30-06-2023
Gaetano Trovato, chef del ristorante Arnolfo, due stelle Michelin a Colle di Val d'Elsa (Siena)
Per noi di Identità Golose non esistono disparità di valore tra sala e cucina: il ristorante è un piccolo universo che ne riflette la necessaria complementarità. Ecco perché non è passato inosservato il problema del personale nella ristorazione, relativamente al mondo della sala come accade da anni, ma ormai anche in brigata.
Abbiamo così avviato un’inchiesta coinvolgendo diversi tra i restaurant manager e i patron di tutta Italia, chiedendo loro di condividere le proprie riflessioni e, ove possibile, le potenziali soluzioni alle criticità che il settore vive oggigiorno.
Nella casa di Gaetano Trovato, Arnolfo, il ristorante 2 stelle Michelin a Colle di Val d’Elsa in provincia di Siena, la difficoltà nel reperire personale di sala non appare così marcata. Ma è opportuno fare sin da subito una distinzione: personale c’è, eppure la grande difficoltà per un ristoratore oggi è trovare personale qualificato e serio, ossia chi prende un impegno e lo porta al termine.
«Credo che sia mutato l’approccio al lavoro e con ciò non intendo giudicarlo né positivamente, né negativamente. – commenta Trovato, chef e patron-. C’è una costante nella nostra esistenza: il cambiamento. Cambiamo noi, cambiano le situazioni e gli stati d’animo. Sta sempre a noi comprendere e abbracciare il mutamento, muovendoci per ripristinare l’equilibro e la piacevolezza nella nostra vita e in ogni luogo di lavoro». Un’onda confusa, quella che ha destabilizzato lo stato delle cose che, secondo Trovato, arriva ancora prima del COVID. Probabilmente quest’ultimo ha portato a un’accelerazione del processo, ma di certo non l’ha generato.
Il punto è che, pur considerate le difficoltà che la ristorazione (e non solo) vive tutti i giorni, l’Italia è fondamentalmente un Paese agiato, per cui la sua popolazione non ha la necessità impellente di lavorare, così come i giovani non hanno la stessa “fame” di apprendere rispetto al passato, perché di base i ragazzi hanno già tutto. Ciò che manca, per cominciare, è un catalizzatore necessario per spronare la sete di conoscenza e la realizzazione personale. A partire dall’ambiente più vicino ai ragazzi: la loro casa, le loro famiglie. «L’educazione al lavoro parte dalle famiglie – precisa lo chef -, le quali dovrebbero far comprendere ai giovani che l’ingresso al mondo del lavoro non è facile e immediato; bisogna avere pazienza e dedizione per raggiungere certi obiettivi. Capisco che da genitore si voglia sempre far risparmiare la fatica ai propri figli e agevolarli nel percorso, ma a volte è bene fare un passo indietro e far toccare con mano le difficoltà della vita». Solo così si matura una visione del lavoro che vada oltre il “portare a casa lo stipendio”, rivelandosi, piuttosto, una grande forma di espressione personale. D’altronde si parla di “rapporto” di lavoro proprio perché le relazioni, i rapporti vanno cercati, coltivati e mantenuti con attenzione ed affetto per maturare soddisfazioni.
Non è da escludere che anche la categoria dei ristoratori detiene un certo grado di responsabilità: sia nel passato, che tuttora sono tanti gli errori da loro esercitati, al punto da rendere il ristorante un luogo poco appetibile agli occhi di un giovane che si affaccia per la prima volta a questo tipo di lavoro.
«Nel corso degli anni abbiamo lavorato molto senza pensare a ciò che si potesse fare per la categoria, per assicurare un sostegno maggiore a noi stessi e a quelli che venivano dopo di noi. Non c’è stata quella grande attenzione al personale, guardandolo e trattandolo come una risorsa fondamentale all’interno di un’azienda, alla quale donare formazione e possibilità di crescita».
L’immagine più ovvia è, infatti, quella di un circuito nel quale sembra impossibile crescere, sia professionalmente che personalmente. Sembra impensabile, per esempio, fare questo lavoro e nel frattempo costruirsi una famiglia perché le tempistiche giornaliere e le paghe non vanno all’unisono; o ricercare stabilità, quando la dimensione nella quale si lavora è prettamente stagionale. Senza contare, purtroppo, che le grandi figure del settore difficilmente fanno un passo a lato per dare spazio a giovani appassionati, obbligandoli a una gavetta infinita, che diventa noiosa anche per il più grande degli appassionati.
Lo staff di sala
I motivi fino a qui esposti potrebbero già bastare per giustificare un calo di appeal per questo settore: paghe basse, ritmi di lavoro sostenuti e un ritorno personale apparentemente inesistente. Eppure, lavorare in sala, resta uno dei lavori più belli del mondo: per quel suo alone romantico; perchè ogni giorno risulta diverso rispetto a quello precedente, e puoi conoscere nuove persone. Soprattutto, questo lavoro offre la possibilità di creare momenti indimenticabili nella vita delle persone perché “il cibo è vita, condivisione e amore”.
Analizzando il problema a 360°C, però risulta opportuno interrogarsi anche sul ruolo delle istituzioni che, di fatto, non hanno mai offerto un sostegno reale al comparto: con i contratti l’Italia è ferma agli anni ’70, non sono previste malattie professionali, gli stipendi sono al minimo e, se comparata agli altri settori, la paga base è ridicola. Persino una gratificazione o un benefit che il datore di lavoro intenda dare alle figure più competenti, dovranno comunque essere tassati nuovamente da ambo le parti. Ma, aggiunge Trovato: «La mancanza - per noi stessi soprattutto - è il poco interesse a dialogare con il sistema. Non abbiamo mai dato una scossa reale per far valere i nostri diritti e non generiamo delle soluzioni concrete perché sempre murati nei nostri ristoranti, senza avere il tempo e la possibilità di guardarci intorno per cambiare il sistema...Anche se il sistema si cambia prima a casa propria».
Il ristorante Arnolfo con vista suggestiva su Colle di Val d'Elsa
A partire dalla gestione degli orari o dei giorni di riposo: in altre parole, la sostenibilità lavorativa a cui lo chef dell’Arnolfo lavora con orgoglio ormai da 5 anni.
Gli orari di tutti, infatti, sono monitorati quotidianamente così da poter comprendere al meglio i ritmi del ristorante e controllare il lavoro, l’organizzazione ed eventualmente attivare azioni propedeutiche alla gestione del cliente interno. Una dimostrazione è data dal progetto pilota messo in atto questo inverno per una gestione consapevole degli orari in cucina.
Ulteriori cambiamenti: da 4 anni è stata eliminata la grande chiusura invernale dell'Arnolfo per dare maggiore stabilità al personale fisso e sono state mantenute tutte le figure assunte per la stagione (nonostante il carico di lavoro fosse sensibilmente minore) per impostare una modalità di lavoro studiata sulla turnazione e organizzazione delle varie fasi; le ore giornaliere, invece, sono state portate a 9 con 3 giorni di chiusura settimanale. La conditio sine qua non resta, però circondarsi di personale qualificato e puntare a una minore tassazione: quest’ultima essendo così alta, a tratti proibitiva, rende difficile la larga assunzione in tutte le aziende, specialmente durante le stagioni in cui la necessità di organico aumenta. Ecco quindi che, per mantenere le 9 ore di lavoro al giorno, c’è bisogno di un ampio personale, fattore condiviso da Calogero Milazzo, resposanbile di sala del ristorante a Colle di Val d'Elsa, che ha diminuito drasticamente gli orari dei ragazzi lavorando sull’organizzazione del lavoro giornaliero. Persino le nuove cucine e i nuovi spazi sono stati studiati con il fine di alleggerire e organizzare meglio il lavoro.
Il pass del ristorante Arnolfo
Eppure tutto ciò non basta: esistono degli incentivi “minori” che, in realtà, motivano notevolmente il personale qualificato, incoraggiandolo a restare: in primo luogo, la formazione e quindi, uscite formative per sensibilizzare i ragazzi sui prodotti e far conoscere loro gli artigiani del gusto; un dialogo costante per “monitorare” il grado di soddisfazione rispetto al lavoro e al compenso, agendo - ove necessario - con chi si è distinto per professionalità.
Più in generale, andando all'inquadramento dei dipendenti, al personale viene proposto un Contratto collettivo Nazionale del lavoro in base al livello e alle competenze; vengono poi fissati con tutti i ragazzi, insieme, degli obiettivi a breve termine, già dal momento del loro inserimento, per un periodo che va dai 3 ai 6 mesi. Ma la prospettiva di crescita, nonostante la lunga storia di Arnolfo, e specialmente grazie alla nuova sede, è grandissima, complice la visione secondo la quale non esistono ruoli fissi che non possono cambiare nel tempo. Tutt’altro: la dinamicità è alla base della filosofia del ristorante bistellato toscano. «Non siamo gelosi dei nostri ruoli. Quando vediamo una persona appassionata è nostro piacere spronarla a prendere “il nostro posto” così che anche i responsabili possano affacciarsi su diverse sfumature del nostro lavoro», aggiunge chef Trovato che, dopo 40 anni, riesce a valutare i ragazzi che arrivano al suo ristorante senza far passare troppo tempo. D’altronde, in fase di selezione, non ha particolari pretese: il candidato ideale è una persona corretta, educata e rispettosa dei colleghi, della casa e della materia prima, ma soprattutto una persona che abbia voglia di imparare e offrire il proprio contributo. Senza il bisogno alcuno di portare a galla paragoni tra presente e passato in merito alla qualità del personale, perché ogni generazione è figlia del suo tempo. Né tantomeno occorre invocare i tempi ormai trascorsi del sacrificio dovuto e consacrato alla gavetta. Molto più saggio, invece, sarebbe chiedere proprio ai ragazzi, ma anche ai ristoratori cosa rappresenta per ciascuno di essi questa famigerata gavetta.
La sala ristorante
Pensiamoci: nessuno è disposto a spiegare cosa significa esattamente questa parola; del perché si fa e come mai sia propedeutica a una buona realizzazione. Ora, sono in primis le famiglie a suggerire ai propri figli di starsene a casa, perché preferiscono vederli oziare, piuttosto che “saperli sfruttati” in un ristorante (esperienza di cui lo stesso chef è stato testimone negli ultimi anni). «Torno a sostenere che andrei a lavorare sui genitori e meno sui ragazzi, - chiosa Trovato - questionandoci quale modello comportamentale vogliamo trasmettere. La seconda motivazione fondamentale è che la gavetta si chiama tale perché ad un certo punto deve finire». E invece, data la grande “ignoranza” dilagante del senso di gavetta, questa viene utilizzata per lasciar fare ai nuovi arrivati (e non solo) i lavori che i responsabili/Senior non hanno voglia di fare: uno scarica barile di poco gusto.
Questa realtà, naturalmente, sfugge ai più, e sfugge anche alla rappresentazione della ristorazione in televisione: cooking-show, serie tv, film, la cucina, ormai, domina il piccolo schermo, lo satura e talvolta annoia, ma in fin dei conti non è un fenomeno del tutto negativo, dal momento che tante persone si sono affacciate al mondo della ristorazione proprio grazie a questi programmi. Molte, però hanno anche compreso che la ristorazione non è per tutti, ma solo per coloro che si lasciano guidare dalla loro passione. Il vero problema della tivù è che rende ancora più marcata l’idea di poter ottenere tutto e subito. Perciò, quando i ragazzi non raggiungono obiettivi impossibili in poco tempo, la loro frustrazione aumenta. Dovrebbero, invece, lavorare sulla tenacia e non arrendersi alla prima difficoltà.
Chi invece non dimostra segno di cedimento, ma al contrario impersona una grinta pazzesca, sono le donne, precise e dedite al lavoro; rispettose ed educate. Possiamo affermare con gioia che non esistono più discriminazioni, anzi.
E se prima trovare le donne in cucina era cosa assai rara, ora fortunatamente non è più cosi.
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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Siciliano d'origine, è arrivato in Toscana da bambino. A 14 anni ha cominciato a lavorare nelle cucine, dal 1982 è chef e patron dell'Arnolfo di Colle Val D'Elsa (Siena)
Mezzelune, pollo di Laura Peri, pastinaca e corbezzolo di Gaetano Trovato, chef del ristorante Arnolfo, due stelle Michelin a Colle di Val d'Elsa (Siena)
Sandra Ciciriello è la patronne del ristorante 142 a Milano, in via Colombo 6, oltre a essere una grande maestra di sala, sommelier e acuta selezionatrice di materia prima
Cristiana Romito, sorella dello chef abruzzese Niko Romito, è maître del ristorante Reale, 3 stelle Michelin, e general manager di Casadonna a Castel di Sangro (L’Aquila)
Tutte le foto sono a cura di Andrea Straccini
Dall’Italia è una narrazione in continua evoluzione di tutto il buono che racchiude in lungo e in largo il nostro Belpaese. Una rubrica che ci porta alla scoperta delle migliori trattorie, i ristoranti più esclusivi, osterie, tra le vette più alte o in riva al mare. Delizie che non possono sfuggire alle rotte dei più entusiasti viaggiatori.