Ora decisive per il S.Pellegrino Young Chef: i venti concorrenti si scontrano per ottenere i tre posti in palio per la finalissima di sabato. Indice di mortalità altissimo, quindi: solo quelli che convinceranno appieno la super-giuria (composta da Gaggan Anand, Elena Arzak, Mauro Colagreco, Carlo Cracco, Wylie Dufresne, David Higgs e Roberta Sudbrack) non dovranno fare le valigie già questa sera, salvo prolungamenti di soggiorno in una Milano che pare oggi piacere moltissimo, se ne parlava a bordo del palco con la collega greca Maria Vassilopoulou, inviata da Gastronomos al seguito dai finalisti di origine ellenica (sono due, Nicolaos Billis per il Mediterraneo e George Kataras per le isole britanniche: coi tre italiani, sono la testimonianza tangibile della forza della cucina mediterranea). I nomi dei prescelti saranno resi noti solo oggi pomeriggio.
Poche ore fa, la prima giornata di eliminatorie, con i nostri riflettori puntati soprattutto sui primi due italiani in gara, Alessandro Salvatore Rapisarda per la Penisola e il bolognese Matteo Zonarelli, che si è però aggiudicato la maglia di portacolori per il Northeast Asia (lavora a Macao per uno dei ristoranti di Umberto Bombana, leggi qui).

La giuria internazionale. Al centro, Carlo Cracco
Ci scusi il secondo, ma innanzitutto ci occupiamo del primo. Suo mentore è
Davide Oldani, che così ci ha riassunto i “segreti” per mandare
Rapisarda in finale, incrociando ovviamente le dita (ma i pronostici sono positivi).
1) «Doveva seguire la sua idea, e non la mia, e così ha fatto. Io sono solo, come dire, un cuscino, un ammortizzatore per confermare e al limite migliorare l’idea di Alessandro. Prima regola: se arrivi qui in finale, devi esprimere la tua personalità: il mentore può fare solo da supporto».
2) «Credo che nel piatto di Alessandro non ci sia solo tecnica, ma anche strategia». In che senso? «E’ un piatto (lo abbiamo raccontato qui) che “arriva” già alla prima forchettata, o cucchiaiata. Altri hanno bisogno di più assaggi, nel nostro caso invece è giudicabile subito, senza costringere la giuria a ulteriori stress, a uno sforzo aggiuntivo per comprenderne le complessità. E’ buono ed elegante immediatamente, poi invita a ulteriori assaggi ma, come dire… Solo di piacevolezza. Altri piatti in gara sono molto belli (non più di quello dell’italiano, ndr), ma richiedono maggiore impegno. Solo noi abbiamo curato un aspetto che secondo me è importante in un contesto come questo: la rapidità nella degustazione. I giudici possono farsene un’idea subito». Un’idea positiva.
3) «Io sono “vecchio” e
Rapisarda è giovane. Abbiamo trovato un perfetto equilibrio, è anche un caso fortunato perché è capitato per buona sorte:
Alessandro sposa appieno la mia idea sull’equilibrio dei contrasti. Dunque non solo giovane e vecchio, ma caldo e freddo, sapido e dolce, vellutato e consistente. Lo abbiamo anche spiegato alla giuria: il passaggio fondamentale è la cottura del riso secondo l’uso del Nord Italia, dunque molto al dente. Perfetta la scelta di un riso particolare, il Rosa Marchetti, che tiene perfettamente la cottura: può sembrare crudo a un giudice che non conosca la nostra tradizione, ma in realtà va servito così, le sue molecole sono perfettamente digeribili. Il riso nutre miliardi di persone al mondo, ma il metodo del risotto “giusto” è solo nostro».
4) «Ho approvato (perché lo faccio anche al D’O) il fatto che Alessandro copra il riso con un velo di gelatina verde: questo gli consente di disegnarci sopra e di proporre quindi il pesce crudo che viene perfettamente preservato. Una grande idea, ancora una volta all’insegna dell’equilibrio dei contrasti».
5) «Rapisarda è preparato tecnicamente, si è esercitato bene sulla pulizia e sul gusto. E’ molto concentrato. Abbiamo avuto cinque incontri per mettere a punto il piatto, che presenta come elementi decisivi il mare e la vegetalità, ossia gli elementi forti della cucina del futuro».
Parole in qualche modo profetiche, perché poco dopo – alla presentazione del piatto davanti alla giuria – superiore a quella di tutti gli altri e stata l’attenzione dei “magnifici sette”. Elena Arzak (leggi qui) si è dimostrata molto positivamente incuriosita dalla salsa di moscioli di Portonovo, Gaggan Anand (leggi qui) dall’uso delle spezie e non solo («Ma hai usato ricci di mare?». «No, ma i moscioli richiamano quel sapore»), tutti dalla componente vegetale, che Rapisarda così ha spiegato: «Ho lavorato per sette mesi con Enrico Crippa al Piazza Duomo. Lì ho appreso l’utilizzo delle erbe».

Matteo Zoneralli (italiano, ma gareggia per il Northeast Asia) con il suo mentore, Jacques Raymond
Note a margine. Ha sorpreso molto positivamente il piatto di
Zonarelli, molto basico in foto ma figlio di un’essenzialità assai moderna. Aveva poco supporto, ma ci sa fare: di lui, come dire, saremo costretti a parlare di nuovo, in futuro. Ne discutavamo proprio con il terzo italiano in finale, il bravo
Andrea Miacola (
leggi qui), alfiere per il Benelux: «E’ sulla linea di
Niko Romito», ossia poca forma ma grande contenuto, commento che riportiamo volentieri perché avevamo pensato la stessa cosa, pochi minuti prima.
Oggi secondo giorno di pre-finalissima con impegnato lo stesso Miacola, in bocca al lupo. Un po’ di pronostici? Rapisarda («Sono in paranoia totale, non so se i giudici, a parte Cracco, capiscono la nostra cultura del risotto. Io lo faccio “giusto”», ci confessa quando gli parliamo: ma doveva ancora presentare il piatto, ed è andata benissimo) dice che è forte la svizzera Anne-Sophie Taurines e il sino-transalpino Shintaro Awa, che è in gara oggi («presenta un piatto bello. E poi il suo volto concentrato mi incute timore»). Oldani teme invece "l’indiano", ossia Tarun Bhatia, che anche colleghe attente come Camilla Rocca e Roberta Abate mi indicano come tra i favoriti. Il bello è che già domani i pronostici lasceranno spazio ai festeggiamenti.