva e promuove la tradizione locale: dalla Genovese di cipolla e il trittico di carni che a essa segue in una domenica a Caggiano, a un boccone a cui pochi rinunciano una volta alle Grotticelle, il Pasticcio caggianese.
Un pezzo di storia locale che ricorda quanti, qualche secolo fa, recandosi in visita a Napoli, portavano dietro le donne, che intanto si studiavano la cucina di corte dei monzù, fortemente influenzata dal gusto francese. Arriva fino a oggi l'opulenza di questo pasticcio: una massa uniforme, «un’enorme polpetta» realizzata con mollica di pane, caciocavalli – sì, ce n’è più di una varietà all'interno -, uova in abbondanza e prosciutto; poi viene tutto ricoperto da una pasta brisé ricca di strutto che custodisce il cuore e cuoce mentre tutti gli ingredienti si amalgamano.
Fatica e impegno qui alle Grotticelle non sono retorica, ma la visione che orienta i passi di chi crede che è nel sentirsi radicato a un luogo, il vero lusso. Costi quel che costi.