28-12-2022

I vini migliori per queste feste: 12 consigli dai nostri esperti

Per chi è appassionato di vino come noi di Identità Golose, una buona bottiglia è sempre un regalo molto apprezzato. Berla insieme, è ancora meglio. È molto importante: la condivisione fa sembrare qualsiasi piatto o vino ancora più buono

Per qualche giorno ci possiamo allontanare dai pen

Per qualche giorno ci possiamo allontanare dai pensieri quotidiani, per scaldarci in un momento di pausa e di affetti, senza per forza fare l’analisi sensoriale di quello che abbiamo nel bicchiere. Usiamo la nostra arma migliore: il sorriso

Sara Vezza, il Vermouth con il gusto dei ricordi

Siamo a Monforte d’Alba quartier generale di Sara Vezza, giovane produttrice, figlia d’arte ma con una visione identitaria precisa che, anno dopo anno, l’ha portata al successo con progetti originali. L’ultimo nato è proprio un Vermouth con uno studio di qualche anno per cercare gli ingredienti migliori per produrne uno poco convenzionale, rigorosamente a base Nebbiolo, studiato in collaborazione con la Distilleria Magnoberta e The Spiritual Machine. «Questa storia inizia 30 anni fa. Ero una bambina che trascorreva l’estate in campagna dalla nonna materna, una maestra d’altri tempi, al Podio, una piccola frazione della pianura tra Bene Vagienna e Monforte». «Le regole di casa erano ferree: pranzo alle 12 e pisolino. Pur essendo una simil tortura il risveglio mi faceva sognare perché la nonna preparava “la birra del Podio”. Portavo a tavola dei bicchieri da whisky e lei diventava una barlady miscelando ghiaccio, soda e Vermouth. Una merenda liquida paradisiaca. Una deroga alla rigidità educativa che mi permetteva di bere quella bevanda». Crescendo il posto del Vermouth è stato preso dal Barolo ma il ricordo non poteva essere cancellato e l’omaggio alla nonna doveroso. Ecco l’idea di farlo con la base Nebbiolo: 78% vino rosato da uve Nebbiolo e un infuso di spezie ed erbe contenenti dove spiccano vaniglia, genziana, assenzio, camomilla, fiori di sambuco, menta, cardamomo e scorze di agrumi. Cinzia Benzi

Silvio Carta e l’Amaro Estremista a soli 3%

Il digestivo a fine pasto deve essere davvero… digestivo. E sappiamo che i superalcolici, in realtà, non sono facili da digerire e rischiano, in realtà, di appesantire. Ci vuole quindi una scelta drastica, estremista. E si chiama proprio Amaro Estremista una delle ultime creazioni della distilleria sarda Silvio Carta. Ideale dopo un ricco pasto o come aggiunta per numerosi cocktail, ha in realtà solo il 3% di alcol, nonostante al palato non si direbbe. Ottenuto dall’infusione delle erbe della macchia mediterranea sarda in alcol a bassa gradazione alcolica al fine di estrarre solo la parte aromatica più nobile: questa tecnica unica ha permesso di ottenere un risultato low alcol caratterizzato da note balsamiche, ricche di complessità e di armonia, amorevolmente amalgamate dalla presenza del miele di Sardegna. Estremista anche nel formato, da un litro.

Il risultato è un prodotto ottimo da bere liscio, non solo a fine pasto, ma anche con tanto ghiaccio come aperitivo. E anche i cocktail, non c’è dubbio: con la bassa presenza di alcol che permette anche di berne un bicchiere in più, senza troppi pensieri. Ma sempre con consapevolezza. Raffaele Foglia

Viaggio virtuale in Galilea con Hermon

Viaggiare attraverso il vino in questa stagione e magari ad alta quota durante le festività: Israele invita a questa esperienza. L’azienda Golan Heights Winery, con alle spalle una strada quarantennale attraverso i kibbutz e le cooperative locali, attualmente produce YardenGamla, Hermon and Golan. Ci soffermiamo sulla terza etichetta, che evoca l’autorevolezza del monte e ben rappresenta la filosofia di questa cantina in Galilea, tesa a comporre vini in grado di raccontare la complessità e la ricchezza anche delle culture del territorio. I vigneti si trova sulle alture di Golan, dai 400 ai 1.200 metri. Una posizione particolare, un suolo vulcanico e un clima anche freddo che fa la differenza nella regione: in estate forti escursioni termiche, in inverno la neve. Hermon – Mount Hermon Red 2021 riunisce le caratteristiche di quattro vitigni: Cabernet FrancCabernet SauvignonMerlot e Malbec. Quattordici gradi, è un vino che sa offrire freschezza ed eleganza. All’olfatto intriga con aromi di frutti maturi e fiori, erbe mediterranee e quella vivacità garantita dalle note speziate. Al gusto, la promessa viene mantenuta e rappresenta un incontro piacevole di un vino kosher che sa raccontare un territorio formidabile ma anche la meticolosità della ricerca. Marilena Lualdi

Il Timorasso “Il Montino” è già un riferimento

Elisa Semino viene considerata, da molti, la regina del Timorasso. Un vino, un vitigno, entrati da qualche anno nella wishlist degli appassionati e dei più fini palati. Sempre alla ricerca di nuovi orizzonti sui quali far posare il proprio sguardo, sommelier e consumatori più attenti hanno rivolto i loro interesse su questo leggendario bianco piemontese. Coltivato da secoli nella zona del Tortonese è stato riscoperto, alla fine degli anni 80, da una serie di “Indiana Jones” di ceppi e tralci, alla ricerca del Santo Graal vinicolo. Un vino potente, straordinariamente longevo, un rosso travestito da bianco – il nome originale è infatti Timorosso – riconoscibile e riconosciuto come un’eccellenza. La famiglia Semino, prima con il papà Piercarlo ora con la figlia Elisa e il fratello Lorenzo, hanno fatto dell’azienda La Colombera un faro del tortonese e del Timorasso. Il loro cru Montino, che ha visto la luce nel 2006 dalla uve selezionate dell’omonimo vigneto, è austero e riservato. Tratti tipici della gente di Piemonte che ama svelarsi solo con il tempo. E questo accade anche al Il Montino La Colombera 2020, pluripremiato e ricercatissimo. Il colore è intenso, giallo dorato marcato e conquista a prima vista. Poi, dopo un paio di rotazioni del bicchiere, si sprigionano i profumi di pesca, mostarda, di miele di acacia e camomilla, amplificati con il salire della temperatura e dell’ossigenazione per far affiorare le note di idrocarburo, definite e intense, grazie al lungo affinamento in bottiglia. Alla degustazione è sapido e profondo, severo e roccioso. La “regina” Elisa cerca di portare nel bicchiere proprio questo: la complessità e la peculiarità di ogni raccolta e di ogni imbottigliamento. Una festa per la cantina e una gioia per chi ha la possibilità di gustare questo stupendo vino, ottimo da bere, perfetto da regalare. Maurizio Trezzi

Freisa, la scommessa in Anphora di Mimmo Capello

Domenico “Mimmo” Capello, torinese di nascita e astigiano d’adozione, lavorava per le Ferrovie dello Stato fino a quando, ormai alcuni decenni fa, è stato folgorato dal mondo del vino e ha deciso di cambiare vita. La sua azienda vinicola, La Montagnetta si trova nella frazione di Bricco Capello a Roatto, un comune prevalentemente agricolo di poco più di 400 abitanti in provincia di Asti, a circa una ventina di chilometri dal capoluogo. Ed è lì che Capello coltiva e vinifica Barbera, Freisa - che declina in ben tre versioni ferme e una frizzante - Viognier e Chardonnay. La Freisa, vitigno autoctono, ha rappresentato negli ultimi anni una scommessa per molti vigneron, essendo per tradizione un vino con un mercato soprattutto locale, che sembrava non meritare particolari sviluppi oltre a quello di una bonaria piacevole quotidianità. Ma ecco che nasce Anphora, la Freisa che a La Montagnetta si produce da vigne vecchie, risalenti agli anni ’30, e per la quale viene utilizzata la tecnica del rigoverno, ossia l’aggiunta al mosto già svinato di un 10% di uva sovra matura. E poi l’uso dell’anfora - materiale che consente al vino di respirare e che non aggiunge tannino ma anzi dona rotondità - dove il vino invecchia per 12 mesi. Il risultato nel bicchiere è una spiccata succosità e finezza, accompagnate dalla leggera nota di nocciola e tostatura che ci riporta piacevolmente alle interpretazioni tradizionali, non senza un guizzo di originalità. Amelia De Francesco

La novità del Barbaresco CN 111 di Orlando Abrigo

Ultimo nato della Orlando Abrigo, la bella azienda di Treiso, il Barbaresco CN Centoundici si contraddistingue per uno stile poco consueto all’interno della denominazione dovuto all’impiego di una particolare sottovarietà di Nebbiolo, il biotipo Rosé, il cui termine scientifico, CN 111, dona anche il nome al vino. Le uve, da sempre presenti per un 5% all’interno dei vigneti della cantina e da sempre vinificate separatamente, provengono dalle vigne della Menzione Geografica Aggiuntiva (MGAMeruzzano, a circa 350 metri di altitudine nel comune di Treiso, con esposizione Sud-Ovest. Si tratta di un vero e proprio cru composto da terreni calcarei e limosi, dove si trovano le tipiche marne bianche appartenenti alla cosiddetta “Formazione di Lequio”. Prodotto in sole 2.400 bottiglie, il Barbaresco CN Centoundici è un rosso dal colore molto tenue e luminoso, che si caratterizza per un corredo olfattivo fine ed elegante fatto di frutti rossi e scorza d’arancia e una sottile nota speziata di sottofondo. Il sorso, agile e longilineo, con tannini dalla grana molto raffinata, lascia emergere il lato più minerale e fresco di questo nobile vitigno. Adele Granieri

Maurizio Zanella, è una questione di stile

Dici Cà del Bosco e pensi al Franciacorta ma Maurizio Zanella, fondatore dell’azienda lombarda, ha dato vita a questo taglio bordolese dallo stile internazionale che porta il suo nome nel 1981. Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 25%, Cabernet Franc 25% da vigneti di circa 30 anni di età nei Comuni di Erbusco, Cazzago San Martino e Passirano, si raccontano in questo blend che racchiude in sé la realizzazione della perfetta sintesi tra il territorio e il suo modo di essere. Forte, strutturato e di grande eleganza, si svela nel calice con note ampie e profumi terziari al naso: compatto ed equilibrato al gusto, il Maurizio Zanella Sebino Rosso I.G.T prende il nome della sua denominazione quale sinonimo del lago d’Iseo. L’areale della Franciacorta e una delle sua aziende modello come Ca’ del Bosco (che rappresenta indiscutibilmente un pilastro delle bollicine italiane), non è sicuramente tra le prime zone del paese a cui pensiamo quando si parla di vini fermi e, proprio per questo, il rosso di punta dell’azienda rappresenta un ottimo regalo da trovare sotto l'albero. Un vino che ama i lunghi affinamenti in bottiglia ma dalla grande capacità di essere ottimo già oggi. Salvo Ognibene

Vigna Le Nicchie, il Tempranillo a San Miniato

Il Natale si avvicina e non sempre è facile trovare i vini da regalare o da portare in tavola. Sono tante le bottiglie uniche da assaporare e da scoprire e il Vigna Le Nicchie 2016 di Pietro Beconcini rappresenta proprio una di queste rarità. Questo vino è infatti ottenuto da uve Tempranillo 100% provenienti da vecchie viti di oltre 100 anni e proprio nell’antico vigneto che gli dà il nome, si possono trovare i fossili marini di età pliocenica, a confermare una storia che viene da lontano. Coltivate su argille bianche molto compatte, con scheletro composto prevalentemente da fossili marini, le viti di questa varietà spagnola hanno trovato qui nel tempo la loro casa. Quella di Pietro Beconcini è una piccola e accurata realtà che trova la sua collocazione a San Miniato in Toscana tra Pisa e Firenze, qui dal 1990 Leonardo Beconcini e la sua compagna Eva Bellagamba, gestiscono l’azienda che è di proprietà della famiglia Beconcini da quattro generazioni. Una storia bella e coinvolgente, che sorprende proprio come il loro Toscana IGT Tempranillo Prephylloxera Vigna Le Nicchie 2016, prodotto in appena tremila bottiglie, un rosso che si racconta attraverso i profumi balsamici e speziati che si fondono con le piacevoli note fruttare di amarena, i fiori di campo, il tabacco e le erbe officinali. Il sorso è caldo e coinvolgente, con tannini fini e setosi e un finale lungo e di piacevole persistenza. Fosca Tortorelli

Etna Rosso Barbagalli di Pietradolce, scelta di prestigio

Che sia un regalo per la persona del cuore o una bottiglia da stappare per una grande occasione, il vino consigliato è esclusivo e di assoluto prestigio, dalla spiccata complessità ma, al tempo stesso, dal piacere immediato, un’etichetta che da anni riscuote sonanti consensi di pubblico e di critica: Barbagalli Etna Rosso Doc dell’azienda Pietradolce, brand fondato nel 2005 dalla famiglia Faro nel comune di Castiglione di Sicilia (Ct). Le uve, 100% Nerello Mascalese, sono quelle di un vigneto prefillossera (tra 80 e 100 anni di età), allevato ad alberello, che si trova in area Barbagalli di Contrada Rampante, sul versante Nord dell’Etna, ad un’altitudine di 950 metri sul livello del mare. Dopo la raccolta manuale, che avviene nella seconda metà di ottobre, si procede ad una pressatura soffice e ad una macerazione a contatto con le bucce per 18 giorni in vasche di cemento; il vino svolge poi fermentazione malolattica naturale e affina per 20 mesi in tonneaux di rovere francese. Rosso rubino dai confini granato, Barbagalli conquista fin dai primi respiri di amarena e ribes e prosegue nei suoi toni di viola e pepe nero, di tabacco e spezie orientali e nelle sue sfumature ferrose e balsamiche. Il sorso è vivo e felice: la freschezza vibrante, la golosa sapidità e un tannino fine e vellutato sono perfettamente integrati con alcoli e polialcoli. Finale lungo e appagante. Entusiasmo per il vino sia sempre entusiasmo per la vita. Tanti auguri. Davide Visiello

L’Ecrù di Firriato, oro per le feste

A Natale è d’obbligo portare a tavola dell’oro; qualcosa di luminoso, qualcosa che trasmetta aria di festa. Tutto questo è racchiuso nella bottiglia di L’Ecrù di Firriato. È un passito naturale da uve Zibibbo lavorato in infusione, quindi gli acini, dopo 40 giorni di appassimento naturale nel giardino di Borgo Guarini, la tenuta più grande delle Cantine Firriato, vengono immersi nel vino e lentamente rilasciano i loro profumi e i loro aromi. Ad incidere sull’appassimento dello Zibibbo, da un lato il sole, che regala al vino tutto il suo calore, dall’altro il vento, che porta con sé sfumature marine, percepibili anche all’assaggio. L’Ecrù è oro nel bicchiere e sprigiona tutti i profumi della Sicilia: canditi, fichi, datteri e miele sono controbilanciati da spezie ed erbe aromatiche, con un’immancabile nota salina, come anticipato, data dalla vicinanza al mare. Questo equilibrio ottenuto tra i sapori, rende L’Ecrù un passito non troppo dolce, con un assaggio avvolgente, di grande struttura e corpo, ma senza mai stancare. È perfetto per un brindisi a fine pasto o come coccola davanti a un camino scoppiettante. Stefania Oggioni

Con il Silice un angolo di Savoia a tavola

La Savoie è una delle regioni vitivinicola francesi più vicina al nostro confine, proprio dall’altra parte delle Alpi. La sua conformazione è molto strana perché non si tratta di una denominazione “a corpo unico” ma bensì di tante regioni separate con diversi microclimi, in gran parte influenzati sia dalla presenza delle montagne che quella di due laghi e dagli influssi del Mediterraneo a pochi chilometri a sud. Nonostante la sua posizione vede la crescita di albicocche, fichi e olivi. Il suo essere isolata e “dimenticata” dalla produzione post–fillossera ha permesso il mantenimento di alcune varietà autoctone che non si trovano in altre parti di Francia come il Jacquere, il Gringet o il Chasselas. E proprio con Jacquere è fatto il Silice, uno dei vini più freschi del piccolo Domaine des Ardoisieres. L’azienda lavora in regime biodinamico e le vigne sono alle pendici del Monte Cervino. La vendemmia avviene in più tempi per gestire al meglio il livello di maturazione delle uve. Un terzo del vino è vinificato in barriques usate mentre il rimanente in acciaio, per poi essere assemblato e fatto maturare per 8 mesi prima dell’immissione in commercio. Al naso è molto espressivo, con note che richiamano i fiori del Mediterraneo come la ginestra ma allo stesso tempo esprime freschezza e balsamicità con delle note agrumate. Il sorso ricorda un ruscello di montagna, fresco, quasi sferzante. Ottimo in abbinamento con piatti di pesce o una tipica Tartiflette della Savoie. Chiara Mattiello

Cannonau Riserva, la Sardegna di Antonella Corda

Antonella Corda si era presentata al mondo del vino, qualche anno fa, puntando molto sul vino bianco, in particolare con Ziru, un Isola dei Nuraghi Igt con affinamento in anfora, che aveva conquistato per freschezza e longevità. Ma a Serdiana non è possibile non pensare al Cannonau: per i sardi è un po’ il vitigno del cuore e guai a paragonarlo alla Grenache. Siamo in Sardegna, è Cannonau, e non si discute. Il Cannonau di Sardegna DOC Riserva 2019 di Antonella Corda è nato puntando all’eleganza e all’equilibrio, sfruttando anche la qualità intrinseca delle uve provenienti da viti allevate ad alberello, sicuramente più faticose da coltivare ma che hanno anche una resa migliore. Il tutto con un terreno particolarmente ciottoloso, in grado di esaltare il microclima della zona caratterizzato dai venti di maestrale e dal sole di Sardegna. «Con questo vino – spiega Antonella Corda – ho voluto scoprire note finora inesplorate del nostro Cannonau, capaci di sfidare il tempo. Dalle mie uve e grazie a un lungo e delicato affinamento ho cercato di cogliere e di trasmettere tutta l’affascinante complessità del territorio di Serdiana». Il Cannonau si esprime in tutta la sua anima sarda: frutta rossa, ma anche macchia mediterranea, sottobosco, mirto e un tocco di balsamico. In bocca è ricco ma non pesante, avvolgente ma non stancante. RF


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