Se esistesse una macchina del tempo, avrebbe le fattezze dell'ascensore che accoglie gli ospiti del Grand Hotel Tremezzo. Vi salgono all'altezza della strada che costeggia il lago di Como e vengono portati su, anzi indietro, verso la Belle Époque in cui venne edificato questo imponente e sontuoso palazzo, a Tremezzo, tra i Borghi più belli d'Italia. Come tutti i luoghi incantati della cosiddetta Riviera delle Azalee allora era già divenuto, da oltre un secolo, meta turistica - e spesso luogo di dimora - delle famiglie della borghesia nordeuropea e dell'aristocrazia meneghina che aveva lasciato Milano con la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche. Qui edificarono le loro ville, spesso divenute salotti letterari: Villa Melzi, Villa Sola Cabiati, Villa Balbianello, Villa Monastero, Villa Carlotta...

Il lago di Como dal Grand Hotel Tremezzo
Proprio un terreno confinante a
Villa Carlotta venne scelto da
Enea Gandola, erano i primi anni del '900, per edificarvi un proprio albergo che – al centro di uno dei laghi più suggestivi del mondo – potesse esprimere classe e raffinatezza. Erano i tempi del
grand tour romantico, di lunghi viaggi e affascinanti viaggiatori. Il lago di Como era già una tappa immancabile, una delle destinazioni preferite del turismo d’élite che in quel periodo si stava sviluppando: ricco, colto e internazionale, proveniente dall'Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e dall'Austria, dal Belgio e dalla Svizzera, persino dalla Russia degli zar.

Il Grand Hotel Tremezzo un secolo fa
Gandola era un gentiluomo della vicina Bellagio e tanto aveva viaggiato a sua volta per l’Europa insieme con la moglie
Maria Orsolini. Il loro
Grand Hotel Tremezzo fu inaugurato il 10 luglio 1910. Una stella, anzi cinque stelle che non hanno mai smesso di risplendere, passando fastose attraverso le epoche e le diverse proprietà, prima i
Gandola appunto, poi i
Sampietro, oggi i
De Santis, grazie alla giovane
Valentina: «Sono nata sul lago di Como e ho imparato a conoscerlo, ad amarlo, a farmi sorprendere dalle sue meraviglie fin da bambina. Mi ricordo quando mio padre e mio nonno
Bat mi portavano in barca a Balbianello, e facevamo pic nic sulle sponde del lago, posate d'argento e una tovaglia di lino bianca...».
Sono frammenti di un'epoca perduta, ma che il
Grand Hotel Tremezzo riesce a far rivivere alla perfezione, grazie alla splendida struttura certo, più in generale abbracciando l'ospite con quel mare di attenzioni, di finezza, di garbo, d'ospitalità e di charme che dovevano essere il viatico per un soggiorno indimenticabile, proprio qui, anche un secolo fa.
Scriviamo tutto questo per dare il giusto riconoscimento - anche il nostro - a uno dei più grandi luoghi dell'
hôtellerie italiana, che spicca per la sua capacità di preservare l'
allure del passato, e di trasporla nell'oggi. Però, a dirla tutta, temevamo nel medesimo tempo, proprio mentre ammiravamo la suadenza di certe atmosfere retrò, lo stesso potesse non avvenire in cucina. Il
Bello è senza tempo, il
Gusto invece cambia. Ci eravamo dunque accostati con un po' di diffidenza a
La Terrazza, il ristorante più illustre del
Grand Hotel. Sia per il fatto stesso che fosse l'espressione di siffatto hotel (non si rischiava che lo sguardo deferente al passato si coniugasse a tavola in una cucina passatista, superata?), sia perché proprio qua - unico luogo al mondo, a iniziare dal prossimo luglio, quando dovrebbe mutare la carta del
Marchesino a Milano - si gusta un menu interamente siglato
Gualtiero Marchesi, e che pesca tra le ricette del Maestro. L'assaggio era doveroso e deferente, anche come omaggio a
Gualtiero; temevamo invece il giudizio. Che, insomma, i piatti non ne onorassero la memoria; o, peggio ancora, che tradissero il passare del tempo.

Il ristorante La Terrazza. Abbiamo mangiato molto bene, anche se non tutto ci è piaciuto: tavoli troppo piccoli, pane da rivedere
Siamo lieti che non sia così. Mangiare a
La Terrazza significa certo immergersi in un'altra dimensione, accettare di fare i conti con una cucina lontana dai canoni dell'avanguardia, impermeabile (o quasi) alla contemporaneità - non era forse lo stesso
Marchesi a dirsi alieno dalle tendenze oggi in voga? Eppure, in questo cortocircuito spazio-temporale, la nostra cena è stata piacevolissima, divertentissima, godibilissima, eccellente. Unica. Un'esperienza da provare.
Merito, certo, del genio di Marchesi, i cui piatti ancor oggi sanno solleticare il palato con eleganza, e non risultano affatto vetusti, perché contengono (contenevano già allora) tante caratteristiche che piacciono ai buongustai dell'oggi: freschezza, rispetto del prodotto, pulizia, complessità, eleganza, stagionalità, estetica, leggerezza.

Gualtiero Marchesi e Osvaldo Presazzi
Merito poi dei seri professionisti che s'incaricano di perpetuare l'evocazione di cotanta eredità. Sono personaggi
stra-ordinari, che come tutto l'hotel paiono tratteggiati all'occorrenza, partecipi di un'incredibile sceneggiatura, a metà strada tra
Poirot e
Grand Budapest Hotel.
Osvaldo Presazzi, ad esempio: classe 1962, valchiavennasco di Caspoggio, a Tremezzo da quasi trent'anni, dopo aver animato le cucine di cinque stelle storici, entrati nel mito: il
Ritz e il
Crillon a Parigi, il
Carlton e il
Martinez a Cannes...
«Sono qui dal 1989. Nel 2011, quando avevo già 49 anni e mai mi sarei aspettato di poter ormai avere occasione di lavorare col Maestro, la nostra proprietà cercò la consulenza di Marchesi, e venne firmato il contratto che ci ha permesso, da allora, di servire il menu da lui siglato. Allora era all'Albereta, «possiamo mandarle il nostro chef lì, a imparare la sua cucina?», gli chiedemmo. E lui: "Ma prima di tutto voglio venire io a incontrarvi a Tremezzo". E venne una volta, poi altre e altre ancora», ne era lieto anche perché conosceva la zona. Tra l'altro poco distante, a Lenno, trovava una famiglia della quale era amico, i Salice, quelli del leggendario Eliseo Salice, capo chef alla Villa D'Este di Cernobbio negli anni '30. Racconta infatti il Maestro in Marchesi si nasce, questa è la mia storia: "Al Mercato (il ristorante dei suoi genitori, ndr) ebbi modo di confrontarmi con valenti cuochi come Remo e Giovanni Salice, rispettivamente pasticciere e cuoco, figli del noto Eliseo". (Ci spiegano che i discendenti di quella famiglia di grandi cuochi proseguono l'attività proprio a Lenno, alla locanda Grifo, cucina tipica laghèe a cura di Antonio e Tiziana Bianchi, nipoti dell'omonimo Antonio Bianchi e Maria Salice).

A tutti coloro che mangiano il celebre Riso, oro e zafferano viene rilasciata questa pergamena che certifica l'assaggio, "100.000 riso, oro e zafferano dal 1981 al 2017", che fa riferimento a una richiesta dello stesso Marchesi, curioso di sapere lo scorso anno quanti di questi piatti fossero stati serviti fino ad allora. Dopo aver fatto due calcoli approssimativi, grazie al confronto con l’azienda che fornisce le foglie d’oro, si giunse alla cifra di circa 100.000 piatti. Da allora ogni ordinazione successiva è numerata, a noi è toccata la 1.329
Continua il racconto di
Presazzi: «Quando incontrai
Gualtiero la prima volta, mi tremavano le gambe. Lui aveva già 81 anni, e mi tranquillizzò. "Non si preoccupi,
Osvaldo. Guardi che sono qui anche io per imparare. Non si smette mai di imparare...”». E infatti anche
Presazzi, che era uno chef già fatto e finito, tanto ha imparato: «Cosa? Lo sintetizzo in tre parole, che poi sono l'essenza dello stile marchesiano:
freschezza, naturalezza, purezza. Io mi onoro di presentare ai nostri ospiti le idee del Maestro».

Appetizer: Spuma di patate con astice. Le foto dei piatti sono di Tanio Liotta

Capesante, Riesling e pepe rosa
Innervano un
menu Gualtiero Marchesi che è scontatamente mirabile per la struttura d'origine, ma anche ammirevolmente ben eseguito, inappuntabile nelle cotture, nelle materie prime e nelle tecniche, davvero a celebrare una grandezza che è stata e continua a essere:
Capesante, Riesling e pepe rosa, elegante e goloso col contrappunto acido dato dalla salsa di vino e burro;
Riso, oro e zafferano, ossia l'icona stessa della prima alta cucina italiana;
Trancio di branzino selvatico in crosta di sale, fieno, camomilla e carciofo in casseruola, il piatto più moderno, con la delicatezza vegetale che accarezza la polpa del pescato, in un tutt'uno di assoluta armonia;
Filetto di vitello alla Rossini secondo Gualtiero Marchesi, all'opposto una ricetta un po' invecchiata, ridondante, con la carne accerchiata dai muscoli del foie gras, del tartufo nero, del denso fondo bruno al Porto; e infine
Millefoglie di ovis mollis, crema al mascarpone e frutti di bosco.

Trancio di branzino selvatico in crosta di sale, fieno, camomilla e carciofo in casseruola. È servito su una base di sale

Filetto di vitello alla Rossini secondo Gualtiero Marchesi

Millefoglie di ovis mollis, crema al mascarpone e frutti di bosco
A
La Terrazza spicca questo percorso degustazione siglato da
Marchesi (coi piatti che cambiano a seconda delle stagioni, ma sempre scelti tra quelli classici del Maestro); sue preparazioni si trovano anche negli altri luoghi di ristoro interni al
Grand Hotel (al
T Bar, ad esempio, abbiamo gustato un
Goulash di tonno davvero straordinario, sette cubi di tonno perfettamente scottati, con cipollotto croccante, vino ristretto e germogli. Buonissimo); in più a
La Terrazza il menu alla carta propone altri classicissimi della cucina classica d'alta
hôtellerie, con esito ugualmente felice.

Buonissimo e fresco, al T Bar, il Crudo di branzino con brodo di cetriolo, cumino, mela verde e rossa, sale Maldon. Il brodo è ottenuto facendo fermentare a freddo il cetriolo per 15 giorni in acqua, aceto di riso, zenzero, peperoncino sale e zucchero
Qui val dunque la pena introdurre un altro personaggio di questa storia:
Francesco Licciardo, restaurant manager, napoletano di Mugnano, fresco acquisto del
Grand Hotel. Quando lo preghiamo di aggiungere un piatto al degustazione marchesiano, e che questo piatto sia uno dei due "alla lampada", ossia
Rognone di vitello al Calvados (l'altro è
Gamberoni al Cognac), gli si illuminano gli occhi: «Ne sono lieto, anzi speravo proprio me lo chiedeste. Per me ogni volta è una gioia, una nuova dichiarazione d'amore nei confronti della professione splendida che ho intrapreso». Terminato il rito antico e spettacolare della preparazione al tavolo, il piacere per gli occhi che questa ci aveva destato si è trasformato in lussurioso godimento al palato. È un mangiare per certi versi
démodé (e che come tale, chissà che non tornerà di moda...), ma almeno
una tantum diventa indimenticabile.

Francesco Licciardo prepara i Rognoni al Calvados

Rognoni di vitello al Calvados
Chiediamo a
Presazzi se apporta modifiche alle ricette del Maestro, se le personalizza o attualizza. Lui si schermisce: «No, rimane tutto secondo il dettato di
Marchesi» anche se poi tra le righe qualcosa emerge, qualche momento in meno nelle cotture, perché già
Gualtiero odiava quest'attitudine italiana al
troppo-cotto («Noi siamo il Paese del tutto un po' stracotto»,
G. M.), ma oggi la nostra alta cucina ha talmente abbracciato questa sua battaglia, da richiedere ancor meno tempo sui fornelli.
Presazzi tranchant: «Ogni preparazione deve essere cotta al punto». Stop.

Osvaldo Presazzi al lavoro
Poi, c'è un altro strumento attraverso il quale lo chef pensa di riverberare la grandezza di
Marchesi: «Ho conosciuto tempo addietro un suo grande allievo,
Tiziano Rossetti (docente
Alma, ora alle cucine de
L'Angolo Divino a Urbino,
ndr). Dopo la morte di
Gualtiero la proprietà mi chiese come continuare al meglio a preservare il suo lascito. Dissi che sarei stato molto lieto di provarci, ma con l'aiuto di
Tiziano. Così a febbraio abbiamo studiato insieme una serie di ricette in puro stile marchesiano, capaci cioè di riprodurne la caratteristica armonia gustativa». Ne sono nati piatti come
Uovo di selva su fonduta di porri, tartufo e casera, Risotto al caprino, credo candito ed erba cipollina, Cosciotto d'agnello da latte con cipolle caramellate... È possibile degustarli, ovviamente al
Grand Hotel Tremezzo.