22-01-2021

Ristori alla ristorazione: in Europa si fa sul serio, in Italia molto meno. Il quadro

I nostri chef lamentano la mancanza di aiuti al settore, ma cosa succede nel resto del continente? Lo abbiamo chiesto ai loro colleghi di nove Paesi diversi, ecco tutte le risposte...

L'altro giorno abbiamo raccontato un quadro mondiale della ristorazione alle prese con la pandemia: ne è emersa una mappa piuttosto triste, fatta di lockdown e chiusure imposte, con poche aree felici (leggi CHIUSO PER COVID, LA MAPPA: nel mondo continuano stop e limitazioni per i ristoranti. La situazione). Ora rivolgiamo la nostra attenzione sugli interventi (in Italia li abbiamo chiamati "ristori") che i vari Governi hanno messo in atto per aiutare questo settore in grande crisi: ne deriva un quadro molto più sfaccettato, dal quale le nostre istituzioni avrebbero molto da imparare. Iniziamo con l'Europa, i testi sono di Carlo Passera, Niccolò Vecchia e Gabriele Zanatta.

 

Simone Tondo (foto @thesocialfood)

Simone Tondo (foto @thesocialfood)

FRANCIA - Simone Tondo
Salvo per qualche giorno a pranzo in bella stagione, Racines, popolare insegna parigina gestita dal sardo Simone Tondo, è chiusa da marzo 2020. «Dopo una fase iniziale di studio, qui in Francia si sono mossi alla svelta. Hanno concesso prestiti a interessi zero, da cominciare a restituire solo dopo un anno (una misura simile al “decreto liquidità” in Italia, ndr). Noi abbiamo chiesto il massimo possibile: è una cassa che ci ha dato e ci dà ancora ossigeno». La cassa integrazione: «È partita anche quella a marzo. Rimborsa l’84% del netto degli stipendi. Da allora è arrivata tutti mesi, a tutti i nostri 13 dipendenti». Quando riaprirete? «Oggi il paese conta ancora 25mila casi di contagio al giorno. Lo sapremo a fine febbraio, quando le istituzioni daranno nuove indicazioni. Fino ad allora, rimarrà tutto chiuso. Ma almeno governare in questo caso fa rima con ‘prevenire’, cioè ‘proteggere’. Se concedi a un ristorante di rimettersi in moto e poi lo fai chiudere senza avergli dato sovvenzioni, è come se lo uccidessi due volte».


Paulo Airaudo

Paulo Airaudo

SPAGNA - Paulo Airaudo
Risponde da una quarantena in hotel a Hong Kong Paulo Airaudo, cuoco italo-argentino normalmente di stanza a San Sebastian, nei Paesi Baschi. Il suo ristorante Amelia, una stella Michelin, ha traslocato proprio nei giorni della prima ondata dal centro della cittadina all’hotel Villa Favorita, sulla celebre spiaggia della Concha. «Cosa vi devo dire?», spiega, «che in Spagna c’è un governo di incapaci? Non mi vergogno a usare queste parole, ci mancherebbe pure con tutti i soldi che ci ha rimesso in questi mesi la mia azienda, che conta 50 dipendenti. Inizialmente hanno concesso prestiti bancari, ma i requisiti per richiederli erano molto complicati da soddisfare e l’entità la decideva arbitrariamente lo stato. Io li ho presi e investiti tutti sui dipendenti. Poi, hanno promesso la cassa integrazione, che copre il 70% degli stipendi, ma con un tetto massimo di 1.080 euro. Devono ancora arrivare quelli di dicembre, che comprendono ottobre e novembre.... Ho ricevuto solo un una tantum di 4mila euro, una barzelletta». La situazione attuale: «Non è vietato aprire ora a pranzo; ma mancano i turisti e pure quelli che vivono nel comune accanto. Demenziale. Io spero di riaprire a marzo, ma tanta gente non ce la farà».

 

Ciccio Sultano e Nicola Zamperetti

Ciccio Sultano e Nicola Zamperetti

AUSTRIA - Ciccio Sultano e Nicola Zamperetti
«In Austria siamo fortunati», intervengono nel dibattito il ragusano Ciccio Sultano e il vicentino Nicola Zamperetti, responsabili da poco più di due anni del Pastamara Bar al Ritz Carlton di Vienna, «hanno tutelato la ristorazione in due modi. A novembre, all’inizio della seconda crisi, ci hanno rimborsato l’80% degli incassi dello stesso mese un anno prima. La percentuale è scesa al 50% a dicembre, ma è comunque un aiuto corposo. Per il resto, qui come in Germania funziona bene il meccanismo del kurzarbiet, una cassa integrazione speciale: l’azienda decide quanto vuol far lavorare i suoi dipendenti e lo stato paga il resto dello stipendio. Noi abbiamo deciso di farli lavorare il 10%, cioè due giorni consecutivi ogni due settimane, e lo stato paga il restante 90%. Tredicesima e quattordicesima sono stati erogati al 100%». La possibile riapertura dei ristoranti? «Qui è tutto chiuso, senza fasce o colori. Si ipotizzava una riapertura il 25 gennaio ma è più facile che accada ai primi di marzo».

 

Philippe Clarinval, a destra, con Enrico e Roberto Cerea

Philippe Clarinval, a destra, con Enrico e Roberto Cerea

SVIZZERA - Philippe Clarinval
E' il direttore del prestigioso Carlton Hotel di St. Moritz - che ospita il ristorante due stelle Michelin della famiglia Cerea Da Vittorio St. Moritz - a fornirci un punto di vista attento e informato su come il governo federale elvetico stia affrontando il tema del sostegno alla ristorazione: «La prima misura che è stata messa in campo è una specie di cassa integrazione, che permette ai dipendenti di ricevere almeno parte del proprio stipendio mensile anche in un momento come questo. Quello che però succede è che i ristoratori indipendenti, che sono quindi proprietari del proprio ristorante, non ricevono nessun sussidio: in questo modo stanno del tutto prosciugando i propri risparmi. Non potendo aprire i ristoranti, l'unica risorsa rimane il delivery, o l'asporto: ma il rischio di perdere più soldi di quanti se ne incassano, in quel modo, è concreto. La situazione è davvero complicata. Esiste poi una piccola compensazione che viene affidata alle attività commerciali quando queste ricevono dal governo l'ordine di chiudere: però per una realtà come Da Vittorio St. Moritz questa compensazione non è prevista, perché il ristorante si trova all'interno di un hotel e dunque non ha l'obbligo di chiusura. Però non essendoci turismo e non potendo servire se non gli ospiti che pernottano nell'hotel stesso, sostanzialmente il ristorante rimane ugualmente vuoto: non ci spetta però alcun sostegno».

 

Alessandro Leonardi

Alessandro Leonardi

GERMANIA - Alessandro Leonardi
Futura Neapolitan Pizza, tre spicchi per la Guida del Gambero Rosso, è l'insegna aperta con successo a Berlino dal pizzachef e imprenditore Alessandro Leonardi: come tutti i suoi colleghi, non ha l'occasione di ospitare il pubblico all'interno del suo locale da diversi mesi, da poco dopo l'estate. «La mia sensazione rispetto alla qualità dell'intervento del governo tedesco, rispetto a quello che è accaduto in altri paesi europei e in particolare in Italia, è che non sia stato fatto nulla di sostanzialmente diverso: i protocolli, le norme, si assomigliano. Cambiano, anche in modo notevole, le dinamiche con cui poi si sono manifestati questi protocolli: per questo direi che il governo tedesco è stato più tempestivo e più presente. Nella gestione dei dipendenti molto velocemente il governo ci ha offerto un programma di sostegno che ad esempio mi ha permesso di non licenziare nessuno: le persone che lavorano con me ricevono dall'inizio della crisi, puntualmente, il 60% del loro stipendio. Poi, una volta dichiarata l'emergenza lockdown e quindi l'obbligo di chiusura, l'amministrazione ha predisposto uno sportello digitale dove fare domanda per ricevere le compensazioni: si deve compilare la domanda dichiarando i propri fatturati dell'anno precedente e il numero dei dipendenti. Sulla base di questi criteri veniva valutato l'importo del ristoro dovuto: quando è arrivato il nostro turno abbiamo ricevuto una comunicazione e abbiamo concluso la pratica in modo piuttosto rapido. Essendo una pizzeria, abbiamo avuto la fortuna di poter lavorare meglio di altre tipologie di ristoranti su delivery e take away: i ricavi realizzati in questo modo hanno avuto una grande importanza per noi».

 

Locatelli è tra i giudici di MasterChef Italia, show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy in onda ogni giovedì alle 21.15 su Sky Uno e su NOW TV

Locatelli è tra i giudici di MasterChef Italia, show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy in onda ogni giovedì alle 21.15 su Sky Uno e su NOW TV

REGNO UNITO - Giorgio Locatelli
Volto tv, istituzione del fine dining italiano a Londra, con la sua Locanda. Giorgio Locatelli guarda alla risposta britannica alla crisi Covid con un approccio non molto critico, anzi: «Sono state prese delle buone decisioni. Certamente non è pensabile che si riescano a compensare le enormi perdite: noi fatturiamo circa 4 milioni di sterline in un anno, quest'anno arriveremo a stento a un milione. Fondamentale è stato il furlough (un "congedo pagato", ndr) istituito dal Governo che ha compensato i dipendenti con l'80% del loro stipendio. I rimborsi sono arrivati sempre nel giro di sette giorni. Poi è stata sospesa la business rate (le imposte sulle proprietà commerciali, ndr): sono cifre importanti, per noi circa 110mila sterline all'anno. La VAT (la nostra IVA, ndr) sulla ristorazione è stata abbassata dal 20% al 5%, e il pagamento del 2020, che avrebbe dovuto avvenire a marzo 2021, è stato sospeso fino al 2022. Ci è poi stato offerto un business loan, un prestito, che poteva arrivare fino a 350mila sterline: questo prestito è senza interessi né richiesta di garanzie, lo si inizia a ripagare dopo 12 mesi e si può dilazionare nei 5 anni successivi. Un'ulteriore intervento importante ha riguardato le assicurazioni: tutti noi abbiamo delle assicurazioni che ci difendono dai danni subiti dalle aziende. Però le compagnie si erano subito premurate di dire che la crisi Covid era una calamità che non erano tenuti a rimborsare: il Governo ha approvato un decreto in base al quale invece avremo diritto a una percentuale, ancora da definire, di rimborsi. Per i piccoli business è stato poi previsto un prestito a fondo perduto di 9mila sterline. L'unica sorpresa in negativo direi che è stata la decisione di non cancellare le tasse sui redditi per il 2020: sono state sospese, le pagheremo dal 2022 e le potremo rateizzare, ma rimarranno».

 

Uroš Fakuč

Uroš Fakuč

SLOVENIA - Uroš Fakuč
«La cosa più complicata da gestire è l'incertezza. Non si sa nulla, non riusciamo a capire quando potremo riaprire: si parla di maggio o giugno, sarebbe un colpo durissimo», ci spiega Uroš Fakuč, classe 1977, nel suo passato anche uno stage da Gualtiero Marchesi, ora è chef-patron neostellato al Dam Boutique Hotel & Restaurant di Nova Gorica, in Slovenia, 6 minuti d'auto dal confine italiano. Fakuč lamenta la scarsità di aiuti dello Stato sloveno al suo settore in difficoltà: «Io praticamente non ricevo alcun contributo: ho aperto l'hotel sopra al ristorante nel settembre 2019, così lo scorso anno ho comunque registrato un fatturato superiore a quello del precedente e non ho diritto a nulla», nonostante l'investimento e i conti che, com'è ovvio, sono in rosso. Ai suoi colleghi meno esposti non va certo molto meglio: «È prevista una sorta di cassa integrazione all'80% per i dipendenti in eccesso e poi qualche altro piccolo contributo relativo ai costi fissi, ma sempre poca roba». La ristorazione in Slovenia è bloccata da ottobre, fanno eccezione i servizi di delivery, asporto e la somministrazione di cibi e bevande nelle strutture ricettive. È proprio quest'ultima l'unica àncora di salvataggio per il Dam: «Teniamo aperto l'hotel e cuciniamo per gli ospiti», che ovviamente non sono molti, anzi. «Io ho resistito fino al 31 dicembre scorso, poi ho dovuto tagliare gran parte del personale: non avrei voluto, speravo di reggere, siamo come una famiglia, ma non ce la potevo più fare».

 

Nicola Fanetti

Nicola Fanetti

DANIMARCA - Nicola Fanetti
Ristorazione: tutto chiuso anche in Danimarca, i locali si devono accontentare della possibilità di fare il take away. È stata la scelta anche del Brace di Copenhagen, ristorante "italiano" (nel senso di un'Italia "contaminata" con altre culture gastronomiche) aperto nel gennaio 2017 da Nicola Fanetti (con la sua compagna Ursula), bresciano di Malonno in Val Camonica, classe 1989, già con Philippe Léveillé, quindi in Danimarca dal 2011 prima all'Era Ora e poi con René Redzepi, con una parentesi di nuovo in Italia al Quadri di Venezia con gli Alajmo. Ci dice: «Se non avessimo ricevuto gli aiuti governativi avremmo già chiuso». Aggiunge lo chef-patron: «Durante il primo lockdown devo dire che sono stati molto efficienti. Io ho 11 dipendenti: pagavo loro lo stipendio e nel giro di un mese lo Stato mi rimborsava tutte le somme, al 90%. Anche per quanto riguarda le spese fisse hanno stanziato parecchi fondi: io ad esempio avevo comprato prima del lockdown una fornitura di piatti, ho potuto ricevere un rimborso parziale», il meccanismo opera in funzione della perdita di fatturato, si viene assegnati a una determinata classe di rimborso a patto che il calo sia stato almeno del 35%. Col secondo lockdown, invece, da ottobre (già a settembre era stata imposta la chiusura alle 22, con in più lo stop ai tavoli con più di dieci persone), «hanno combinato un mezzo disastro. Hanno dovuto rimborsare gli allevatori di visoni, per la nota vicenda, e hanno scelto di utilizzare i finanziamenti inizialmente destinati alla ristorazione. Così oggi sono in ritardo nello stanziamento dei fondi che ci spettano, i rimborsi non sono ancora stati erogati. Ma ne abbiamo diritto, fanno fede le documentazioni inviate online e prima o poi li riceveremo». In Danimarca, al di là delle misure straordinarie che abbiamo descritto, non esiste una cassa integrazione vera e propria, mentre scatta il sussidio statale in caso di licenziamento.

 

Giovanni Bruno

Giovanni Bruno

BELGIO - Giovanni Bruno
Giovanni Bruno
, origini siciliane di Caltanissetta, è con la famiglia in Belgio dal 1970. Padre ingegnere ma gourmet, Giovanni ha intrapreso la carriera nel mondo della ristorazione da autodidatta, portando al successo il ristorante Senzanome a Bruxelles, aperto nel 1991, stella Michelin dal 2004. È uno dei locali più prestigiosi della capitale belga, spesso frequentato anche dal premier. Spiega lo chef-patron: «Noi siamo chiusi per il secondo lockdown dal 16 ottobre. E se tutto va bene si riapre qualcosa a marzo». Quali aiuti ha ricevuto la ristorazione? «La possibilità di mettere il personale in una sorta di cassa integrazione speciale, al 75%». E poi contributi a fondo perduto una tantum: «Per il primo lockdown di oltre tre mesi sono arrivati 4mila euro in tutto, stessa somma per ogni ristorante, a prescindere dal fatturato. Io non ci pago neanche l'affitto... Per questo secondo lockdown sono previsti 3mila euro, integrati con altri 2mila dalla Regione di Bruxelles». Poi lo Stato ha aiutato il settore "congelando" le scadenze dei prestiti bancari, «ma vanno comunque saldati gli interessi. E poi non vale per i leasing, che non subiscono rinvii». Non ci sono iniziative governative invece per la questione degli affitti, «è tutto lasciato alla contrattazione privata con il locatore. Il mio è stato molto comprensivo, ci conosce da tanti anni, abbiamo anche rinnovato tutta la struttura, insomma abbiamo trovato un accordo per uno "sconto". Ma io e mia sorella Nadia gestiamo anche un secondo locale, più easy, chiamato Fico Osteria. E lì abbiamo avuto meno fortuna...». Fico ha attivo in questa fase il servizio di take away, mentre i fornelli del Senzanome sono spenti.


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