«Mi ricordo, credo fosse il 1995, quando Edoardo Raspelli mi stroncò: “Quello chef fa mangiare il legno”, scrisse, una sentenza quasi definitiva. Erano i licheni, ma io recuperavo un’antica tradizione delle mie zone, quello che facevano i nostri nonni, qui vi erano interi paesi che vivevano della raccolta di licheni islandici a uso alimentare. Sono andato avanti con caparbietà. Poi una decina d’anni dopo René Redzepi li sdoganò, e all’improvviso è sembrato che seguissi le mode».

Si entra a El Molin, ospitato ovviamente in un antico, bellissimo molino, l'ultimo rimasto dei 48 che c'erano sul rio Gambis
A volte essere troppo avanti conduce a esiti beffardi, ma
Alessandro Gilmozzi sorride, tranquillo. Tra tante carriere senza talento, il suo grande talento gli ha riservato una carriera inferiore ai suoi meriti, ma comunque lunga e di successo: un quarto di secolo a Cavalese, quest’anno, «
El Molin ha aperto nel 1990, ma io in quel momento ero da
Ducasse. Arrivai un biennio più tardi», i conti tornano. Noi, maligni: “Ma non ti sembra che avresti meritato anche di più?”. Lo chef è intelligente: «Forse. Ma ho scelto una strada difficile, eppoi io sono un tipo riservato, tranquillo, non ho mai cercato i riflettori». A volte sono loro a cercare lui, «mi hanno invitato a un congresso a Bratislava, il 23 ottobre. Cucinerò con
Gert de Mangeleer (giovane tristellato del ristorante
Hertog Jan, situato nella periferia di Bruges, in Belgio,
ndr), mi fa piacere».
Gilmozzi è di una serenità piena di fascino, si vede che è uomo abituato al silenzio rasserenante dei suoi boschi, dove s’immerge per trarvi spunti per le sue ricette. Ha accettato con consapevolezza il suo essere periferico, non solo geograficamente, ma culturalmente (di cultura gastronomica, intendiamo): nel
Paese d’ ‘o sole, ha sempre lavorato con resine ed erbe di montagna; con frotte di turisti tedeschi che appena passato il confine cercano
pummarola e babà, ha scelto di dedicarsi alla sua cucina dolomitica così simile a quella del Nord Europa da sembrare a quest’ultima ispirata.
Proprio lui, che odia le imitazioni! «L’altro giorno pensavo a una ricetta col gallo forcello. Ho subito chiamato Magnus Nilsson (del ristorante Fäviken, nei boschi remoti della Svezia settentrionale), mi sembrava di ricordare come anche lui stesse lavorando con la stessa materia prima, non volevo che sembrasse una copiatura. “No, tranquillo, il mio piatto è col gallo cedrone”, mi ha detto. E allora mi sono tranquillizzato. Ma è un dato di fatto: con uno come lui la somiglianza è forte: stessa identità territoriale, stessi ingredienti».
Venticinque anni, dunque, «sto preparando un libro, con
Montura». Cinque lustri senza mai stancarsi di esaltare il suo territorio, per ritrovarsi nel 2017 con uno dei migliori luoghi del mangiarbene in Italia, come testimonia la nostra splendida cena, nella fotogallery firmata
Tanio Liotta. Poi vi ha affiancato un wine bar/bistrot e una pizzeria, tutti raggruppati come
El Molin nel centro di Cavalese; e ancora, tanti progetti andati in porto – il gin
Gilbach, ad esempio: quest’anno ne produrrà 4mila bottiglie, mille gliel’hanno già ordinate in Giappone – e molti ancora in preparazione, ad esempio la birra, «ceppi di fermentazione dal muschio, poi la produco con camomilla, segale, luppolo, lichene bianco e lichene islandico». L'abbiamo assaggiata: è densa, piacevole, ricca d’aromi.
Perché, oggi che legni, resine e licheni non spaventano più nessuno,
Gilmozzi continua a sciorinare idee su idee che innervano una cucina fresca, contemporanea, elegante. Di valore assoluto. E se gli si chiede di cosa vada orgoglioso – se del piccolo impero che ha creato in silenzio, se della rigorosa coerenza con la quale ha continuato il suo percorso, se degli allori che gli sono stati attribuiti, se… - risponde: «
Terre Altre». Ossia la cooperativa, rivolta ai ragazzi disabili, che ha aiutato a nascere e crescere, due ettari di terreno coltivati a fagioli, carote, canapa… Metodo biodinamico, «all’inizio, cinque anni,compravo tutto io, ora si autosostengono e hanno un mercato, è anche nato il primo orto sperimentale».
Perché
Alessandro Gilmozzi da Cavalese, classe 1965, che ha lavorato con
Adrià e
Ducasse, una stella Michelin stra-meritata dal 2007, è anche questo, oltre che un grandissimo chef: una persona di enorme umiltà, e di squisita umanità.