Il 2024 è terminato e in attesa di vivere un 2025 all'insegna della scoperta di nuove insegne, ma soprattutto di storie e sapori da raccontare, la redazione di Identità Golose è pronta a condividere attimi, piatti, posti del cuore, insomma, quell'esperienza incredibile che merita il viaggio... di assaggio in assaggio. Per questa seconda parte lasciamo la parola a Carlo Passera e Gabriele Zanatta.
Carissimi auguri e memorabili bocconi a tutti voi!
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CARLO PASSERA
Quando basta un fico: altro salto di qualità per Piazzetta Milù

Fico cotto alla brace, affumicato, su letto di ghiaccio con estratto di pepe del Camerun di Maicol Izzo al Piazzetta Milù di Castellamare di Stabia (Napoli)
Ma che piatto è? Un semplice fico? Diciamo piuttosto: un fico che rappresenta bene la nuova dimensione cui sta ascendendo
Piazzetta Milù, il ristorante di Castellammare di Stabia (Napoli) del quale già abbiamo scritto molto, e bene. E del quale si poteva anche dire, fino a non molto tempo fa, che lì il più giovane dei tre fratelli
Izzo, ossia
Maicol, è uno chef di evidente talento, possiede tecnica e fantasia, ma a volte ancora un poco acerbo, d'altronde è un classe 1993. Questo fico diventa il suo salto di qualità:
Fico cotto alla brace, affumicato, su letto di ghiaccio con estratto di pepe del Camerun, incredibilmente lungo, dolce, fruttato, salato, piccante, quasi balsamico. Una piccola idea che diventa un lampo. È un assaggio che mostra la freschezza ora matura dello chef, e fa parte della raffica più interessante di bocconi al
Piazzetta Milù, quelli piuttosto scapestrati che si gustano giù in cantina. Poi si torna su ed è anche divertente abbandonare il tavolo che è lì apparecchiato in sala per alcune tappe "itineranti", si esce persino dal locale per un
Hot-dog di calamaro come fosse take away. Un modo simpatico di proporre un fine dining del futuro.
Largo a due maestri: Anthony Genovese e Luigi Taglienti

Due capolavori di altrettanti maestri (curioso: come il piatto raccontato sopra, si caratterizzano per l'elemento fruttato, una sorta di ulteriore frontiera): a sinistra Noodles, cassis e calamaro (noodles mantecati in crema di rapa rossa, cassis e carcadé, gel di brodo ridotto di frutti di mare, calamaro fresco, polvere di limone nero e nero di seppia, il tutto in brodo di calamaro arrosto) di Anthony Genovese; a destra Millefoglie di ostrica (tozzo di pasta sfoglia caramellata, impreziosita da zucchero bruno e polvere di semi di coriandolo. Ostrica strapazzata al succo di limone, polpa di cachi al profumo di cardamomo. Ristretto di bue ai sapori agrumati) di Luigi Taglienti
Siam partiti con un giovanissimo, proseguiamo con due maestri. In rigoroso ordine alfabetico.
Anthony Genovese non conosce confini, al suo
Il Pagliaccio regala un filo conduttore sotteso, tra
barbagiuan e
dal, noodles e polenta, umeboshi e mole, carciofi alla barigoule e pecora, salsa bigarade e cardamomo, coriandolo e finanziera: l’assenza di frontiere geografiche e mentali, il no limits, che diventa presenza straripante di un artefice in grado di coniugare estro, tecnica ed esperienza. E impiatta un caleidoscopio di colori, profumi, influenze e nuances gustative che parrebbero stonati, ovvero fin troppo eterogenei, se a ricondurli a completa concordanza (ineffabile armonia) non fosse la preponderanza della personalità creativa e stilistica di colui che li mette in fila uno dopo l’altro, anzi spesso uno insieme all’altro. Percorso netto, magistrale. Come quello di
Luigi Taglienti, tornato appieno a essere autoriale laddove all'
IO Luigi Taglienti di Piacenza declina la sua ricerca sulle salse (
ne avevamo scritto qui) immergendola nel territorio, tra prodotti locali e interpretazioni della tradizione invero spesso assai libere, il legame si rivela tutt’altro che claustrofobico. L’intera esperienza è un gioiello, ossia non solo i piatti in sé, ma le tempistiche, il servizio, il ritmo, l’ambiente, il pairing, l’empatia: un “nuovo classico”.
Wellington vince ancora (con la finezza di Matteo Monfrinotti)

Lo squisito Filetto alla Wellington (filetto di fassona piemontese con salsa al tartufo nero, accompagnato da insalatina di erbe di campo, scalogno in agrodolce e purea di patate gratinata) di Matteo Monfrinotti a La Darbia di Vacciago (Novara)
Il generale inglese
Arthur Wellesley, duca di Wellington, è celebre per aver sconfitto
Napoleone, mentre meno noto è che avesse gusti piuttosto difficili a tavola. Per accontentarlo, i suoi cuochi s'inventarono un piatto speciale, una carne in crosta di pasta sfoglia che oggi è nota come
Filetto alla Wellington. È una preparazione illustre, che come altre simili -
pithivier, pâté en croûte... - sembra in meritato revival, ovviamente in fogge anche diverse. Ne siamo davvero contenti. Solo nel corso del 2024, e rimanendo in Italia, abbiamo incontrato una (deliziosa)
Barbabietola alla Wellington al
Dama del Castello di San Gaudenzio, Cervesina (Pavia), chef
Federico Sgorbini; una
Cipolla alla Wellington da
Davide Maci al
Villa Lario di Pognana Lario (Como); un
Carciofo alla Wellington da
Daniel Canzian all'
omonimo ristorante di Milano; un
Filetto di cervo alla Wellington al
Pomiroeu di
Giancarlo Morelli a Seregno (Milano); un
Pithivier d’agnello ripieno di foie gras, verza e mela cotogna sciroppata da
Viviana Varese al
Passalacqua di Moltrasio, sul Lago di Como... Però vince su tutti
Matteo Monfrinotti, col suo
Filetto alla Wellington classico ma perfetto com'è tutta la sua cucina: dritta, classica, equilibrata, "pulita". Davvero bravo, a
La Darbia di Vacciago (Novara). Di
Monfrinotti si parla troppo poco.
Chiudiamo coi primi: gnocchi e pasta diversi, tra Francesco Sodano e Daniele Lippi

Gnocco di cannolicchio di Francesco Sodano al Famiglia Rana di Oppeano (Verona) e, a destra, Pennone, fragola, gambero, rucola di Daniele Lippi all'Acquolina di Roma
Abbiamo parlato di antipasti, di secondi piatti. Ma i primi, che caratterizzano così marcatamente la cucina italiana? Due su tutti, negli assaggi 2024 di chi scrive. Il primo - che poi la pasta c'entra nulla - è firmato
Francesco Sodano al
Famiglia Rana di Oppeano (Verona):
Gnocco di cannolicchio, si tratta di gnocchi 100% di cannolicchi con farcia di sauté di cannolicchi, emulsione di cannolicchi e plancton, sfere di zucca cotte in burro nocciola, caviale, brodo 100% di zucca - una parte fermentata, una ossidata, una fresca), portata spaziale nella sua completezza, sintesi mirabile dell’investigazione di
Sodano. Il secondo è
Pennone, fragola, gambero, rucola di
Daniele Lippi all'
Acquolina di Roma, piatto strepitoso al gusto, oltre che bellissimo esteticamente. Le fragole vengono distillate in pentola a pressione, la loro acqua evapora e viene recuperata, poi ridotta, se ne ricava un liquido intenso e di un rosa acceso. Vi si cuociono i pennoni che poi vengono serviti freddi con gamberi gobbetti a crudo, uova di gobbetti e rucola. «Recuperiamo il ricordo del vecchio risotto alle fragole, molto anni Ottanta, senza contrastarne la suadenza fruttata-floreale-acida (più che dolce) ma accompagnandola con la dolcezza marina dei gamberi», la rucola chiude la partita.
GABRIELE ZANATTA
A Milano è il momento di cheffe e patronne

Le ragazze di Altatto a Milano
Le ragazze di
Altatto, che riempiono ogni santo giorno (e per due servizi, solo la sera) la loro tavola vegetariana al quartiere Greco.
Francesca Lecchi, cuoca e socia di
Ai Fiori Blu, che dà luce ai piatti in condivisione della “vineria con cucina”, vicina a Dateo.
Laura Santosuosso, che si spreme le meningi per dar valore al negletto pranzo da
Sandì, dietro a Porta Venezia.
Suili Zhou (
Mu Dimsum),
Giulia Liu (
Gong) e
Aya Yamamoto (
Gastronomia Yamamoto) che lavorano da tempo per rimuovere dalla nostra testa i pregiudizi di una certa cucina cinese e giapponese.
Sabrina Macrì e leggerezza del
Bistro di Aimo e Nadia,
Viviana Varese tra
Faak e
Polpo,
Arianna Consiglio e
Cucina Franca,
Martina Miccione e
Tipografia Alimentare,
Alice Delcourt ed
Erba Brusca,
Vasiliki Pierrakea e la nuova Grecia di
Vasiliki Kousina… A Milano è il momento delle donne, e a guadagnarci siamo tutti.
Venissa, mangiare e pensare

Anadara inaequivalsis, kimchi di verza marinata al Venissa di Mazzorbo (Venezia), chef Francesco Brutto e Chiara Pavan
Venissa è un altro luogo scenografico, questa volta sull’isola di Mazzorbo, collegata a un punto dalle case colorate di Burano, nella laguna veneziana. Ci si può andare con due modalità: per godere semplicemente dei piatti buonissimi che
Francesco Brutto e
Chiara Pavan preparano per il
ristorante o
l’osteria, oppure per riflettere su quanto cibo buttiamo quotidianamente nelle nostre case, nelle mense, nelle scuole, nei catering. Nel menu del momento, i due ragazzi, compagni nel lavoro e nella vita, riescono nell’impresa di realizzare preparazioni deliziose con le brioches e il pane avanzati dalle colazioni, con le specie di vongole scartate dai pescatori, con il rinfresco di lievito madre, con gole e animelle di pesci che nessuno si fila…
Kvitnes Gard, l’alta cucina e l’aurora boreale

Halvar Ellingsen e il ristorante Kvitnes Gard nel silenzio delle isole dell’arcipelago di Vesterålen, Norvegia (con tanto di aurora boreale)
Dal 23 dicembre scorso Norwegian Airlines ha inaugurato la tratta Bergamo-Harstad/Narvik, un volo diretto quando fino al giorno prima ne occorrevano 3 per arrivare nel nord del Norvegia. Approfittatene perché da Harstad bastano due ore d’auto per arrivare in un ristorante incredibile, di cui si parla ancora poco. Si chiama
Kvitnes Gard ed è una riserva di caccia enorme nel silenzio delle isole dell’arcipelago di Vesterålen, tra acque cristalline, salici, betulle e il verde elettrico dell’aurora boreale. Il padrone di casa è
Halvar Ellingsen, un cuoco ma prima ancora un artigiano che mette mano a tutto quello che lo circonda: alleva maiali mangalica, capre, conigli, polli, galline, quaglie e agnelli, che poi abbatte, spoglia, eviscera, macella e stagiona cercando di scartare il meno possibile. Pesca salmerini, rombi, sgombri e
langoustine, affumica al ginepro salmoni e
halibut e strappa dagli scogli sotto casa barbe rosse che sanno di funghi e olive. Ai confini del mondo.
R4D, la nuova vita di Will Goldfarb a Bali

Will Goldfarb e il suo R4D a Bali
Ci spingiamo ancora più lontano, fino a Bali, per ascoltare la storia avventurosa di
Will Goldarb, passato nel 2014 dal ruolo di pasticciere più osannato di New York a ristoratore più acclamato d’Indonesia. Poco più di un decennio dopo il trasloco a Bali, gestisce con la moglie
Mary, nella prima periferia di Ubud, un
ristorante creativo sempre pieno, una
pasticceria che ha tutta l’aria di potersi replicare altrove, un orto enorme di erbe spontanee e ingredienti autoctoni davanti al mare e
Shelter Island, una carinissima guest-house di proprietà. Un’impresa che coinvolge 65 dipendenti, il 95% dei quali indonesiani. Solo applausi (e bontà super-creative, tra il dolce e il salato).