Ormai la data è entrata nel calendario: dopo il successo della prima edizione del Pizza Romana Day organizzato da Agrodolce in collaborazione con Repubblica Sapori e Greenstyle, e con l’appuntamento già fissato per il 2019, il 13 settembre è ufficialmente il giorno in cui celebrare con orgoglio la ("nuova", sottolineano) pizza tonda romana, quella sottile e “scrocchiarella”. Ma qui, soprattutto per chi si trova al di fuori del Grande Raccordo Anulare, è necessario fare un po’ di chiarezza e tessere brevemente la storia di questo prodotto che non ha ancora una sua precisa identità.
Chiariamo, innanzitutto, che la pizza romana cui è dedicato l’evento è appunto quella tonda e al piatto e non la pizza in teglia – più simile a una focaccia, quella Bonci style per intenderci – che è amatissima anche fuori dai confini capitolini e che ha grandi interpreti non solo romani.
E, per completezza, ricordiamo pure che a Roma ci sono almeno altre due tipologie che rientrano di diritto nell’“universo pizza”: quella alla pala, solitamente venduta a peso nei forni accanto al pane, nella versione rossa o bianca o con qualche condimento appena più fantasioso; e la pinsa – una sorta di piccola “pala” con un impasto a base di un mix di farine tra cui anche riso e soia –, recente e riuscita invenzione di marketing spacciata per tradizione antichissima che però ha un suo perché gastronomico.

Pizza tonda romana con fiori di zucca e alici, Osteria di Birra del Borgo
Torniamo dunque alla
tonda romana, protagonista del primo Pizza Romana Day e del confronto – basato sullo scambio di conoscenza e non sull’antagonismo – con la tradizione forte della
napoletana e il successo da outsider della pizza
degustazione o
gourmet (che forse sarebbe più elegante e giusto definire
veneta, in omaggio a
Simone Padoan, il
capostipite del genere, e alla scuola che ha generato) ospitato all’
Osteria di Birra del Borgo e moderato da
Eleonora Cozzella e
Lorenza Fumelli. A rappresentare le tre tipologie c’erano
Giancarlo Casa de
La Gatta Mangiona (Roma),
Enzo Coccia de
La Notizia (Napoli) e
Davide Fiorentini di
O Fiore Mio (Faenza).
Ad aprire i lavori è stato proprio
Casa, romano ma “imparziale” visto che da anni propone una pizza «metà romana e metà napoletana», in realtà sempre più sbilanciata verso Partenope. La
romana, spiegava
Casa, riprendendo anche il primo punto del Manifesto proposto dalla manifestazione (
che trovate qui) e sottoscritto da numerosi pizzaioli, è nata intorno agli anni Cinquanta come “ripiego” – se non come frutto di uno o più errori tecnici – di pizzaioli meno esperti che non avevano alle spalle la grande tradizione e la forte identità della pizza napoletana.
Ottenuta da un impasto poco idratato, con una maturazione-lampo (3 ore circa) e stesa necessariamente con il mattarello vista la consistenza tenace, cotta – o meglio, “seccata” – al forno elettrico facendo a meno della figura specializzata del fornaio, la romana classica è sì sottile e croccante ma anche fintamente leggera, poco digeribile, con un bordo appena accennato spesso bruciacchiato, in cui le bolle nere si alternano alla pasta bianca e non dorata visto che la mancata maturazione non consente all’amido di sviluppare zuccheri.

Pizza in teglia farcita con mortadella di Luca Pezzetta, Osteria di Birra del Borgo
Un escamotage tecnico, insomma, per un prodotto “facile” – ed economico – anche per i consumatori meno attenti. Proprio per questo la tonda romana è stata considerata a lungo la cenerentola del mondo pizza, rimasta al margine di quel trend di crescita e rinascita che ha toccato anche la
teglia e la
napoletana.
«Ma adesso», sottolineava
Casa, «è arrivato il momento di applicare tecnica e ricerca anche alla “romana”, come stanno facendo già da qualche tempo giovani pizzaioli in gamba della Capitale. Ognuno a modo suo, con o senza mattarello, con forno a legna o elettrico, con farine di qualità e impasti diretti (ma con maturazioni più lunghe) o indiretti, più o meno croccante. Senza – per ora – paletti imposti da un disciplinare ma da un manifesto aperto, con un unico obiettivo: rendere ottima la pizza romana». E digeribile, l'inesorabile comandamento della gastronomia contemporanea. In questo senso, si diceva, «La maturazione dell’impasto è più importante della scelta delle farine». È il motivo per cui, nel punto 3 del manifesto, si specifica che «La maturazione della romana deve avvenire tra le 8 e le 24 ore, e anche oltre».
Interessante osservare le prospettive romane viste dal napoletano
Coccia: «Roma deve trovare la sua dimensione. Per me è quella di realizzare un impasto che sia croccante sotto». E il forno? «Che si scelga quello elettrico o a legna è irrilevante: il primo non arriva ancora alle performance del secondo ma il progresso condurrà presto al pareggio». Il
pizzajuolo non tollera però le maglie larghe: «Non è possibile consentire impasto sia diretto sia indiretto. È troppo vago, occorre decidere quale dei due». E in ogni caso, la scalata al mercato globale sarà uno sforzo da titani, se si considera che l'autorevole gemella
napoletana «copre solo il 3% del consumo mondiale».
«Per me la pizza è una», specificava giustamente
Davide Fiorentini, «un disco di pasta lievitata con un condimento sopra. L’importante è che sia buona». Appunto, come la clamorosa pizza in teglia farcita con mortadella che di lì a poco avrebbe sfornato
Luca Pezzetta, maestro degli impasti all'
Osteria di Birra del Borgo, servita in abbinamento alla
Lisa, nuova lager del marchio di
Leonardo Di Vincenzo. E prodotti buoni (al piatto) hanno cercato di sfornare ieri sera le 20 pizzerie coinvolte nella rassegna:
180g,
91bis,
Al Grottino,
Exquisitaly,
Frontoni,
La Gatta Mangiona,
Gazometro 38,
Giulietta,
Magnifica,
Moma, la stessa
Osteria di Birra del Borgo,
Pro Loco Pinciano,
Sant'Alberto,
Sbanco,
Seu Pizza Illuminati,
Spiazzo,
Pietralata - Pizzeria di Quartiere,
Lievito,
Passetto,
Casette di Campagna.
Il sasso è lanciato e verificheremo gli effetti dell’urto il 13 settembre 2019, ormai #PizzaRomanaDay.