«Ho in mente la fotografia dell'8 marzo, ultimo giorno di apertura. Ecco: il 2 giugno, quando si riaccenderanno le luci del nostro ristorante al Mudec, ripartiremo proprio da lì. Dobbiamo tornare a fare bene quello che sappiamo fare, perché abbiamo chiuso mentre davamo il massimo e riapriremo riprendendo a dare il massimo». A spiegarlo è Enrico Bartolini, lo chef più stellato d'Italia, otto macaron in sei ristoranti, brillano innanzitutto i tre della nave ammiraglia, al terzo piano del Museo delle Culture di Milano. Aggiunge: «Abbiamo molto riflettuto prima di fissare la data per la ripresa delle attività. Credo che la nostra scelta sia un messaggio di positività e di ottimismo, poiché torniamo così a offrire un servizio davvero apprezzato in città; ma siamo stati anche molto attenti nel valutare le cose, perché è bene avere un atteggiamento positivo ma bisogna anche fare in modo che la ripresa sia sostenibile economicamente. Nessun salto nel buio».

Il ristorante di Enrico Bartolini al Mudec di Milano
Ci sarà continuità nello stile e nell'approccio, come detto; ma sono previste anche molte novità: «Riteniamo che, dopo tre mesi chiusi in casa, il desiderio degli ospiti possa essere quello di assaggiare cose nuove. Ci siamo confrontati, abbiamo ormai superato la stagione invernale con i suoi ingredienti tipici, siamo nella fase primaverile in cui esplode la natura, disporremo dunque di tutta una serie di prodotti eccezionali; così abbiamo rivisto completamente la carta, e il menu degustazione sarà composto da piatti inediti. Ci siamo concentrati anche più di prima sull'eccellenza italiana, studiando a tappeto il meglio del meglio che la nostra Penisola sa offrire. Molte cose le conoscevamo già, ma devo dire la verità: abbiamo scoperto anche chicche che prima non ci erano note. Quindi sarà davvero divertente valorizzare al massimo la filiera nazionale perché - val la pena sottolinearlo - un ristorante non è solo composto dai cuochi, dai camerieri, dal sommelier, dall'ufficio contabile e così via; ma è un sistema complesso, include tante categorie di lavoratori che si muovono dietro le quinte e sono la base del nostro lavoro».

Ma come è stato possibile elaborare un degustazione completamente nuovo pur non potendo lavorare con la propria brigata? «Per ideare un piatto non occorre trovarsi necessariamente in cucina, capita di avere la giusta intuizione in barca, allo stadio, oppure sotto la doccia. La fase di progettazione è insomma molto cerebrale, poi si tratta di mettere in pratica il progetto, ci si approvvigiona degli ingredienti necessari per ottenere una combinazione ideale, si fanno molte prove generali interagendo intensamente col proprio staff. Diciamo che in questo caso i piatti hanno potuto godere persino di più progettazione del solito!».
Al di là di questi cambiamenti, Bartolini vuole garantire che «l'esperienza del cliente sia del tutto simile a quella di prima. Le prenotazioni sono aperte, abbiamo registrato già un'ottima richiesta che ci ha molto incoraggiato. Ho visto una buona fetta di affezionati che non vedono l'ora di tornare, ci sono stati anche molto vicini in queste settimane e per questo li ringrazio. Poi, però, ho riservazioni di ospiti che non credono siano mai venuti, evidentemente eravamo nei loro pensieri fin da prima della chiusura. Ci fa molto piacere perché il dubbio era lecito: ma Milano è una grande città e io sono ottimista di poter tornare a lavorare anche solo, all'inizio, con una clientela più che altro locale. Vedremo poi come muoverci per riattivare anche gli altri ristoranti in cui siamo presenti: sono in aree molto turistiche, è dunque un aspetto che richiederà ancora un poco di tempo (il Casual di Bergano ha ripreso ieri, primo giugno, con in sala sempre Marco Locatelli e in cucina un nuovo e giovane resident chef, Marco Galtarossa, ndr)».

Post con foto il primo marzo, la città stava per conoscere il dramma: "#milano una città speciale"
Come dovrà muoversi il personale di sala? «Nelle nostre riunioni le raccomandazioni sono tutte rivolte a curare il lato psicologico: bisogna essere in grado di far percepire che il cameriere indossa la mascherina non perché sia un medico che affronta un virus, ma solo per rassicurare gli ospiti. In Asia è pratica comune: penso al servizio per l'
Anatra alla pechinese, quando l'operatore sempre utilizza guanti e mascherine. È una questione di educazione».