08-11-2025

Franco Pepe è tornato a raccontarsi a Identità Golose Milano

Il maestro di Caiazzo ha arricchito con le sue pizze una serata speciale del ciclo Visioni d'Autore, in collaborazione con Molino Casillo - Altograno. E ci ha parlato del suo nuovissimo libro "Franco Pepe: Pizza Chef"

Franco Pepe al pass di Identità Golose Milano, al

Franco Pepe al pass di Identità Golose Milano, al suo fianco Edoardo Traverso, con le nostre brigate di sala e cucina

Una serata di grande successo ha accolto nuovamente Franco PepeIdentità Golose Milano, confermando ancora una volta quel legame speciale che unisce il maestro pizzaiolo di Caiazzo all'hub milanese della gastronomia. Un'amicizia profonda, nata anni fa sui palchi del congresso di Identità Milano, quando l'idea di mettere insieme pizzaioli e grandi chef sembrava rivoluzionaria - qualcosa che grazie alle intuizioni di Paolo MarchiIdentità Golose può orgogliosamente rivendicare di aver iniziato a fare per prima.

La serata, parte del ciclo di cene Visioni d'Autore realizzate in collaborazione con  Molino Casillo - Altograno, ha visto anche il contributo dell'executive chef di Identità Golose Milano, Edoardo Traverso, che ha aperto il menu con la sua Pappa al Pomodoro, un piatto che trova spesso spazio nelle sue proposte. Per l'occasione, Traverso ha utilizzato la farina Altograno, prodotto innovativo di Molino Casillo che, attraverso un processo brevettato chiamato Lavorazione Circolare, mantiene la ricchezza nutrizionale del cuore del grano stabilizzandone le componenti più preziose - un terzo luogo tra la farina bianca e l'integrale, con il 50% di proteine in più e il 30% di glutine in meno rispetto a una farina integrale tradizionale.

La Pappa al pomodoro di Edoardo Traverso

La Pappa al pomodoro di Edoardo Traverso

Il menu della serata: un viaggio tra mare e terra

La cena, dopo la Pappa al Pomodoro di Traverso, è proseguita lasciando il palcoscenico all'arte della pizza di Franco Pepe, che ha proposto un percorso in cinque tappe tra i suoi tranci, al forno e fritti, accompagnati dai cocktail creati per l'occasione da Abi El Attaoui, barman di Ceresio7, che ha ideato due drink a base di Presobene Gin. Per El Attaoui è stato «un grandissimo piacere e onore accostare dei cocktail alle creazioni di un maestro come Franco Pepe, creando abbinamenti con un filo conduttore preciso: proporre cocktail gentili ed equilibrati, che sapessero dialogare con i piatti senza snaturarli, giocando sia per estensione che per contrasto, a seconda delle preparazioni».

Dal mare alla terra, dai sapori più delicati a quelli più intensi, fino al dolce finale, ogni pizza ha raccontato una storia, un territorio, una tecnica. La Spazio Mare con gambero viola e stracciata di bufala, la Marterra con baccalà mantecato e ceci delle colline caiatine, la Vulcanica con la sua tecnica per la mozzarella di bufala sfilacciata a mano, i Profumi del Matese con i suoi funghi porcini e il formaggio locale, fino al Contorrone dolce con crema pasticcera al liquore Strega. 

Nella galleria di foto che chiude questo articolo, troverete tutte le portate proposte da Franco Pepe, raccontate dalle sue stesse parole, e i cocktail creati da El Attaoui.

Questa cena speciale è stata anche un'occasione per raccontare il libro del pizzaiolo di Caiazzo, quel Franco Pepe: Pizza Chef di cui abbiamo scritto qui qualche giorno fa. Il libro, pubblicato da Phaidon (in Italia da L'ippocampo), sarà presentato ufficialmente tra pochi giorni alla Reggia di Caserta: è un'opera curata in ogni dettaglio, che non nasce dall'impasto di acqua e farina, ma dalle storie, dalle ricette e dagli incontri che hanno segnato il percorso straordinario di un uomo che, partendo da una storia familiare di tre generazioni, è diventato una star internazionale della pizza.

Franco Pepe: Pizza Chef, scritto da Pepe con Elisia Menduni, fotografie di Adam Bricker e Brian McGinn, in Italia è edito da L'ippocampo, per acquistarlo clicca qui

Franco Pepe: Pizza Chef, scritto da Pepe con Elisia Menduni, fotografie di Adam Bricker e Brian McGinn, in Italia è edito da L'ippocampoper acquistarlo clicca qui

Un libro come dono alle nuove generazioni

«È un percorso iniziato con Phaidon nel 2017», racconta Pepe. «Non mi sentivo pronto allora per fare un libro perché ero molto impegnato e volevo aspettare ancora un po' di tempo per potermi raccontare. Per me fare un libro era importante, ma doveva essere fatto bene. Questo libro è un dono alle generazioni future, ai ragazzi che mi seguono, che hanno questa aspirazione di fare un percorso con la pizza. Lo dedico soprattutto ai miei figli che l'hanno realizzato. Le pizze che sono nel libro le ha realizzate Stefano, e mia figlia Francesca ha seguito tutta l'organizzazione e ha coordinato tutti i lavori».

La collaborazione con Elisia Menduni, scelta da Phaidon come coautrice, ha radici profonde: «È stata una delle prime che mi ha intervistato. Venne nella pizzeria di mio padre con Stefano Bonilli ed è stata una delle prime interviste in cui ho percepito un po' di tensione addosso, perché capivo che era una persona molto competente, capivo che c'era qualcosa in più in lei».

Il lavoro di realizzazione del libro ha coinvolto anche, come fotografi, Brian McGinn e Adam Bricker, che hanno realizzato (tra le tante da loro firmate) la puntata di Chef's Table su Netflix dedicata a Pepe. Un processo non immediato, con un fotografo a Los Angeles e la necessità di coordinare ogni dettaglio a distanza, persino i mosaici su cui sono posate le pizze, realizzati a mano a Caiazzo: «Non puoi capire, Adam e Brian mi chiamavano da Los Angeles dicendo "sposta quei pezzettini, usane altri di colore scuro". Abbiamo smontato e rimontato i mosaici più volte: un lavoro artigianale come la pizza».

«Ho capito che era arrivato il momento giusto», continua Pepe. «Mi sento pronto a parlare di quello che ho fatto e ringrazio il Signore di tutto ciò che è accaduto, perché quando ho aperto Pepe in Grani non mi aspettavo nulla di tutto questo. C'è stato, soprattutto due anni fa, un momento di grande riflessione. Negli ultimi vent'anni c'è stata una grandissima evoluzione nel mondo della pizza, ma oggi credo che dovremmo fermarci a riflettere su quale sarà il futuro di questo movimento».

È una responsabilità che Pepe sente profondamente: «So di aver contribuito, insieme ad altri, a guidare questa evoluzione della pizza. Adesso mi devo fermare e devo dire la mia, perché quello che voglio raccontare lo voglio consegnare alle nuove generazioni».

Franco Pepe e il suo impasto: è una delle foto che troviamo nel libro

Franco Pepe e il suo impasto: è una delle foto che troviamo nel libro

L'identità sannita e il territorio

Un capitolo fondamentale del libro è dedicato al territorio, a quella che Elisia Menduni definisce un'altra Campania, caratterizzata da un'identità sannita forte e distintiva. «C'è un carattere sannita dentro di me», conferma Pepe. «Caiazzo prima non era provincia di Caserta, ma di Benevento. Non è da dimenticare che anche Garibaldi da noi prese le botte, poi le Forche Caudine... Siamo un popolo molto attaccato al territorio e lo tuteliamo in modo veramente energico».

Il 2012 è stato l'anno della svolta, quando Pepe ha aperto Pepe in Grani con una visione precisa: «Il territorio aveva un'etichetta che non gli apparteneva, cioè l'Alto Casertano. Negli anni che ho lavorato con papà sono venuto a conoscenza di tutte quelle realtà che lavoravano le materie prime sul territorio. Vedevamo questa etichetta di provincia di Caserta, la terra dei fuochi, ma io conoscevo i prodotti dei contadini - non era possibile. Il mio progetto doveva essere basato su quell'impasto, e con quell'impasto dovevo veicolare il mio territorio. Per me Pepe in Grani non è stato aprire una pizzeria, ma un progetto sula mia terra».

Un progetto che ha trasformato l'economia locale: «Quando ho creato il team, ho cercato anche un appoggio scientifico che ho messo a supporto dei contadini, che si sono trasformati in aziende agricole. Prima i contadini portavano spontaneamente quel pomodoro riccio che uso nella Margherita Sbagliata, poi sono stati incitati, oltre alla coltivazione, anche alla trasformazione e alla vendita del prodotto. Se andavi in un supermercato, una bottiglia di quel pomodoro la pagavi due euro, due e mezzo. Oggi, io che prendo quasi tutta la produzione, 660 ml mi costa 5,50 euro: è diventato oro del territorio, come la cipolla di Alife che trasformiamo in una crema per un'altra mia pizza».

I numeri di oggi testimoniano il successo di questa visione: «Ho iniziato con sette ragazzi nel 2012. Oggi ho 54 persone che lavorano per noi. Raccogliamo 12.000 clienti al mese, lavoriamo circa 24-25.000 pizze al mese. L'animo sannita ha fatto sì che non mi sono prestato ad arrivare a Milano, Roma o Napoli portando solo il nome, come in tanti mi hanno chiesto di fare. Quando voglio portare la mia pizza a Milano, io so dove devo venire: a Identità Golose, dove mi sento a casa».

Momenti del briefing con le brigate, prima del servizio

Momenti del briefing con le brigate, prima del servizio

Ridare dignità al mestiere di pizzaiolo

La storia familiare, raccontata nel libro attraverso tre generazioni, è anche la storia di una trasformazione profonda: «Non mi immaginavo tutto ciò che è accaduto, però avevo bene in mente di ridare dignità a questo mestiere», spiega Pepe. «Quando lavoravo con mio padre, ho passato quei momenti che ho raccontato a Chef's Table: speravo di farmi male alle mani perché il giorno dopo non volevo tornare al lavoro. Tutto era concentrato sulla figura del pizzaiolo: negli anni '60, '70, '80... la pizzeria era tutta concentrata in una persona, il pizzaiolo. Per quello si chiamavano "da Mario", "da Michele" e tutto confluiva in quell'unica figura: responsabilità, lavoro, tutto. Quando all'improvviso mio papà è morto, abbiamo continuato a gestire la sua pizzeria. Io stavo dietro al banco, ma mi mettevo i tappi nelle orecchie, ero circondato da tutti quei foglietti, non volevo ascoltare nulla».

La soluzione è stata creare un sistema completamente nuovo: «Oggi ho creato un team. La figura fisica è scomposta: esiste il team di cucina, che è cucina applicata alla pizzeria, poi ci sono i fornai, gli impastatori, che sono 13 o 14, scelti tra i più bravi. L'idea era di trasferire l'identità della pizzeria dalla figura fisica del pizzaiolo al piatto. Oggi io sono qui a Milano, ma questa sera ci sono 400 persone che stanno andando da Pepe in Grani, dove ci sono i miei ragazzi e la mia identità sta nel piatto. Il cliente non deve cercare la mia figura fisica, ma deve gustare la mia creatività».

Un cambiamento che ha migliorato anche la qualità della vita dei suoi collaboratori: «I ragazzi lavorano circa 800-1000 pizze a sera, ma a mezzanotte sorridono, non sono stanchi dal lavoro e possono riprendere la giornata successiva con lo stesso orario. Questo per me era importante: ridare dignità al lavoro del pizzaiolo equilibrandolo nel modo giusto».

Il ruolo di Faith Willinger e Identità Golose

Un capitolo speciale del libro è dedicato a Faith Willinger, la grande giornalista gastronomica americana che per prima ha riconosciuto il talento di Pepe, e che firma anche una delle introduzioni del volume. Il loro primo incontro avvenne proprio a Identità Golose: «Assaggiò il mio Calzone di Scarola. Era il primo o il secondo anno che venivo a Identità, presentato da Luciana Squadrilli. Io neanche lo sapevo che Faith era lì. Venne da me a Caiazzo e non posso dimenticare che quella sera mi fece chiamare. Disse: "Io adesso dovrei solo bestemmiare", e io ero stupefatto. Lei continuava: "Adesso dove vado a mangiare la pizza? Ho fatto 500 chilometri per arrivare qua. Come faccio a Firenze a mangiare ancora una pizza dopo la tua?". Questo è stato l'inizio dell'amicizia con Faith, una grandissima persona, una grande professionista».

Ma il ruolo di Identità Golose va ben oltre: «Il percorso di Identità, l'ho sempre detto, è stato il mio completamento alla formazione, cioè essere messo a contatto con gli chef. Con Paolo Marchi ci siamo conosciuti all'Open Colonna a Roma, quando Antonello Colonna apriva le porte della sua cucina. Identità ha dato un grande impulso all'evoluzione del mondo pizza. Il pizzaiolo nel corso della tradizione è stato sempre formato solo sull'impasto, ma la pizza non è solo impasto. A volte quando arrivano dei ragazzi che vogliono lavorare da me e vengono dalla tradizione della pizza napoletana, se la cavano con la prova al banco e al forno, ma quando li metto nella cucina della pizzeria, qualcuno rimane, qualcuno scappa, perché sono ancora legati a una vecchia concezione di questo lavoro».

«Il lavoro che ha fatto Identità», conclude Pepe, «è stato di farci dialogare con i grandi chef, far capire che il topping, la materia prima, si deve prima saper scegliere, poi saperla manipolare e rimettere nel piatto nel modo giusto. Il nostro piatto è il nostro impasto. Oggi chi forma i pizzaioli? Nessuno. Noi abbiamo avuto questa opportunità attraverso Identità, in tutti questi molti anni, di stare a contatto con l'alta cucina e io, tra virgolette, ho rubato nelle cucine degli chef delle idee per riportarle poi sulla mia pizza».


Le pizze e i cocktail della serata

SPAZIO MARE

«Un impasto fritto con stracciata di bufala campana DOP, su cui vado a posizionare una polvere di limone disidratato. Poi il gambero viola di Mazara del Vallo, misticanza fresca, gel di lime e zest di lime. Un dialogo tra mare e terra che esalta la dolcezza del gambero con la cremosità della bufala».

MARTERRA

«È il connubio tra mare e terra: baccalà e ceci. Una crema di ceci delle colline caiatine dove sopra posiziono del pane tostato con prezzemolo e olio - il pane tostato è lo stesso impasto della pizza che noi panifichiamo. Poi il baccalà mantecato con latte, che diventa morbidissimo, con germogli di aglio nero, zest di lime e un pizzico di pepe».

VULCANICA

«Entra nel forno solo con paté di olive caiazzane al 60%. Dopo la cottura, aggiungo il pomodoro lungo dell'agro sarnese già cotto. Questa è la pizza dove ho cercato di dare un messaggio su come utilizzare la mozzarella di bufala fresca: invece di tagliarla, perdendo tutto il suo latte, prendo la treccia e la sfilaccio con le mani - non perde una goccia. La posiziono sul caldo del pomodoro e della pizza, poi capperi disidratati sbriciolati e foglioline di origano fresco».

PROFUMI DEL MATESE

«Fiordilatte, un formaggio del Matese fantastico, funghi porcini del Matese. Quando esce dal forno aggiungo pomodorini confit. Tutto parla del nostro territorio: questo origano fantastico del Matese che aggiungo alla fine dona profumi incredibili. È la celebrazione della montagna campana».

CONTORRONE

«Ho trasformato il classico cono in un trancio di pizza fritta dolce. C'è una crema pasticcera aromatizzata con il liquore Strega, nocciole tostate, pezzetti di torrone artigianale, cioccolato venezuelano al 70% e zest di mandarino. La tradizione dolciaria campana reinterpretata».

HINOKI

«Hinoki è un nostro classico signature con Presobene Gin, shiso, foglie di lime kaffir e yuzu, che conferiscono una nota marina e rinfrescante - un'estensione perfetta per la pizza con gambero viola e stracciata, dove la dolcezza e la cremosità vengono bilanciate dalla tonica mediterranea che pulisce il palato dopo la pizza fritta».

NEMORIS

«Per la Vulcanica, con i suoi capperi, pomodorino e olive nere caiazzane, ho dovuto giocare per contrasto. Serviva dare una nota più fresca per alleggerire il palato: mela verde e aneto portano acidità e freschezza, mentre il vermouth all'oliva crea un ponte con il piatto, legandosi perfettamente alle olive della pizza».


Identità Golose Milano

Racconti, storie e immagini dal primo Hub Internazionale della Gastronomia, in via Romagnosi 3 a Milano

Niccolò Vecchia

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Niccolò Vecchia

Giornalista milanese. A 8 anni gli hanno regalato un disco di Springsteen e non si è più ripreso. Musica e gastronomia sono le sue passioni. Fa parte della redazione di Identità Golose dal 2014, dal 1997 è voce di Radio Popolare 
Instagram: @NiccoloVecchia

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