20-10-2023

Antonia Klugmann: «Io non servirò mai totani o calamari pescati a strascico»

La cuoca triestina si schiera con la campagna di WWF Italia a favore delle biodiversità: «Non può esistere una cucina che non sia attenta ai problemi dell’ambiente»

Antonia Klugmann (L'Argine a Vencò, Dolegna d

Antonia Klugmann (L'Argine a Vencò, Dolegna del Collio, Gorizia) con Eva Alessi, responsabile sostenibilità di WWF Italia

Estinguerci, lo stiamo facendo bene.
#IlPandasiamonoi.


Ha contenuti forti l’ultima campagna del WWF. Due claim che denunciano i tragici effetti collaterali dell’uso dei pesticidi: «Ogni anno», spiegava nel corso di un pomeriggio speciale a Eataly Roma Eva Alessi, responsabile della sostenibilità di WWF Italia, «3,5 milioni di tonnellate di pesticidi cadono sui nostri campi. Ma solo il 5% va a bersaglio, raggiungendo gli organismi nocivi. Il resto si disperde nell’aria. Ciò causa una granda perdita di biodiversità, l'impoverimento di specie selvatiche animali e vegetali. E avvelenamento di esseri umani: ogni anno si contano 385 milioni di casi».

Scendendo più nel particolare, la perdita della biodiversità è figlia di un altro paradosso, che dovrebbe fare riflettere sopratutto la comunità della cucina: «Nell’80% dei casi è imputabile alla filiera del cibo, cioè a come lo produciamo e consumiamo», rivelano i dati in possesso della più celebre organizzazione internazionale di protezione ambientale. È il motivo che ha spinto Antonia Klugmann a unirsi alla campagna di sensibilizzazione.

«Ho sempre cercato di non parlare d'aria fritta», ha esordito nella lezione di Roma la cuoca triestina, «Sono qui per affermare che non può esistere una cucina che non sia attenta ai problemi dell’ambiente. Per me è inconcepibile trattare ingredienti senza considerare il loro contesto produttivo, l’impatto sugli ecosistemi. In questi anni si parla tanto dell’estetica o della tecnica di un piatto ma mai abbastanza dei processi che hanno condotto le materie prime fino a quel punto». È l’inizio di un’arringa importante.

Pane piatto di mais bianco

Pane piatto di mais bianco

«Io mi chiedo di continuo quanto sia sostenibile impiegare in cucina un totano, un calamaro o una triglia di scoglio. Alla fine ho deciso di non servirli perché le pratiche di pesca a strascico sono violentissime e distruttive per gli ecosistemi marini. Di recente i pescatori hanno protestato contro l’Unione Europea che vorrebbe mettere al bando queste pratiche. Ma dovrebbero riflettere sul fatto che ne va del loro stesso futuro».

Stabilito lo scenario di fondo, la lezione è proceduta con la consueta delicatezza e sensibilità della cuoca, impegnata a comporre 3 piatti che si distinguevano per altrettante caratteristiche: la bellezza degli ingredienti impiegati, l'impatto tecnologico molto ridotto sugli stessi sugli stessi e la pratica di evitare spreco alcuno.

Il primo piatto era un Pane piatto di mais bianco: «Grazie alla collaborazione con un signore che seleziona semi in loco, ho cominciato a coltivare un poco di mais biancoperla in una porzione del terreno di Vencò. Nel corso di un viaggio in Messico, sono rimasta molto affascinata da quell’antica pratica Maya che genera ambienti simbiotici, terreni in cui legumimose, zucche e mais si alimentano a vicenda nello stesso terreno, arricchendosi l’un l’altra e crescendo senza alcuna risorsa irrigua».

Raviolini di bieta fagiolini verdi e silene

Raviolini di bieta fagiolini verdi e silene

Il pane piatto, flat bread, è una “specialità” che esiste in tutto il mondo: «Mette assieme farina e acqua, un’alchimia universale che può dare origine a chapati, piadine, naan o tortilla». Un composto delizioso a base polenta bianca, con purea di mais, beurre noisette e farina di polenta gialla (la morchia del toc’ in braide della tradizione carnica). «Tecnicamente il nostro pane piatto ha richiesto solo un frullatore a immersione e l’attesa della fermentazione».

Col secondo piatto, degli altrettanto semplici Raviolini verdi di bieta e formaggio, Klugmann introduceva un altro tema a lei molto caro: l’orto selvatico. «Penso che un cuoco oggi debba interrogarsi sulla relazione che sussiste tra lui, l’ingrediente scelto e il selvatico. Accettate che il vostro giardino non sia perfetto. Accogliete ciò che è più giusto per lui e non per il vostro ego: erbe commestibili che non hanno bisogno di irrigazione come filipendula, achillea, silene… si auto-seminano e proliferano ovunque».

Anche la bieta del ripieno cresce ovunque e ha complessità aromatiche interessanti, «Soprattutto se la maltrattate», specifica Klugmann, «se le date poca acqua, all’assaggio risulterà più buona di quella che compriamo dal fruttivendolo. Perché l’assenza dell’uomo fa meglio ad alcuni gusti, favoloso no?»

Spaghetti spezzati al latte

Spaghetti spezzati al latte

Il terzo e ultimo piatto erano degli Spaghetti al latte, una pasta spezzata cotta nel siero di risulta della fermentazione lattica. Un piatto che riconduce la platea agli allevamenti estensivi, nel tempo soppiantati da quelli intensivi. Un altro assaggio misurato, parco e delizioso. Un assist per il messaggio di chiusura: «I concetti di bellezza e lusso non possono più essere slegati dall’ambiente. Il potere di riscrivere il futuro è nelle nostre mani. Nelle nostre scelte. Nelle azioni piccole e grandi che possiamo compiere ogni giorno».


Dall'Italia

Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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