22-09-2018
Leonardo Di Vincenzo, romano, 42 anni. Ha fondato Birra del Borgo a Borgorose (Rieti) nel 2005. Nel 2016, la vendita alla multinazionale belga-americana AbInBev
Con il varo dell’Hub di via Romagnosi, si dà seguito a un patto importante tra Identità Golose e Birra del Borgo. Importante per le idee che possono nascere con il birrificio fondato nel 2005 a Borgorose, un comune di 4mila abitanti in provincia di Rieti. Tredici anni nel corso dei quali l’imperativo dell’azienda “Ripensare l’idea classica della birra” ha generato un mare d’idee, un centinaio di stili e un volume di birra passato, nello stesso periodo, da 150 a 30mila ettolitri. Un’ascesa vertiginosa che dobbiamo al fondatore Leonardo Di Vincenzo. L’abbiamo incontrato proprio in via Romagnosi e abbiamo fatto una lunga e piacevole chiacchierata. Com’è nata la sua passione per la birra? Vengo da un mondo non troppo distante: sono laureato in biologia, ho un dottorato in biochimica. Facevo birra in casa a poco più di 20 anni, quando studiavo. Nel 2005 ho abbandonato il ruolo di ricercatore e fatto domanda di finanziamento per l’imprenditoria giovanile. Fu accolta. Ottenni poco più di 70mila euro, partimmo. Sono romano ma decisi di cominciare a Borgorose perché tutto costava meno.
La new wave delle birre artigianali italiane era cominciata da poco. Credo che il primo microbirrificio ad aprire in Italia sia stato quello di Sorrento, nel 1992. Quattro anni dopo, in maniera indipendente l’uno dall’altro, sono nati Birrificio Lambrate a Milano; Birrificio Italiano a Lurago Marinone, Como; Beba a Villar Perosa, Torino e Turbacci a Mentana, Roma.
Leonardo Di Vincenzo con Cristina Bowerman all'Hub di Identità Golose Milano
Reale, la prima e più popolare etichetta di Birra del Borgo
Si può dire che in questi anni avete tutti tracciato una via italiana alla birra? Sì. Noi produttori abbiamo saputo mutuare la grande cultura e sensibilità enologica al prodotto birra. Sono nate le birre alle castagne, un fenomeno tutto italiano, molto in voga nei primi Duemila. Abbiamo valorizzato i nostri cereali, dai grani al riso. Abbiamo cominciato a utilizzare il mosto d’uva, oggi forse alla fonte dello stile più riconosciuto come italiano. Una birra diversa, codificata come Italian Grape Ale dal BJCP, l’ente che decifra e codifica gli stili di tutto il mondo. Qual è il paese che consuma più birra italiana? Gli Stati Uniti. Dobbiamo ringraziare il lavoro pionieristico di importatori lungimiranti, che iniziarono alla fine degli anni Novanta. Un altro mercato importante è quello anglosassone, i più lesti ad accelerare questa new wave. Australia, Cina e Giappone sono altri mercati interessanti. Perché la scelta della partnership con Identità Golose? Quali prospettive vede? La grande cucina deve potersi giovare di grandi birre, non solo le nostre naturalmente. La birra non è semplicemente un’alternativa al vino ma ha una sua grande dignità che va oltre il contentino del foglio della carta delle birre che vediamo in tanti ristoranti, accanto all’enciclopedica carta dei vini. Ci sono dei ristoranti, come Eleven Madison Park a New York, che l’hanno capito: su tanti piatti, l’abbinamento consigliato è proprio una birra. Occorre mettere la stessa attenzione del vino anche nel servizio della birra. C’è un panorama incredibile, è il momento di generare cultura.
GAME, SET, MATCH. La Bomba di Niko Romito ed Etrusca di Birra del Borgo
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose
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classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt