Acquavite, dal latino Aqua Vitae. Lo si può leggere anche sul sito internet della Poli: acquavite è sinonimo di distillato, mentre la grappa è, nello specifico, un distillato di vinacce.
Proprio qui a Schiavon, in provincia di Vicenza, ci piace pensare che questa parola possa prendere anche un altro significato: acqua di vite, un legame alla vita delle tante persone e famiglie che hanno contribuito al successo di questa distilleria.

Jacopo Poli all'interno della distilleria
Questo lo si legge anche negli occhi di
Jacopo Poli, quando parla dell’impegno e della passione che in tutti questi anni hanno contraddistinto non solo un’azienda, ma un intero paese.
E anche quando, pensando al padre Toni, gli scende una lacrima: non un segno di debolezza, sia chiaro, ma di sensibilità per quella che non è una semplice distilleria, ma una vita.

L'impianto per la distillazione della grappa
Visitare le
Distillerie Poli è un’esperienza che va oltre al semplice studio per la tecnica di produzione: qui si respira storia e passione. Non c’è voglia di stupire con “effetti speciali”, ma andare al cuore della produzione: la grappa. «E’ un prodotto in continua evoluzione – spiega
Jacopo Poli, che assieme ai fratelli
Barbara e
Andrea, e alla moglie
Cristina, porta avanti la tradizione e la produzione - a partire dal rapporto con la società. Siamo passati alla grappa vista come “scaldabudella”, al concetto attuale di prodotto di piacere per i sensi».
Un passaggio che è raccontato anche tramite il Museo della Grappa, che nella sua sede di Bassano del Grappa conta di 12mila visitatori al mese. Ma a Schiavon è stata aperta una seconda sede del museo, dove è possibile anche visitare la distilleria. Un lavoro minuzioso, quello di Jacopo Poli, che ha raccolto le antiche caldaie di distillazione, gli strumenti, le bottiglie (oltre 2000), i libri e le testimonianze della cultura tutta italiana della distillazione della grappa. Il Museo è un ente separato dall’azienda Poli ed è no profit. «E’ un museo della grappa e per la grappa, non della Poli. Perché lo facciamo? Perché è giusto farlo».

Il primo alambicco mobile, utilizzato alla fine del 1800
La storia ci insegna, e
Jacopo Poli ne è convinto: «Noi oggi facciamo una grappa che è sicuramente più buona di quella che facevamo vent’anni fa, e sono convinto che tra vent’anni sarà sempre migliore». La storia della
Poli ci riporta al 1884, quando venne iniziata la progettazione della ferrovia tra Vicenza e Bassano del Grappa, la
Vaca Mora.
Nel 1885 Gio Batta Poli decise di avviare un’attività di commercio di vari generi, tra i quali anche il vino, e successivamente iniziò la produzione di grappa, utilizzando un carro di distillazione. La fattoria che avevano, annessa alla taverna, fu trasformata nel 1898 per accogliere le prime tre caldaiette e diventare, a tutti gli effetti, una distilleria, anche perché la produzione ambulante era stata vietata dall’Erario.

La raccolta delle bottiglie di grappa da tutta l'Italia, all'interno del Museo della Grappa di Schiavon
Dietro a questa storia, comunque, esistono tante storie: quelle delle persone, delle famiglie, intere generazioni che hanno lavorato e lavorano alla
Poli. E che confermano come non si tratti di una “semplice” distilleria, ma di una sorta di famiglia allargata.
La produzione negli anni ha avuto un’evoluzione. «La grappa – sottolinea Jacopo Poli – deve però tornare a recuperare la credibilità. E la serietà. Negli anni Trenta la grappa era ritenuta di alto livello. Con l’industrializzazione avvenuta tra gli anni Sessanta e Settanta, è diventato un prodotto di massa. Era subentrata la politica del “tanto a poco”, arrivando a 70 milioni di bottiglie, eliminando anche il rapporto con il territorio. Così le piccole distillerie, mano a mano, sono scomparse. Negli anni 90, invece, con la rivitalizzazione dell’artigianato, la grappa è tornata a essere vista come qualcosa di qualità».

Le barriques per l'affinamento
Attualmente, in Italia, le distillerie in funzione sono circa 130. «Il problema, spesso, è che manca chiarezza – continua
Poli – Perché in realtà in commercio ci sono migliaia di etichette, visto che molte aziende vitivinicole si fanno fare la grappa. Ma alla fine, le distillerie, sono sempre quelle… Bisogna guardare al futuro, ma al momento non c’è una linea di intenti comune.
Soprattutto dal punto di vista di immagine. Faccio un esempio: la Tequila sta vivendo un ottimo periodo, nonostante sia un prodotto che nasce come rustico, da bere con sale e limone. Questo perché sono riusciti a veicolare il messaggio, con investimenti sulla comunicazione. Ora il consumatore riconosce la Tequila solo guardando la bottiglia, noi invece, come grappa, abbiamo mille forme e misure anche per i contenitori».

La produzione della Poli punta alla massima qualità
E qual è il futuro della
Poli, invece? «Migliorare, sempre, e mantenere il legame con le famiglie e il territorio. Noi cerchiamo di fare qualità, distillando solo vinacce fresche. Utilizziamo un impianto a vapore, uno a bagnomaria e uno sempre a bagnomaria, ma anche sottovuoto, che ci permette una distillazione a temperature più basse. Le nostre tre parole chiave sono territorio, vinacce e famiglia».
E i prodotti si contraddistinguono tutti per un’estrema pulizia e una grande eleganza, evitando forzature ed eccessi.
Quando parla di famiglia,
Jacopo ricorda sempre suo padre
Toni. «Nel 1983 mio papà distillava di giorno, mentre io avevo avuto la possibilità di distillare di notte. E lui comunque, all’inizio, mi controllava. Alla fine abbiamo assaggiato le nostre grappe, e mi disse che la mia era migliore».
Antonio Poli è poi scomparso nel 2001.
«Cosa gli vorrei dire se fosse qui oggi? Lui era un uomo dall’umanità profonda, celata dai quei precetti morali di un tempo che non permettevano di farla esprimere. Avrei tante cose da chiedergli…». Ma forse quella piccola lacrima scesa dagli occhi di Jacopo racconta più di mille parole.