Se il nome scelto per il ristorante è stato DOM (Dominus Optimus Maximus) nel lontano 1999, le intenzioni e le ambizioni di Alex Atala si potevano intuire sin dall’inizio della sua avventura in Rua Barão de Capanema. A oggi, la parola più appropriata per descrivere questo elegante locale nel bel mezzo del quartiere di Jardins è certamente perfezione, intesa come un'attenzione al dettaglio che inizia nelle più sperdute aree del Brasile e termina con un’esecuzione dei piatti millimetrica in presentazione e sapori, cosciente nelle scelte e con dosaggi da alchimista consumato.

Gamberi con chuchu, tamarindo e cajuina
In mezzo ai migliaia di chilometri che dividono il
DOM dai mille luoghi remoti scovati per i suoi ingredienti, c’è tutto l’uomo
Alex Atala degli ultimi anni. Divenuto un punto di riferimento assoluto per lo sviluppo di una cultura gastronomica, quella latinoamericana, sempre più attenta a scelte sostenibili e che valorizzino e preservino territori, uomini e produzioni sconosciute sino a qualche anno fa. Basti pensare che il suo lavoro di ambasciatore e portatore di una filosofia green lo ha portato quest’anno ad essere inserito nella lista dei cento uomini più influenti del pianeta per la rivista Time.
Basterebbe questo per far comprendere il lavoro immenso di questo chef a cui la vita sta offrendo la chance di rimanere scolpito nella storia di questo continente, chance che sembra abbia voluto prendere con determinazione e che non gli stia sfuggendo grazie anche a una capacitá fuori dal normale dell’essere aperto, disponibile, mai arrogante e
last but not least, in grado di creare e fare gruppo. Qualità queste che denotano un vero fuoriclasse, non solo tra I fornelli, ma anche umanamente, come accade ai più grandi.

Gabriela Monteleone, sommelier del DOM
Detto ciò qui vogliamo parlare del ristorante DOM oggi. Al comando delle cucine c’è
Geovane Carneiro, anni 43, fido esecutore e consigliere di Alex, che prima di approdare al
DOM aveva lavorato unicamente in locali più spartani e popolari. Oggi è lui che troverete dietro le belle vetrate a vista della cucina quando il cuoco è in viaggio a conquistare il mondo. In sala la miglior somellier del Brasile,
Gabriela Monteleone, si muove com un folletto elegante, e con grazia e leggerezza dirige non solo la parte enologica della questione, ma supervisiona silenziosamente anche il lavoro dei camerieri in sala.
Di fatto, qui non sono dei ragazzi con grembiule provenienti dalla cucina a portarvi i piatti in tavola, dato che il servizio delle vivande è di stile classico e non segue la nouvelle vague dei sous chef a tavola con tanto di spiegazione. Il bar è sotto il comando di
Jean Ponce con un bere miscelato fuori dal comune e cinque sgabelli dove accomodarsi anche a tarda ora, ed anche se non si è cenato al DOM.
I piatti sono quanto più rasente esista all’eleganza, perfezione ed equilibrio. L’inizio è tutto fresco, profumato e pungente che siano dei
Gamberi con chuchu, tamarindo e cajuina oppure un
Millefoglie di palmito pupunha e capasanta con una salsa acida e citrica ricavata dai coralli della stessa. La morbidezza e le dolcezze iniziano con l’
Arroz negro lievemente tostado com legumes verdes e leite de castanha de Pará, passano per un pesce di mare,
Olho de cão, accompagnato da funghi, palmito e miele e terminano con un baccala confit con maionese di latte.
La struttura più sostanziosa del menu è negli ultimi due piatti salati: le ormai classicicissime
Fettuccine di cuore di palma alla carbonara e il
cinghiale (
javali) con
farofa e
pure di banana da terra (foto), piatto magistrale dove la carne passa quasi in secondo piano, grazie a un dosaggio da profumiere consumato della
pimenta de cheiro (peperocino profumato e fresco) nella tardizionale
farofa. Si chiude con due portate
fresh come il
Sorbetto di cagaita e la Zucca (
abobora)
con carbone vegetale e sorbetto di tapioca e un dolce di scuola classica come la
Torta di castanha del Pará con sorbetto al whisky e varie spezie come il curry, il peperoncino ed il sale a reggere il piatto.