12-10-2020

Davide Groppi, Moreno Cedroni, Claudio Ceroni: serve una luce giusta per la ristorazione del futuro

Spunti dal talk di Elle Decor a Identità Golose Milano, tema design&cibo. «Una volta molti vietavano di fotografare i piatti. Facevano bene, luce pessima dava foto orribili». Ora invece...

Moreno Cedroni, Davide Groppi e Claudio Ceroni: a

Moreno Cedroni, Davide Groppi e Claudio Ceroni: a loro è andata la parola nel corso del quarto e ultimo talk Fab Food Conversations, ciclo organizzato in occasione della Milano Design City da Elle Decor insieme a Identità Golose Milano e Comune di Milano, per sviluppare la cultura del design in relazione al mondo del food

La luce nel piatto, come ingrediente sulle tavole dei ristoranti di fine dining. Ne avevamo già parlato qui qualche tempo fa, raccontando la genialità del designer Davide Groppi, che ha rivoluzionato negli scorsi anni il modo di intendere l'illuminazione nelle insegne più prestigiose della cucina italiana (e non solo). L'argomento è tornato protagonista durante il quarto e ultimo talk Fab Food Conversations, ciclo organizzato in occasione della Milano Design City da Elle Decor insieme a Identità Golose Milano e Comune di Milano, per sviluppare la cultura del design in relazione al mondo del food. Sede di tutti gli appuntamenti, lo stesso hub internazionale della gastronomia di via Romagnosi 3, nel capoluogo lombardo.

E a parlare di "La ricetta della luce" - questo il tema dell'incontro - chi poteva essere se non lo stesso Davide Groppi? Con lui per l'occasione anche Claudio Ceroni, fondatore di Identità Golose, e Moreno Cedroni, chef de La Madonnina del Pescatore di Senigallia (Ancona). Ha spiegato il designer piacentino, in apertura: «Lo studio sulla luce nei ristoranti per me è iniziato una decina d'anni fa, casualmente». Nel 2010 ebbe l'incarico di illuminare Le Calandre, il tre stelle di Massimiliano e Raffaele Alajmo. «Da lì non ho più smesso, è partito una specie di passaparola», snodo decisivo anche l'esperienza nei due ristoranti di Cedroni.

La lampada a sospensione Ovonelpiatto, ossia il primo approccio di Groppi alla luce nella ristorazione, a Le Calandre, nel 2010. Il disegno è degli stessi Massimiliano e Raffaele Alajmo

La lampada a sospensione Ovonelpiatto, ossia il primo approccio di Groppi alla luce nella ristorazione, a Le Calandre, nel 2010. Il disegno è degli stessi Massimiliano e Raffaele Alajmo

«Fare luce non è una scienza esatta, esiste una luce "per vedere" e una "per sentire". La prima risulta strettamente funzionale allo scopo, ossia rischiarare dove c'è buio, stop; invece la luce "per sentire" ha una componente legata ai sensi ed è più ricca di significati. È ciò che mi interessa. Oggi noto una certa tendenza tra i grandi chef di portare l'attenzione sulla sala; ossia di considerare il proprio locale non solo come un luogo di cucina, dove ci si va a nutrire, ma dove vivere un'esperienza, come fosse una galleria d'arte. Quello che ho cercato e cerco di fare è dunque considerare la sala come una specie di punto di partenza della cucina; ovverosia, in altre parole, indurre lo chef a iniziare a "cucinare" già dalla sala, attraverso la luce. La sfida è stata quella di applicare questo concetto in modo diverso, da luogo a luogo; il paradigma è partito dall'idea di riprodurre un certo tipo di luce che è quella dei quadri del Caravaggio; lui raffigurava - da visionario qual era - una luce che ai suoi tempi neanche esisteva».

La Cena in Emmaus nella National Gallery a Londra, quadro del Caravaggio il cui gioco di luci ha molto ispirato Groppi nel suo lavoro

La Cena in Emmaus nella National Gallery a Londra, quadro del Caravaggio il cui gioco di luci ha molto ispirato Groppi nel suo lavoro

Ribadisce, Groppi, che il luogo dove ha sperimentato questa sua ricerca sulla luce nei ristorante - nella sua componente diretta, indiretta e diffusa - è stato Senigallia, chez Cedroni. Come accadde?

Passo indietro. Dialogo tra Moreno Cedroni e sua moglie Mariella Organi, deliziosa donna di sala. Lui: «Chiamiamo Davide Groppi?» E lei: «Figurati se viene qui a lavorare da noi!». Invece sarebbe venuto. Qualche mese prima di questo scambio di battute, il 31 novembre 2012, una mareggiata aveva distrutto Il Clandestino. L'architetto cui erano stati affidati i lavori per rimettere in sesto la struttura aveva mal considerato la questione dell'illuminazione. Dunque, serviva porre rimedio, possibilmente senza tornare a spaccare muri e creare nuove tracce. Come fare? Magari si poteva chiamare Groppi... Ma avrebbe accettato l'incarico? E trovato una soluzione?

Groppi in realtà la soluzione l'aveva già in casa: «In quel periodo avevo ideato una lampada senza fili in partnership con Christofle». Si trattava di una lampada argentata, che doveva essere esposta al centro di un vassoio, «i transalpini non ne capirono appieno la potenzialità, la vendevano a un prezzo mostruoso e poi la concepivano come pezzo da vetrina, mentre per me andava utilizzata, fatta vivere». La chiamata di Cedroni capitò a fagiolo: quella lampada - non più color argento, ma bianca - rappresentava la soluzione ideale per Il Clandestino. Così nacque la celeberrima TeTaTeT, che oggi troviamo in tanti ristoranti e vanta altrettanti tentativi d'imitazione.

La TeTaTeT (2013) di Davide Groppi, una lampada che ha rivoluzionato il concetto di luce nei ristoranti. «Una lampada portatile per trasformare ogni tavolo in un luogo d’incontro e d’amore e considerare finalmente la luce come un ingrediente fondamentale della vita. È la luce più bella del mondo. Quella che rende tutto più vero e profondo. Quella che ci fa sentire unici intorno ad un tavolo»

La TeTaTeT (di Davide Groppi, una lampada che ha rivoluzionato il concetto di luce nei ristoranti. «Una lampada portatile per trasformare ogni tavolo in un luogo d’incontro e d’amore e considerare finalmente la luce come un ingrediente fondamentale della vita. È la luce più bella del mondo. Quella che rende tutto più vero e profondo. Quella che ci fa sentire unici intorno ad un tavolo»

Anche il concetto di luce come ingrediente si sviluppa con vista sulla baia di Portonovo. Groppi: «Pensammo di accogliere il cliente de Il Clandestino con le luci di semplici lampadine alle pareti, appena appena dimerate. Qualcosa di deludente, molto deludente, mentre tutt'attorno scende il tramonto, siamo durante quella che in fotografia è chiamata "ora blu", lo sguardo va al panorama attraverso le grandi vetrate». Poi, al momento di iniziare la cena, quale prima pietanza viene servita? La luce, ossia la TeTaTeT portata in quel momento al tavolo. «Questa cosa è bellissima, secondo me. Sono grato a Cedroni di avermi permesso di "sperimentare" le mie innovazioni nei suoi ristoranti», per primo Il Clandestino come abbiamo visto, ma poi anche l'ammiraglia, La Madonnina del Pescatore.

A Il Clandestino si viene accolti dalla lampada Edivad, «una luce semplice, lampadine alle pareti, appena appena dimerate. Qualcosa di deludente, molto deludente, mentre tutt'attorno scende il tramonto, siamo durante quella che in fotografia è chiamata "ora blu", lo sguardo va al panorama attraverso le grandi vetrate»...

A Il Clandestino si viene accolti dalla lampada Edivad, «una luce semplice, lampadine alle pareti, appena appena dimerate. Qualcosa di deludente, molto deludente, mentre tutt'attorno scende il tramonto, siamo durante quella che in fotografia è chiamata "ora blu", lo sguardo va al panorama attraverso le grandi vetrate»...

...ma poi, come prima portata della cena, arriva al tavolo la TeTaTeT

...ma poi, come prima portata della cena, arriva al tavolo la TeTaTeT

Il Clandestino visto da fuori

Il Clandestino visto da fuori

Spiega allora lo chef: «Una volta molti ristoratori vietavano ai clienti di scattare foto dei piatti. Avevano ragione, perché pessime luci producevano pessime foto, diventava una pubblicità negativa. Ora invece tutti curiamo molto tali aspetti, voglio dire non solo l'illuminazione ma anche l'estetica delle preparazioni, che serviamo in stoviglie migliori». La crescita de La Madonnina è stata anche un'ascensio ab inferis dalla cattiva illuminazione iniziale: «Partimmo nel 1984 con le luci al neon, passammo nel 1990 alle alogene e al 2001 facemmo un importante investimento per avere le fibre ottiche, che sono andate via via a perdere intensità. Così con Davide abbiamo studiato una serie di interventi progressivi», inizialmente - la parola passa a Groppi - «quella che io chiamo la "luce mamma", ossia una luce diffusa attraverso la mia lampada Moon, molto bella vista da fuori. Poi anche qui è arrivata la TeTaTeT sui tavoli». Cedroni è soddisfatto: «Spesso dico ai miei clienti: "Quanto siete belli, con questa luce!". Mi accorgo solo ora di dover cambiare frase, perché così sembro quasi suggerire che, senza Groppi, loro sarebbero brutti».

La lampada Moon (2005) che colpisce lo sguardo di chi sbircia dalle vetrate la sala de La Madonnina del Pescatore...

La lampada Moon (2005) che colpisce lo sguardo di chi sbircia dalle vetrate la sala de La Madonnina del Pescatore...

...dove ai tavoli c'è, immancabile, la TeTaTeT

...dove ai tavoli c'è, immancabile, la TeTaTeT

Uno degli ultimi progetti d'illuminazione nei ristoranti firmato da Groppi è stato quello a Identità Golose Milano, «avevo già studiato le luci di Identità Expo, nel 2015, poi è maturata l'opportunità di fare insieme anche questa altra esperienza, della quale sono felice».

L'intervento di Ceroni

L'intervento di Ceroni

La parola quindi passa a Claudio Ceroni: «Premetto di essere particolarmente legato a questo tema: un "posto" con le luci sbagliate perde completamente di fascino; a maggior ragione se quel "posto" è un locale destinato a ospitare convivialità e cibo d'autore». Così, grande attenzione a questo aspetto; una cosa non tanto diffusa nel nostro Paese «mentre, soprattutto nei Paesi anglosassoni, c'è l'abitudine di lunga data, quando si progetta un ristorante, di affiancare il team con un ingegnere del suono, un tecnico delle luci e un esperto di areazione. Forse là accade da anni perché sono sempre stati abituati all'idea di poter creare un format da replicare in altri locali, anche quando si tratta di cucina di qualità, non solo di fast food. fatto sta che col tempo questa cultura della progettazione nei ristoranti si è diffusa più o meno ovunque, mentre da noi stenta ancora oggi. Qui manca una collaborazione stretta tra architetto e designer, a volte addirittura c'è tra loro una sorta di competizione sul piano della creatività, smarriscono così il senso di un risultato finale da raggiungere. Credo in Italia cinque ristoranti su dieci ancora oggi sbaglino luci, insonorizzazione e areazione, per non parlare degli errori in fase di progettazione della cucina: quante volte un patron senza esperienza e un architetto che non ha mai disegnato un ristorante consegnano allo chef, magari di fama, una cucina piena di errori, magari irrimediabili!».

Il progetto di illuminazione di Groppi nella sala ristorante di Identità Golose Milano...

Il progetto di illuminazione di Groppi nella sala ristorante di Identità Golose Milano...

...e qui sempre Groppi nella sala ovale di Identità Golose Milano, quella dedicata agli eventi. Spiccano le lampade Sampei

...e qui sempre Groppi nella sala ovale di Identità Golose Milano, quella dedicata agli eventi. Spiccano le lampade Sampei

Identità Golose Milano non poteva incorrere nelle stesse valutazioni sbagliate, «intanto perché qui, prima di noi, c'era la Fondazione Feltrinelli, quindi avevano un obbligo di dignità e cultura nella progettazione. Poi, perché bisognava far cadere un tabù: spesso ristorante rustico e tradizionale è sinonimo di calore, quello di fine dining e contemporaneo, invece, di freddezza. Volevamo sfatare questo luogo comune, quindi ereditare la storia di chi ci aveva preceduto qui ma rendere il luogo moderno». Una struttura dove si potesse stare bene, non solo à la page. «Sfido chiunque venga qui di sera a trovare un ambiente freddo. Il personale è ormai addestrato anche a regolare le luci in base alle esigenze della giornata, non è più "accendo/spengo" come una volta».


Identità Golose Milano

Racconti, storie e immagini dal primo Hub Internazionale della Gastronomia, in via Romagnosi 3 a Milano

Carlo Passera

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Carlo Passera

classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it e curatore della Guida di Identità Golose alle Pizzerie e Cocktail Bar d'autore. Instagram: carlopassera

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